mercoledì, Marzo 27, 2024
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Il diritto antidiscriminatorio e la giurisprudenza europea

Sul tema antidiscriminatorio dai primi anni del duemila si è susseguita copiosa giurisprudenza, e alcune delle sentenze sono entrate a pieno titolo nel novero della palette di pronunce relative ai principi generali del diritto europeo.

Le sentenze che questo articolo vuole esaminare ripercorrono gli sviluppi interpretativi dalla Corte di Giustizia ma non chiudono il cerchio delle pronunce relative alla non discriminazione;

Le sentenze sono:

Mangold c. Rüdiger Helm, C-144/04;

Kücükdeveci c. Swedex GmbH & Co., C-555/07;

Rasmussen c. Dansk Industries, C-441/14.

1.1 Sentenza Weiner Mangold c. Rüdiger Helm C-144/04

La sentenza Mangold è il primo e fondamentale tassello giurisprudenziale che ha condotto a una maggiore sensibilità sul tema antidiscriminatorio. L’opera della Corte ha lasciato però molti punti oscuri, non chiarendo ad esempio l’efficacia di una direttiva orizzontale non ancora scaduta, questione che ha sollevato poi ampio dibattito negli interpreti.

L’argomento trattato era ed è ancora di grande attualità, la sentenza affronta infatti il tema dell’occupazione per quei lavoratori che si trovano nella fascia dai 50 anni all’ età pensionabile, e che spesso, anche nel nostro paese, incontrano molte difficoltà a rientrare nel mondo del lavoro dopo aver perduto l’occupazione a causa di licenziamenti collettivi, individuali, cessazione delle attività aziendali, o situazioni patologiche, comunque denominate, dovute allo strascico della crisi economica.

Nel caso in esame il signor Mangold viene assunto, presso uno studio legale nel 2003, all’età di 56 anni, con contratto di lavoro a tempo determinato della durata di 18 mesi.

La disciplina tedesca consentiva, fino al 2006, l’assunzione di lavoratori di età non inferiore a 52 anni, con contratti a tempo determinato e senza l’indicazione di un’oggettiva causale. Il signor Mangold quindi contesta il contratto a termine, lamentando che, seppur sia conforme alla legge tedesca, risulti in contrasto con la Direttiva 78/2000 perché lo pone in una situazione di svantaggio contrattuale rispetto ad altri cittadini aventi medesima nazionalità ma età inferiore.

La Corte parte con il precisare che la normativa tedesca “nel prevedere la possibilità per i datori di lavoro di concludere senza restrizioni contratti a tempo determinato con lavoratori che abbiano raggiunto l’età di 52 anni istituisce una disparità di trattamento fondata direttamente sull’età” constatato ciò la stessa si chiede poi se tale finalità possa ritenersi “oggettivamente e ragionevolmente giustificata [..] da una finalità legittima, compresi i giustificati motivi di politica del lavoro” come previsto dall’art 6 della Direttiva e qui la risposta non può che essere affermativa in quanto ha “lo scopo di favorire l’inserimento professionale dei lavoratori anziani disoccupati se e in quanto questi ultimi si trovino a far fronte a difficoltà gravi nella ricerca di una nuova occupazione”.

