martedì, Aprile 23, 2024
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È legittima una Valutazione di impatto ambientale postuma? La risposta arriva dalla Corte di Giustizia.

La V.I.A. (Valutazione di impatto ambientale)[1]è un istituto di origine statunitense[2], introdotto nell’ordinamento comunitario con la direttiva del Consiglio n. 85/337/CE[3] .

La direttiva ha imposto agli Stati Membri l’introduzione nell’ordinamento nazionale di una procedura di valutazione di impatto ambientale su determinate opere che possano comportare un impatto ambientale importante ed elencate all’articolo 4 della stessa ed in due allegati.

Nel nostro ordinamento l’introduzione della V.I.A. è avvenuta in maniera graduale e frammentaria partendo dall’articolo 6 della legge istitutiva del Ministero dell’Ambiente[4] alla quale si sono aggiunti numerosi atti normativi, ciascuno riguardante un aspetto specifico della disciplina, fino ad arrivare al d.lgs. 152/06[5] (c.d. Codice dell’ambiente) che ha finalmente disciplinato in modo organico l’istituto in esame.

La V.I.A si può definire, in via sommaria, come una procedura amministrativa finalizzata alla tutela dell’ambiente, essa è preordinata all’emanazione di un giudizio sulla compatibilità ambientale di determinati progetti di opere e interventi.

In particolare la V.I.A. «individua, descrive e valuta gli effetti diretti e indiretti di un progetto sui seguenti fattori: l’uomo, la fauna e la flora; il suolo, l’acqua, l’aria, il clima, il paesaggio; i beni materiali ed il patrimonio culturale; l’interazione dei fattori di cui sopra»[6].

Si tratta di un istituto avente, certamente, carattere preventivo in quanto descrive e valuta i potenziali effetti sull’ambiente di un  determinato progetto prima che questo venga realizzato.

È uno dei principali strumenti  della politica ambientale della Comunità Europea, fondata, appunto, su principi di azione preventiva: “Agire direttamente alla fonte, anziché riparare ai danni provocati”.

Ma cosa accade nell’ipotesi in cui la necessità di sottoporre un progetto alla procedura di V.I.A. sorga, per diversi motivi, successivamente alla realizzazione dello stesso?

È legittima una Valutazione di impatto ambientale postuma?

Questi gli interrogativi ai quali la Corte di Giustizia UE vuole dare risposta nella sentenza del 28 febbraio 2018[7], pronunciandosi in merito alla questione pregiudiziale ad essa sottoposta dal TAR Marche con sentenza non definitiva del 10 febbraio 2017 n. 114.

La questione era scaturita da un progetto (promosso dalla Società Agricola 4 C S.S) di potenziamento di un preesistente impianto per la produzione di energia elettrica alimentato a biomasse nel comune di Castelbellino, per il quale la Regione Marche aveva ritenuto non fosse necessario procedere ad una previa verifica di assoggettabilità a V.I.A, applicando una normativa regionale che esonerava dalla procedura di screening di VIA gli impianti con una potenza nominale inferiore ad 1 MW.

Tale normativa regionale era poi stata dichiarata incostituzionale (con sentenza n. 93 del 2013) in quanto non prescriveva «di tener conto caso per caso, di tutti i criteri indicati nell’Allegato III alla direttiva 13 dicembre 2011, n. 2011/92/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati – codificazione), come prescritto dall’articolo 4, paragrafo 3, della medesima…»[8].

A questa sentenza della Corte Costituzionale  aveva fatto seguito il D.M. n. 84 del 30/03/2015, con cui sono stati stabiliti i parametri uniformi validi a livello nazionale per l’esenzione dalla VIA di progetti di interesse regionale, consentendo alle Regioni unicamente di formulare al Ministero dell’Ambiente istanze tese ad ottenere:

«…. una diversa riduzione percentuale delle soglie dimensionali di cui all’allegato IV della parte seconda del decreto legislativo n. 152/2006 rispetto a quanto previsto dalle presenti linee guida in relazione alla presenza di specifiche norme regionali che, nell’ambito della procedura di autorizzazione dei progetti, garantiscano livelli di tutela ambientale più restrittivi di quelli stabiliti dalle norme dell’Unione europea e nazionali nelle aree sensibili individuate al paragrafo 4 delle allegate linee guida;

  1. b) [….], qualora non siano applicabili i criteri specifici individuati al paragrafo 4 delle allegate linee guida, un incremento nella misura massima del 30% delle soglie dimensionali di cui all’allegato IV della parte seconda del decreto legislativo n. 152/2006, garantendo livelli di tutela ambientale complessivamente non inferiori a quelli richiesti dalle vigenti norme dell’Unione europea e nazionali;
  2. c) […], qualora non siano applicabili i criteri specifici individuati al paragrafo 4 delle allegate linee guida, criteri o condizioni in base ai quali è possibile escludere la sussistenza di potenziali effetti significativi sull’ambiente e pertanto non è richiesta la procedura di verifica di assoggettabilità alla VIA[9]».

