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Corte EDU: tutela ed evoluzione dei diritti umani fondamentali

Premessa: questo è il quinto di una serie di articoli dedicati al funzionamento e all’operato delle istituzioni europee. 

Il 1959 è un anno che funge  da spartiacque nel panorama della tutela dei diritti umani fondamentali. In quell’anno fu istituita la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU), organo giurisdizionale internazionale, volto ad assicurare l’osservanza dei principi sanciti dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Nel corso degli anni numerosi protocolli sono stati adottati al fine di rendere più efficace e funzionale l’operato della Corte. Nel  1998 sarà  istituita la nuova Corte, tramite il protocollo n°11 che ha permesso la fusione con la Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo. Ormai organo permanente la Corte EDU ha la possibilità di pronunciarsi sui ricorsi individuali.

Grazie all’operato del Consiglio d’Europa, di cui si è ampiamente discusso nel precedente articolo, il catalogo delle libertà fondamentali previste dalla Convenzione, ha avuto sin da subito uno strumento di controllo che assicurasse l’effettiva applicazione dei suoi principi. È opportuno sottolineare che la Corte EDU non è un organo dell’Unione Europea, e sebbene abbia sede a Strasburgo, non deve essere confusa con altre istituzioni europee. Il suo compito è quello di vigilare sul rispetto dei principi fondamentali  da parte degli stati firmatari della CEDU, e pronunciarsi in maniera incisiva laddove ravvisi la violazione di uno dei suddetti principi.

Composizione

La Corte, attualmente presieduta da Guido Raimondi, è composta da un numero di giudici pari al numero degli stati parti della Convenzione (47). I giudici sono eletti dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa sulla base delle liste di tre candidati proposte da ciascuno Stato. Il mandato, non rinnovabile, è della durata di nove anni. È opportuno sottolineare come i giudici operino individualmente e non come rappresentanti del proprio stato. La Corte EDU giudica tramite giudici unici in casi di irricevibilità del ricorso, Comitati di 3 giudici e Camere di 7 giudici. Qualora sorgesse un grave problema interpretativo ogni Camera può chiamare a pronunciarsi una Grande Camera composta da 17 giudici.

Case law e la problematica dei ricorsi individuali

Il 14 novembre del 1960 la Corte pronuncia la sua prima sentenza, per il caso Lawless c.Irlanda, e sebbene nel corso degli anni il suo operato sia divenuto uno strumento fondamentale per ridisegnare la fisionomia dello stato di diritto, diverse sono le problematiche correlate all’esercizio della competenza contenziosa. Prima fra tutte l’elevato numero di ricorsi di cui è oberata. L’art 34 della Convenzione nel disciplinare il ricorso individuale stabilisce che:

“La Corte può essere investita di un ricorso da parte di una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga d’essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. Le Alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l’esercizio effettivo di tale diritto”

Lo strumento del ricorso individuale permette ai singoli individui di adire la Corte, dovendo però il ricorrente dimostrate di essere stato personalmente e direttamente leso dal comportamento denunciato. È opportuno sottolineare come condizione di ricevibilità del ricorso sia l’aver già esperito tutti i rimedi giurisdizionali nazionali, dando allo stato la possibilità di porre rimedio alla violazione a livello interno. È questo il campo in cui la giurisprudenza della Corte EDU è maggiormente incisiva, poiché con le sue pronunce fa si che gli stati debbano adeguare le legislazioni nazionali al rispetto dei principi della Convenzione. Questo strumento, sebbene rappresenti  una rivoluzione nell’ambito della funzione giurisdizionale internazionale, ha fatto si che la Corte sia sommersa dai ricorsi non riuscendo ad esercitare pienamente la sua funzione. Vari sono stati gli interventi volti a risolvere il problema, basti pensare all’adozione del Protocollo n°14 entrato in vigore nel 2010 con l’obiettivo di rendere la Corte maggiormente efficace, aprendo all’Unione europea la possibilità di aderire alla Convenzione. Il  Protocollo inoltre introduce alcune modifiche alle procedure della Corte EDU, rafforzando la sua capacità di filtraggio al fine di eliminare i ricorsi manifestamente irricevibili, prevedendo nuove  misure volte a trattare i ricorsi per i quali già esiste una solida giurisprudenza, i cosiddetti “ricorsi ripetitivi”e richiedendo soprattutto la sussistenza di un “significativo svantaggio” che il ricorrente deve lamentare.

Ulteriore modifica procedurale, al fine di smaltire l’eccessivo numero di ricorsi analoghi, è stata l’introduzione della “pilot procedure”, la procedura pilota, che permette alla Corte, dinanzi alla presenza di ricorsi seriali aventi ad oggetto la violazione degli stessi principi, di trattare solo uno dei essi, sospendendo la trattazione dei ricorsi analoghi. La procedura mira ad evidenziare i problemi strutturali che sono all’origine delle sistematiche violazioni poste in essere da una delle Alte Parti Contraenti nella pluralità dei casi denunciati. All’esito del giudizio la Corte pronuncia una sentenza pilota sul caso sostanziale, indicando le misure che lo stato dovrebbe adottare per porre rimedio alla violazione, sotto la supervisione del Comitato dei Ministri. Laddove lo stato non rispetti quanto stabilito dalla sentenza della Corte, verranno trattati anche i ricorsi analoghi precedentemente sospesi, esponendo lo stato al rischio di ulteriori condanne. La suddetta procedura è stata utilizzata nel caso Torreggiani et al. cItalia, con cui la Corte ha condannato l’Italia per violazione dell’art 3 (divieto di tortura) in merito al caso del sovraffollamento delle carceri italiane.