La corte poi successivamente ha voluto verificare se “gli strumenti attuati per realizzare tale legittimo obiettivo siano appropriati e necessari a tal fine” e a tal fine viene ricordato che “gli Stati dispongono incontestabilmente di un ampio margine di valutazione discrezionale nella scelta delle misure atte a realizzare i loro obiettivi in materia di politica sociale e di occupazione. Tuttavia l’applicazione di una normativa come quella di cui alla causa principale approda a una situazione nella quale indistintamente a tutti i lavoratori che hanno raggiunto l’età di 52 anni, siano essi stati in disoccupazione o no prima della conclusione del contratto, e quale sia stata la durata del periodo dell’eventuale disoccupazione, possono essere validamente proposti, fino all’età alla quale essi potranno far valere il loro diritto alla pensione di vecchiaia, contratti di lavoro a tempo determinato, rinnovabili per un numero indefinito di volte. Questa importante categoria di lavoratori, determinata esclusivamente in funzione dell’età, rischia pertanto, per una parte sostanziale della carriera professionale dei detti lavoratori, di essere esclusa dal beneficio della stabilità dell’occupazione, la quale costruisce [..] un elemento portante della tutela dei lavoratori. Una siffatta normativa, nella misura in cui considera l’età del lavoratore di cui trattasi come unico criterio di applicazione di un contratto di lavoro a tempo determinato, senza che sia stato dimostrato che la fissazione di un limite di età, in quanto tale, indipendentemente da ogni altra condizione legata alla struttura del mercato del lavoro di cui trattasi e dalla situazione personale dell’interessato, sia obiettivamente necessaria per la realizzazione dell’obiettivo dell’inserimento professionale dei lavoratori anziani in disoccupazione, deve considerarsi eccedente, quanto è appropriato e necessario per raggiungere la finalità perseguita”, e non può essere giustificata ai sensi dell’art 6 della Direttiva.

Il grande pregio di questa sentenza è stato poi, discostandosi dalla risoluzione del caso concreto, di sancire un principio generale.

In Mangold infatti si afferma che “il principio di non discriminazione è un principio generale dell’ordinamento europeo” dal punto di vista legislativo e interpretativo, europeo e nazionale tutto deve essere letto alla luce di quel principio generale. Un’importante articolazione di quanto premesso sta nel fatto che, essendo il principio di non discriminazione da considerarsi di portata generale, esso sovrasterebbe le direttive, e perciò anche nel caso in cui il tempo utile per il recepimento di una direttiva, in materia antidiscriminatoria, non fosse scaduto anche in questo caso il principio sarebbe applicabile, e il diritto azionabile, da parte dei cittadini che ne lamentino la violazione.

L’esegesi della pronuncia però si può indirizzare almeno verso due ulteriori profili. Innanzitutto sotto l’aspetto privatistico, se considerassimo il principio antidiscriminatorio come principio di ordine pubblico questo certamente vincolerebbe i privati nell’autonomia negoziale, e qualunque atto che fosse fatto in violazione di tale principio sarebbe nullo. Si potrebbe attraverso questo ragionamento fare un discorso di più ampio respiro sulla tematica dell’accesso a beni e servizi, è infatti di questi giorni il caso avvenuto a Vibo Valentia della dichiarazione del proprietario di una casa vacanze di negare l’accesso alla sua struttura “ai gay e agli animali”, o il caso avvenuto a San Foca ove un proprietario ha dichiarato di “non accettare persone che aderiscono alla ideologia gender e a coppie omosessuale anche se unite civilmente” e tutto ciò riporta fortemente alla ribalta il progetto, iniziato nel 2008 e più continuato della proposta di Direttiva COM(2008)0426 relativa alla non discriminazione nell’accesso a beni e servizi; ma questa direttiva è davvero necessaria? E ancora, non sarebbe solo una particolarizzazione di un principio generale, quello relativo alla non discriminazione, di cui il legislatore dovrebbe già tenere conto nei rapporti con i privati e tra privati?[1]

Analizzando invece la fase patologica, in sede giurisdizionale le corti nazionali devono leggere e interpretare atti e disposizioni alla luce del principio di non discriminazione, disapplicando così ogni contraria disposizione di legge nazionale o leggendo in senso orientato a questo principio qualsiasi atto.

1.2 Sentenza Seda Kücükdeveci c. Swedex GmbH & Co. KG C-555/07

Sulla scorta della giurisprudenza Mangold, un caso interessante, tanto da essere stato definito quasi un leading case è quello che coinvolge ancora l’ordinamento tedesco.