Proprio a seguito di questa nuova normativa la Società Agricola 4 C S.S., in data 16 aprile 2015, aveva presentato alla Regione Marche istanza di attivazione del procedimento per la verifica dell’esenzione dell’impianto dalla VIA,  ottenendo (con decreto n. 60/EFR del 3 giugno 2015 del  dirigente della P.F. Rete Elettrica Regionale, Autorizzazioni Energetiche, Gas ed Idrocarburi della Regione Marche) un ulteriore giudizio di esentabilità del progetto in base ai criteri fissati dal nuovo D.M. n. 84 DEL 30/03/2015.

La questione risultava a questo punto molto complessa;

In sostanza si trattava di un progetto ritenuto non assoggettabile a V.I.A. in base ad una normativa regionale dichiarata poi incostituzionale, vizio successivamente sanato con una nuova verifica di assoggettabilità a V.I.A posta in essere sulla base di una normativa sopravvenuta (diversa da quella vigente al momento in cui l’opera era stata realizzata).

Con la domanda pregiudiziale, dunque, il giudice del rinvio aveva chiesto in sostanza, se, qualora un progetto di potenziamento di un impianto di produzione di energia elettrica, non fosse stato sottoposto ad una verifica di assoggettabilità a V.I.A ai sensi di disposizioni nazionali successivamente dichiarate incompatibili con la direttiva 2011/92, il diritto dell’Unione osti a che tale impianto, dopo la realizzazione di detto progetto, sia soggetto a una nuova procedura di verifica della sua conformità ai requisiti della Direttiva stessa e, eventualmente, a una VIA.

Il TAR Marche aveva chiesto, altresì, se le autorità competenti possano considerare, in base alle disposizioni di diritto nazionale in vigore alla data in cui esse sono chiamate a pronunciarsi, che una tale V.I.A. non sia obbligatoria.

I Giudici Europei nella sentenza in esame prendono le mosse da un’analisi del contesto normativo di riferimento sottolineando come l’articolo 2, paragrafo 1, della Direttiva 2011/92 imponga che i progetti che possono avere un significativo impatto ambientale, ai sensi dell’articolo 4 della medesima, siano sottoposti a tale valutazione prima del rilascio dell’autorizzazione[10].

Il carattere preventivo di questa valutazione è giustificato dalla necessità che, <<a livello di processo decisionale, l’autorità competente tenga conto il prima possibile delle ripercussioni sull’ambiente di tutti i processi tecnici di programmazione e di decisione, al fine di evitare fin dall’inizio inquinamenti e altre perturbazioni piuttosto che combatterne successivamente gli effetti>>.

La Corte richiama, poi, quanto già evidenziato in una precedente sentenza[11], con particolare riferimento al fatto che , in caso di omissione di una V.I.A. prescritta dal diritto dell’Unione, <<gli stati membri hanno l’obbligo di eliminare le conseguenze illecite di tale omissione e che il diritto dell’Unione non osta a che una tale valutazione sia effettuata a titolo di regolarizzazione, dopo la costruzione e la messa in servizio dell’impianto interessato.

I giudici ritengono, dunque, lecita una V.I.A. postuma ma ad una duplice condizione:

«che le norme nazionali che consentono tale regolarizzazione non offrano agli interessati l’occasione di eludere le norma di diritto dell’Unione o di disapplicarle;

– che la valutazione effettuata a titolo di regolarizzazione non si limiti all’impatto futuro di tale impianto sull’ambiente, ma prenda in considerazione, altresì, l’impatto ambientale intervenuto a partire dalla sua realizzazione.

Le autorità nazionali possono considerare, ai sensi delle disposizioni in vigore alla data in cui esse sono chiamate a pronunciarsi, che una tale V.I.A. risulta necessaria, nei limiti in cui dette disposizioni siano compatibili con la Direttiva di cui trattasi».

In conclusione, leggendo la massima della sentenza si può affermare che  la Valutazione di impatto ambientale (in base alle norme UE) possa essere effettuata in un momento successivo alla realizzazione dell’opera, ma questa pratica va considerata un’eccezione alla regola e deve necessariamente soddisfare le due condizioni fissate a più riprese dalla Corte di Giustizia.

 

 

[1] Per approfondimenti in materia di V.I.A. G.Mazzella, “il procedimento di V.I.A.:disciplina e giurisprudenza”, in Ius in itinere, 2017.

[2] Introdotto con il National Environmental Policy Act del 1969.

[3] Successivamente modificata dalla direttiva n. 97/11/CEE e dalla direttiva n. 2003/35/CE.

[4] Legge n. 349/1986.

[5] A cui sono seguiti due successivi decreti correttivi nel 2008 e nel 2010.

[6] Art. 4, comma 4 lett. b, D.Lgs. 152/2006.

[7] Sentenza 28 febbraio 2018  sulla causa C-117/17.

[8] Sentenza Corte Costituzionale n.93 del 2013.

[9] Articolo 2 D.M. 30/03/2015

[10] Si veda in tal senso la sentenza del 3 luglio 2008, Commissione/Irlanda, C-215/06, EU.

[11] Sentenza n. 589 del 26 luglio 2017, Comune di Corridonia e a.

Paola Verduni

contatti: pverduni90@gmail.com

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