venerdì, Aprile 19, 2024
Labourdì

Il controllo del lavoratore, tra Amazon e Jobs Act-Parte II

Ndr: Il presente elaborato rappresenta il secondo di due articoli che analizzano la materia del controllo datoriale sul lavoratore. Per il focus sulle prescrizioni legislative contenute nella formulazione originaria dello Statuto dei lavoratori, clicca qui.

L’1 febbraio 2018 una notizia interessante il colosso statunitense del commercio elettronico Amazon ha suscitato il clamore dell’opinione pubblica: la circostanza incriminata ha riguardato la dichiarazione di validità del brevetto, depositato dall’impresa nel 2016, avente ad oggetto un dispositivo elettronico a braccio finalizzato a guidare il dipendente nel rinvenimento e la consegna della giusta merce sugli scaffali[1].

Le preoccupazioni del mondo politico e sindacale, giustificate dal timore che un sistema d’implementazione dell’efficienza possa tradursi in un controllo diffuso del lavoratore eludendo le normative vigenti, e le eventuali ripercussioni sulla dignità del prestatore di lavoro subordinato(tutelata, oltre che in Costituzione, all’articolo 2087 del codice civile[2])devono essere analizzate alla luce della disciplina risultante dallo Statuto dei lavoratori(legge n.300 del 1970), come modificata ed integrata dal cosiddetto Jobs Act(legge n.183 del 2014, rubricata “Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro“)[3].

Considerando che la querelle giuridico-politica prende le mosse da un’iniziativa ad opera di un’impresa che ha la sede legale negli Stati Uniti, può essere utile effettuare un esame comparatistico sulla disciplina apprestata in materia da Paesi altamente industrializzati, quali(per rimanere in ambito eurounitario)la Germania, ed, appunto, gli Stati Uniti.

Il controllo del lavoratore post 2014

L’articolo 1, 7° comma, lettera f)[4] della legge di delegazione n.183 del 2014(cosiddetto “Jobs Act“)è stato attuato dal decreto delegato n.151 del 2015, in vigore dal 24 settembre 2015 e recante “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità“.

In particolare, l’articolo 23 ha riformato l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, il quale al 1° comma recita: “Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi[5]

Sebbene sia scomparso il riferimento(precedentemente contenuto nel 1° comma della formulazione originaria della disposizione statutaria)al divieto di utilizzare impianti di videosorveglianza destinati esclusivamente al controllo a distanza del lavoratore, la lettera del nuovo 1° comma, con un’argomentazione a contrario, lascia intendere che la previgente sanzione sia rimasta immutata: la norma, infatti, disciplina l’impiego di dispositivi che potrebbero, eventualmente ed incidentalmente, sottoporre i prestatori di lavoro subordinato a controllo a distanza; l’utilizzazione di questi ultimi è necessariamente subordinata alla sussistenza di esigenze organizzative, produttive, per la sicurezza del lavoro e la tutela del patrimonio aziendale(requisito aggiunto per fare chiarezza in dottrina e giurisprudenza sui cosiddetti “controlli difensivi“)[6].

Anche nell’ultima regolamentazione il datore di lavoro è tenuto a stipulare un accordo collettivo con le rappresentanze sindacali aziendali o unitarie in merito all’installazione ed alle modalità d’utilizzo degli impianti, ma in quest’occasione si precisa che, in caso di imprese di grandi dimensioni con unità produttive dislocate in molteplici Province o Regioni, l’accordo collettivo contemplerà la partecipazione delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; la differenza dimensionale si ripercuote anche sull’ipotesi d’irraggiungibilità dell’accordo sindacale richiesto, in quanto mentre circa le imprese di minori dimensioni si prevede l’autorizzazione della sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, relativamente alle imprese con unità produttive distribuite negli ambiti di competenza di più sedi territoriali si prevede l’autorizzazione della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro.