La signora Kücükdeveci era stata assunta all’età di 18 anni alle dipendenze della Swedex GmbH & Co.; dopo dieci anni dall’inizio del rapporto di lavoro viene licenziata, con un preavviso di un solo mese, corrispondente all’anzianità di tre anni, in applicazione della norma del BGB[2] che prevede che nel calcolo dell’anzianità ai fini del preavviso non vadano considerati i periodi di lavoro antecedenti al venticinquesimo anno di età del lavoratore. La signora decide quindi di sollevare la questione di fronte alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

La Corte, riprendendo le argomentazioni sostenute nel caso Mangold, riafferma che la direttiva “non sancisce essa stessa il principio della parità di trattamento in materia di occupazione e di lavoro, principio che trova la sua fonte in vari strumenti internazionali e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, ma [..] ha il solo obiettivo di stabilire, in dette materie, un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate su diversi motivi, tra i quali rientra l’età” e che il principio di non discriminazione in base all’età “deve essere considerato un principio generale del diritto dell’Unione al quale la direttiva 78/2000 da espressione concreta”.

Entrando nel merito della questione la sentenza riconosce che la norma del codice civile tedesco “riserva un trattamento meno favorevole ai dipendenti che sono entrati in servizio presso il datore di lavoro prima dei 25 anni di età” e ciò “crea quindi una disparità di trattamento tra persone aventi la medesima anzianità a seconda dell’età in cui esse sono state assunte” quanto detto e rilevato “contiene quindi una disparità di trattamento fondata sul criterio dell’età”. [3]

La Corte a seguito di quanto detto cerca di valutare la disposizione del codice civile tedesco alla luce della deroga concessa dalla Direttiva 78/2000 all’art. 6, un termine più breve di preavviso potrebbe consentire una maggiore flessibilità del mercato e della gestione del personale, e questo, a parere della corte rientra “tra le politiche dell’occupazione e del mercato del lavoro” ed è di per sé un obiettivo legittimo ai sensi della Direttiva.

Detta previsione porta la Corte ad astenersi dal fare considerazioni politiche su quanto questa previsione possa essere ictu oculi fuori dal tempo. Il codice civile tedesco infatti viene pubblicato nel 1926, ma oggi alla luce dell’alto tasso di occupazione giovanile appare improbabile che una norma che cerca di rendere più flessibile la disoccupazione sull’unico presupposto che i giovani siano avvantaggiati nel cercare un nuovo posto di lavoro possa essere di per se appropriata al conseguimento dell’obiettivo della maggiore flessibilità della gestione del personale.

Ed è quest’ultimo infatti, evitando di addentrarsi nelle valutazioni politiche, la chiave di volta che la Corte utilizza, essa infatti conclude che lo strumento utilizzato “non è appropriato per il conseguimento dell’obiettivo” che la stessa normativa si propone, di maggiore flessibilità nella gestione del personale, perché “si applica a tutti i dipendenti assunti dall’impresa prima del venticinquesimo anno di età, indipendentemente dalla loro età al momento del licenziamento” quindi anche se un soggetto avesse una lunga anzianità di servizio si troverebbe sottoposto a questa norma e pertanto tale disposizione “non può essere considerata idonea a realizzare le finalità dichiarate”.

Anche in questo caso, in chiusura, la Corte sottolinea la necessità che il giudice nazionale, investito di una controversia tra privati garantisca “il rispetto del principio di non discriminazione in base all’età, quale espresso concretamente dalla Direttiva 78/2000, disapplicando, se necessario, qualunque disposizione contraria della normativa nazionale, indipendentemente dall’esercizio delle facoltà [..] di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale sull’interpretazione di tale principio”[4].

1.3 Sentenza Successione Karsten Eigil Rasmussen c. Dansk Industries (DI) C-441/14

L’ultima sentenza CGUE che in questo contributo si intende analizzare rientra nel filone giurisprudenziale relativo alla carenza di effetti diretti orizzontali delle direttive.[5]

Nel caso la corte suprema danese resisteva all’applicazione di una precedente sentenza della Corte di Giustizia, con la quale era stata dichiarata incompatibile con il diritto dell’Unione Europea una legge nazionale sulla quale si era formata una giurisprudenza consolidata in riferimento alla sua interpretazione ed applicazione.[6]

Il caso concerneva la spettanza o meno di un’indennità di disoccupazione, che la legge danese non contemplava per i lavoratori licenziati che avessero raggiunto l’età pensionabile ed avessero aderito ad un regime pensionistico prima dei cinquant’anni di età.