Oltre alla possibilità di pronunciarsi sui ricorsi individuali, ex art.33 della Convenzione è previsto lo strumento del ricorso interstatale:

Ogni Alta Parte contraente può deferire alla Corte qualunque inosservanza delle disposizioni della Convenzione e dei suoi Protocolli che essa ritenga possa essere imputata a un’altra Alta Parte contraente”.

Lo strumento del ricorso interstatale è scarsamente utilizzato, sebbene l’obiettivo dello stesso sia quello di salvaguardare il rispetto della Convenzione. Non è richiesto allo stato ricorrente la sussistenza di un interesse ad agire, e gli stati sono riluttanti nel ricorrere allo strumento per timore di venir poi denunciati esse stessi per determinate violazioni.

Esecuzione delle sentenze

Sebbene le pronunce della Corte EDU nel corso degli anni abbiano costituito importanti tasselli per la costruzione di un concetto più forte e definito di democrazia, si tratta pur sempre di case law, e la strada per garantire l’effettivo rispetto dei diritti fondamentali  è ancora lunga e non piena  di ostacoli. Ciò che mina l’effettiva tutela dei principi è la non trascurabile circostanza che le condanne della Corte EDU sebbene vincolino gli stati in cui le violazioni vengono perpetrate, spetta ai governi nazionali conformarsi alle pronunce ed adottare gli opportuni provvedimenti interni per porre fine alle violazioni. Lo stato ha infatti sei mesi per comunicare, dopo la condanna, le misure adottate o programmate. Riforme strutturali che spesso non intervengono nonostante le condanne e i moniti del Comitato dei Ministri, l’organo del Consiglio d’Europa che supervisiona l’esecuzione delle sentenze da parte delle Alte Parti Contraenti. Attualmente l’Italia rappresenta infatti uno dei paesi che meno rispetta le pronunce della Corte, e nel 9° rapporto sull’implementazione delle sentenze Cedu dello scorso anno, si evidenziano le più gravi sentenze non eseguite, in tema di illegittima espulsione di richiedenti asilo (Sharifi and Others v. Italy and Greece), violazione dell’art.3 nei casi di sovraffollamento carcerario(Sulejmanovic v. Italy), eccessiva durata dei processi (Ceteroni v. Italy).

Attività interpretativa ed evoluzione dei diritti

Il compito che la Corte EDU si trova ad affrontare, anche alla luce delle problematiche evidenziate, non è dei più semplici. In primo luogo perché nella maggior parte dei casi non basta accertare l’avvenuta violazione di uno dei principi convenzionali, ma è fondamentale l’attività interpretativa dei singoli principi, per individuare se effettivamente sussista una violazione nel caso sostanziale.

È proprio l’interpretazione dei principi grazie alla giurisprudenza della Corte, che rende la Convenzione uno strumento in continua evoluzione. L’attività interpretativa è resa più complessa dal fatto che i principi siano formulati in maniera astratta e generale, dovendo poi rispettare le singole istanze di tutela lamentate dai ricorrenti. Un ulteriore elemento di criticità può essere colto dalla lettura di alcuni degli articoli della Convenzione, ad esempio l’art 9 a tutela della libertà di pensiero e religione, che evidenzia come la maggior parte dei diritti fondamentali riconosciuti non siano assoluti, ma possano bensì subire limitazioni anch’esse previste espressamente dalla legge, poiché fungono da strumento di tutela di altri principi. E’ dunque compito della Corte EDU bilanciare la norma in questione, tenendo conto delle singole istanze di tutela che l’applicazione senza riserve del principio stesso potrebbe danneggiare. Diverso è il caso dei diritti assoluti, come l’art 3, che nel sancire il divieto di tortura e trattamenti degradanti non prevede nessuna sorta di limite e giustificazione, a dimostrazione che un crimine così odioso non possa essere in nessun caso giustificato.

[1] Benedetto Conforti, Diritto Internazionale

[2] Francesco Buffa, Il ricorso alla Cedu ed il filtro

[3] Alessandra Giannelli, Il diritto internazionale tutela la democrazia?

[4] Eva Brems and Janneke Gerards, Shaping Rights in the Echr: The Role of the European Court of Human Rights in Determining the Scope of Human Rights

[5] Convenzione Europea dei diritti dell’uomo

Fonte immagine: echr.it

Anna Giusti

Anna Giusti studia Giurisprudenza presso l'Università di Napoli Federico II. Attualmente svolge un tirocinio presso il Consolato Generale degli Stati Uniti di Napoli. La collaborazione con Ius in itinere nasce dalla volontà di coniugare la sua grande passione per la scrittura al percorso di studi. Collaborare per l'area di diritto internazionale le permette di approfondire le tematiche che hanno da sempre suscitato maggiore interesse in lei, ovvero il diritto internazionale penale, la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti umani, il diritto dell'Unione Europea. Appassionata di viaggi, culture e letterature straniere, si è da sempre dedicata allo studio dell'inglese e del francese.

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