Il d.lgs. n.151 è intervenuto soprattutto sul controllo del lavoratore effettuato tramite strumenti che il datore di lavoro assegna al dipendente per l’espletamento e la rilevazione della prestazione lavorativa, come sottende il 2° comma dell’articolo 4: “La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze“.

Innanzitutto, occorre distinguere tra gli “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa” e gli “strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze[7]: nella prima categoria, la quale ricomprende unicamente i dispositivi assegnati al singolo lavoratore o, in caso di utilizzo da parte di più prestatori, dotati di sistemi d’accesso personalizzato, rientrano, secondo un’elencazione non esaustiva, i personal computer fissi e portatili, i telefoni fissi e mobili, le carte di credito e gli indumenti da lavoro corredati di sistemi radiotelefonici di comunicazione e GPS[8]; nella seconda categoria invece, vanno inclusi classici strumenti di rilevazione delle presenze quali le tessere elettroniche(badge)e gli scanner antropobiometrici.

In seguito, occorre esaminare in cosa si differenzia il controllo datoriale enunciato dal 2° comma dell’articolo 4 rispetto alla fattispecie disciplinata dal 1° comma del medesimo articolo: il datore di lavoro, nelle ipotesi di controllo del lavoratore effettuato attraverso apparecchiature in dotazione al singolo dipendente, non è tenuto a raggiungere un accordo con le organizzazioni sindacali di qualsiasi livello nè ad ottenere la preventiva autorizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Allora come può tutelarsi il lavoratore nei riguardi di controlli abusivi operati dal datore di lavoro, considerando anche che, a norma del 3° comma dell’articolo 4, le informazioni raccolte attraverso le diversificate modalità di vigilanza possono essere impiegate a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro(e dunque e soprattutto anche a quelli disciplinari)?

La risoluzione al dilemma viene fornita dal prosieguo del 3° comma, in quanto è prescritto che la liberalizzazione del controllo del lavoratore venga controbilanciata dall’adempimento di obblighi informativi circa le modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli(anche nell’ipotesi di accordo collettivo,  dal momento che l’acquisizione delle informazioni a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro è globale); inoltre, il datore di lavoro è obbligato a trattare i dati reperiti nel rispetto di quanto disposto dal d.lgs. n.196 del 2003(Codice per la protezione dei dati personali).

Il controllo del lavoratore negli ordinamenti giuslavoristici delle potenze mondiali[9]

La materia del controllo del lavoratore è stata variamente regolamentata negli ordinamenti giuridici dei Paesi maggiormente industrializzati:

-Volendo rimanere in ambito eurounitario, si può analizzare la soluzione normativa adottata dalla Germania: la Corte costituzionale della Repubblica federale tedesca(Bundesverfassungsgericht)si è mostrata storicamente particolarmente attiva nell’affermazione dei diritti fondamentali della persona, e la prima legge al mondo in tema di diritto alla riservatezza(risalente al 1970)è stata promulgata nello Stato federato dell’Assia; la peculiare attenzione riservata alla raccolta ed al trattamento dei dati personali si è propagata in ambito giuslavoristico, come testimonia il §26 del riformato Decreto federale sulla protezione dei dati personali(Bundesdatenschutzgesetz, acronimo BDSG), che entrerà in vigore il 25 maggio 2018 contestualmente all’entrata in vigore del Regolamento(UE) generale sulla protezione dei dati 2016/679: i dati personali dei dipendenti possono essere trattati per motivi di lavoro se ciò è necessario per una decisione in merito alla costituzione, prosecuzione o estinzione del rapporto di lavoro o per l’adempimento dei diritti e dei doveri della rappresentanza degli interessi dei lavoratori risultanti dalla legge o dalla contrattazione collettiva; la raccolta, l’elaborazione e l’utilizzazione dei dati personali si basano sul consenso informato del prestatore di lavoro subordinato, e la volontarietà del consenso va valutata in relazione alla dinamica del rapporto di lavoro ed alle circostanze in cui il consenso è stato prestato(il consenso si presume espresso quando da esso derivino vantaggi economici o normativi per il lavoratore o i contraenti perseguano analoghi interessi); il consenso dev’essere dato in forma scritta, a meno che eccezioni non siano giustificate da circostanze particolari; il lavoratore dev’essere regolarmente informato circa le finalità del trattamento dei dati ed il diritto di recesso; si prevede la partecipazione degli organi rappresentativi del personale.