Il giudice a quo ravvisava una sospetta violazione della direttiva 2000/78/CE, poiché la direttiva non produce effetti diretti in una controversia tra datore di lavoro e lavoratore egli si chiedeva se potesse tuttal’più applicarsi il principio generale che vieta le discriminazioni basate sull’età.

La Corte di Giustizia, in continuità con quanto già preventivamente sostenuto in Mangold e Kükükdeveci chiarisce che la direttiva costituisce una specificazione ed una concretizzazione dell’ambito di applicazione del divieto di discriminazione in base all’età che trova però “trova la sua fonte, come risulta dai considerando 1 e 4 di detta direttiva, in vari strumenti internazionali e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri”[7].

L’aspetto che invece preme qui sottolineare è come tale sentenza voglia essere per i giudici nazionali una sorta di vademecum, di handbook per l’interpretazione che il giudice nazionale deve seguire per conformarsi alla disciplina europea. E a tal fine la Corte sostiene che lo strumento principe per assicurare l’uniformità del diritto e la conformità al sistema è l’interpretazione conforme, mentre la disapplicazione costituisce l’extrema ratio.

I giudici, in tal senso sono perciò tenuti a prendere in considerazione l’insieme di norme di diritto interno ed applicare i criteri ermeneutici propri di quel diritto al fine di interpretarlo “per quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva”, solo quando ciò non risulti possibile opererà il rimedio della disapplicazione ma ciò, come in Mangold e Kükükdeveci, non per effetto della direttiva, ma per effetto del principio generale di non discriminazione, che è principio di rango primario.

La particolarità del caso in esame consiste in due aspetti, per un verso il giudice a quo lamentava di non poter disapplicare una legge interna scritta in modo chiaro e sostenuta da una giurisprudenza consolidata in favore di un principio non scritto, quello di non discriminazione in base all’età. Secondo le conclusioni dell’Avvocato generale comunque l’interpretazione costante non poteva essere considerato un limite all’attività del giudice, che ben può distaccarsi, come invece lo è il dato letterale, poiché ribaltando quest’ultimo ci si sostituirebbe inevitabilmente al legislatore. La Corte concorda, seppur non si addentri nella relazione tra legislatore e giudice, affermando invece che l’esigenza di un’interpretazione conforme porta con se l’eventuale obbligo/possibilità di modificare un’interpretazione consolidata, a fortiori se quest’ultima in contrasto con una Direttiva.

In secondo luogo bisogna rilevare il fatto che il giudice aveva prospettato la disapplicazione della normativa in contrasto con la disciplina europea come una violazione dei principi di legittimo affidamento e di certezza del diritto, anch’essi tutelati a loro volta dal diritto dell’Unione Europea, diventa quindi importante comprendere il bilanciamento tra principio di non discriminazione e questi ultimi due principi. La prospettazione del giudice rimettente è respinta però dalla Corte di giustizia, in quanto la configura come un tentativo di sottrarsi all’obbligo discendente dalle sue[8] sentenze, vincolanti per tutti i soggetti del diritto anche nella loro portata interpretativa. Legittimando questo tipo di operazione, si configurerebbe di fatto, una limitazione all’efficacia della giurisprudenza CGUE.

Con questo si conclude il secondo appuntamento con il tema antidiscriminatorio, nel prossimo contributo ci addentreremo nel recepimento della normativa europea da parte dell’Italia e di casi pratici avvenuti nel nostro paese.

[1] Per approfondimenti sulle tematiche LGBTI si segnala il sito www.retelenford.it

[2] Art 622 B.G.B.

