venerdì, Aprile 19, 2024
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Il delitto di interesse privato del curatore – II parte

 

N.d.r.: Il seguente articolo conclude l’esame del delitto di interesse privato del curatore integrando, rispetto al precedente contributo sul medesimo tema, precisazioni relative alla condotta tipica realizzata nonché informazioni inerenti all’elemento psicologico richiesto.

 

Riprendendo le fila del discorso relativo alla condotta propria dell’illecito commesso dal curatore durante l’esercizio delle proprie funzioni occorre ricordare che, tra le questioni più discusse dalla dottrina, vi è quella relativa alla possibilità che il delitto in esame possa sussistere nel caso in cui il curatore abbia posto in essere l’atto ora in adempimento di un vincolante e preciso obbligo di legge, ora a seguito di un’apposita autorizzazione da parte del giudice.

In relazione al primo tipo di atto si ritiene, nella dottrina prevalente, che qualora questo sia compiuto in attuazione di un dovere normativo inderogabile, il quale non lascia spazio ad apprezzamenti di carattere discrezionale, in una siffatta ipotesi non può essere presente alcuna condotta illecita.

Si è osservato[1] infatti che, in questi casi, anche nel caso in cui sussista un interesse privato del curatore a questo atto, lo stesso può determinare una coincidenza tra l’interesse della procedura e quello privato, con conseguente irrilevanza penale di tale condotta, avvenendo l’atto stesso in esecuzione di un preciso obbligo di legge.

In riferimento, invece, ad atti di tipo discrezionale ancorché posti in essere a seguito di un’autorizzazione del giudice delegato si è sostenuto che, anche al di fuori dei casi di concorso con il giudice delegato della condotta illecita o di emissione dell’autorizzazione sulla base di una rappresentanza mendace dei fatti resagli dal curatore, sussista tale reato ogni qualvolta l’autorizzazione ponga il curatore nella condizione di violare la legge penale. In tale ipotesi, infatti, egli ha il dovere di sindacare la legittimità dell’ordine datogli[2].

Tali posizioni, però, sono state rimeditate da una dottrina alla luce della nuova formulazione dell’art. 323 c.p. nella parte in cui sanziona il pubblico ufficiale che ometta di astenersi in presenza di un interesse proprio.

Più precisamente, si è valutato che, sulla base dei principi ora consacrati nell’articolo in questione, il curatore, nel caso in cui sia consapevole di essere portatore di interessi contrastanti con quelli che dovrebbe perseguire in quanto pubblico ufficiale, non può compiere tali atti neanche laddove essi si configurino quali obbligatori, neanche se autorizzati dal giudice delegato.

In tali casi, lo stesso deve presentare le dimissioni e solo nel caso in cui siano state respinte potrà compiere l’atto, avendo il Tribunale fallimentare giudicato come non rilevante il contrasto di interessi segnalato dallo stesso.

La condotta, in ogni caso, può essere posta in essere anche dopo la chiusura del fallimento qualora il curatore conservi le sue funzioni. Si è fatto, in particolare, riferimento all’attività di sorveglianza che il curatore svolge, ex art. 136 l.f., dopo l’omologazione del concordato, indicandosi come in una tale ipotesi la permanenza degli organi fallimentari nella fase di esecuzione del concordato fallimentare è diretta alla tutela del credito chirografario e, solo in via mediata, della massa attiva del fallimento. Dunque, commette il reato di cui all’art. 228 l.f. il curatore che, durante l’esecuzione del concordato, ometta atti del suo ufficio o, con gli effetti ancora in svolgimento di un atto dell’ufficio, al fine di conseguire un interesse privato, non necessariamente personale, di qualsiasi natura[3].

L’elemento soggettivo

Il reato risulta punibile solo a titolo di dolo, che è dato dalla coscienza e volontà di realizzare il privato interesse avvantaggiando se stesso o un terzo[4].

Pertanto, per la presenza di tale elemento è necessario, ma anche sufficiente, che il curatore si sia reso conto dell’esistenza di un conflitto di interesse e nonostante questo non si sia astenuto dal realizzare l’atto.

Ovviamente, la natura dolosa del reato lo esclude laddove questi non si sia accorto di tale situazione per negligenza o comunque per colpa.

[1] Tra tutti Antolisei e Sandrelli.

[2] Nuvolone, Il diritto penale del fallimento e le altre procedure concorsuali, 1954, 13.

[3] T. Bologna, 19.12.1985, in Crit. Pen., 1985, 1, 38.

[4] Cass., n. 46802/2004.

Dott. Giovanni Sorrentino

Giovanni Sorrentino è nato a Napoli nel 1993. Dopo aver conseguito la maturità classica con il massimo dei voti presso il Liceo Classico Jacopo Sannazaro, intraprende lo studio del diritto presso il dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Napoli "Federico II". Nel dicembre del 2017 si è laureato discutendo una tesi in diritto penale dal titolo "Il riciclaggio", relatore Sergio Moccia. Attualmente sta svolgendo la pratica forense presso lo Studio Legale Chianese. Nel 2012 ha ottenuto il First Certificate in English (FCE). Ha collaborato dal 2010 al 2014 con la testata sportiva online "Il Corriere del Napoli". È socio di ELSA (European Law Students' Association) dal 2015. Nel 2016 un suo articolo dal titolo "Terrore a Parigi: analisi e possibili risvolti" è stato pubblicato su ElSianer, testata online ufficiale di ELSA Italia. Nel 2017 è stato selezionato per prendere parte al Legal Research Group promosso da ELSA Napoli in Diritto Amministrativo (Academic Advisors i proff. Fiorenzo Liguori e Silvia Tuccillo) dal titolo "L'attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni tra diritto pubblico e diritto privato", con un contributo dal titolo "Il contratto di avvalimento". Grande appassionato di sport (ha giocato a tennis per dieci anni a livello agonistico) e di cinema, ama viaggiare ed entrare in contatto con nuove realtà. Email: giovanni.sorrentino@iusinitinere.it

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