-Volendo andare oltreoceano, sollecita l’attenzione l’orientamento seguito in materia dagli Stati Uniti: nonostante il diritto alla riservatezza del lavoratore possa farsi risalire al IV Emendamento della Costituzione, che tutela genericamente il cittadino da indebite intrusioni nella propria sfera privata(“Non potrà essere violato il diritto dei cittadini di godere della sicurezza personale, della loro casa, delle loro carte e dei loro beni, di fronte a perquisizioni e sequestri ingiustificati[10]), non esiste nell’ordinamento giuslavoristico statunitense un atto normativo che disciplini specificamente il controllo ad opera del datore di lavoro; è importante sottolineare che, in quanto gli apparecchi elettronici aziendali sono di proprietà dell’imprenditore, nel bilanciamento tra diritto alla riservatezza dei lavoratori e diritto alla tutela del patrimonio aziendale prevale quest’ultimo, e tale circostanza giustifica generalmente controlli datoriali che importino anche un’invasione nella sfera personale del dipendente: si ritiene altresì che il soggetto interessato, concorrendo alla costituzione del rapporto di lavoro, accetti le conseguenze di un potere di controllo della parte contrattualmente più forte decisamente esteso. Nonostante l’impostazione dominante, lo Stato della California ha adottato il Social Media Privacy Act, il quale, distinguendo tra i dati liberamente reperibili su Internet ed i dati accessibili esclusivamente attraverso account personalizzati, vieta la raccolta di questi ultimi e l’utilizzazione delle password del personale, eccettuata l’ipotesi di accertamento di un illecito in corso.

Fonti

[1]https://www.geekwire.com/2018/amazon-wins-patents-wireless-wristbands-track-warehouse-workers/

[2]“L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”

[3]Rossella Giuliano, https://www.iusinitinere.it/controllo-ad-opera-del-datore-lavoro-amazon-jobs-act-7943

[4]”Revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore

[5]Comma così modificato dal d.lgs. n.185 del 2016, contenente disposizioni integrative a decorrere dall’8 ottobre 2016

[6]Sentenza Cass. civ., sez. lav., n.20440 del 2015 in ilgiuslavorista.it del 18 gennaio 2016 e contra Cass. civ., sez. lav., n.16622 del 2012 in Mass. giust. civ. 2012, 10, 1168

[7]Diritto & Pratica del Lavoro 31/2016, Massimo T. Goffredo e Vincenzo Meleca, Jobs Act e nuovi controlli a distanza

[8]è questa l’ipotesi di cui si dibatte in merito all’innovazione produttiva brevettata da Amazon

[9]Andrea Ippoliti,  Il potere di controllo del datore di lavoro e la privacy del lavoratore

[10]Traduzione: https://it.wikisource.org/wiki/Costituzione_degli_Stati_Uniti_d%27America

Rossella Giuliano

Rossella Giuliano nasce a Napoli nel 1994. Dopo aver conseguito la maturità classica nel 2012, inaspettatamente, interessata alle implicazioni giuridiche della criminologia, decide d'iscriversi al corso di laurea magistrale in Giurisprudenza presso l'Ateneo Federico II: durante il percorso accademico, si appassiona a tutto ciò che gravita attorno all'universo giuridico; volendo coniugare la sua passione per la cultura tedesca con la propensione per la tutela dei soggetti svantaggiati, sta attualmente redigendo una tesi sulle influenze del regime dell'orario di lavoro sulle politiche di tutela dell'occupazione nel diritto italiano e tedesco. Suoi ambiti d'interesse sono le lingue, letterature e culture straniere, i cani, la musica, la cinematografia.

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