[3] “1) Il diritto dell’Unione, in particolare il principio di non discriminazione in base all’età, quale espresso concretamente nella direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nella causa principale, che prevede che, ai fini del calcolo del termine di preavviso di licenziamento, non sono presi in considerazione i periodi di lavoro compiuti dal dipendente prima del raggiungimento dei 25 anni di età” in Seda Kücükdeveci c. Swedex GmbH & Co. KG C-555/07

[4] “2) È compito del giudice nazionale, investito di una controversia tra privati, garantire il rispetto del principio di non discriminazione in base all’età, quale espresso concretamente dalla direttiva 2000/78, disapplicando, se necessario, qualsiasi disposizione contraria della normativa nazionale, indipendentemente dall’esercizio della facoltà di cui dispone, nei casi previsti dall’art. 267, secondo comma, TFUE, di sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea una questione pregiudiziale sull’interpretazione di tale principio.” In Seda Kücükdeveci c. Swedex GmbH & Co. KG C-555/07

[5] Sulla capacità di produzione di effetti diretti delle direttive nelle controversie tra privati si veda tra gli altri in Corte di Giustizia, Beuttenmüller c. Land Baden-Wüttemberg, 29 aprile 2004, C -102/02, in Racc. I-5404. In tali fattispecie, la norma della direttiva ha applicazione in luogo della legislazione nazionale in contrasto, al meccanismo sfuggono però le controversie orizzontali tra privati, in cui la parte convenuta non è lo Stato o una sua derivazione. In dottrina a tal proposito si suole distinguere tra invocabilité en justice e effect direct ove la seconda è la capacità di produrre la fattispecie al quale sussumere il caso di specie e con essa risolverlo, cosa che però le direttive non producono, diversamente da quanto invece accade per l’invocabilité en justice. È possibile invocarle in giudizio proprio perché danno origine ad un vero e proprio obbligo del giudice nazionale di conformarsi nell’interpretazione e di disapplicare la norma nazionale applicabile, e se non correttamente trasposte, costituiscono inoltre fonte per un’azione di risarcimento danni verso lo Stato; per un quadro più ampio sulle categorie si veda O. De Schutter, La garantie des droits et principes sociaux in J-Y. Carlier, O. De Schutter, “La Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne, Bruxelles, 2002, 117ss. A parere dell’autore per una precisazione terminologica sarebbe più corretto parlare di “rilevabilità in giudizio” come traduzione ad Invocabilitè en justice, piuttosto che di invocabilità in giudizio, che parrebbe la traduzione letterale, questo al fine di non confonderlo, prima facie con un’azione prettamente riservata alla parte.

[6] Corte di Giustizia, 26 febbraio 2005, Ingeniøforeningen i Danmark, C-499/08, in cui la corte, al §49 aveva affermato che gli artt. 2 e 6 par.1, della direttiva 2000/78 ostavano ad una normativa nazionale ai sensi della quale i lavoratori aventi titolo ad una pensione di vecchiaia nell’ambito dei un regime previdenziale sottoscritto prima del cinquantesimo anno di età non potevano beneficiare di un’indennità speciale di licenziamento destinata a favorire il reinserimento professionale dei lavoratori aventi un’anzianità di servizio superiore ai dodici anni nell’impresa.

[7] Corte di Giustizia, Grande Sezione, Dansk Industies, §22-23

[8] Della Corte di Giustizia ndr

Gioia Boscariol

Gioia Boscariol nasce a Oderzo (TV) nel 1994. Dopo aver conseguito la maturità tecnico commerciale all'I.T.C.G "Jacopo Sansovino" intraprende la strada che sognava sin da bambina, lo studio del diritto. E' studentessa al quarto anno all'Università degli Studi di Udine. Nel corso degli anni passati all'Ateneo Friulano scopre l'interesse e la propensione per il Diritto del Lavoro, ed in particolare per quel settore, a cavallo tra il diritto italiano ed il diritto europeo, rappresentato dal Diritto Antidiscriminatorio. Durante il suo corso di studi si occupa anche di sviluppare le soft skills, sia nell'associazionismo studentesco prima come Vice Presidente Seminari e Conferenze e poi come Presidente dell'Associazione ELSA Udine, sia nella rappresentanza studentesca, da quest'anno è infatti Rappresentante degli studenti in Consiglio di Amministrazione, in consiglio di corso e dipartimento e membro del Consiglio degli Studenti dell'Università degli Studi di Udine. Puoi contattarmi all'indirizzo e-mail: gioia.boscariol@iusinitinere.it

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