venerdì, Marzo 29, 2024
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Genesi e funzione del Consiglio di Sicurezza: le ragioni di un fallimento

Ai sensi dell’art. 23 della Carta, il Consiglio di sicurezza è composto da quindici membri, di cui cinque godono dello status di membro permanente, mentre i restanti vengono eletti dall’Assemblea in rappresentanza degli altri Stati membri in base ad un sistema di rotazione.

La composizione del Consiglio, dunque, riflette i rapporti di forza esistenti nella Comunità Internazionale e, lungi dal poter essere considerato come un organo democratico, si presta ad essere teatro di possibili scontri politici tra le varie superpotenze.

Essendo, poi, il Consiglio l’organo a cui è attribuita la competenza esclusiva nell’uso della forza, una tale procedura di voto consente di fatto alle cinque superpotenze di determinare in maniera del tutto autonoma le possibili manifestazioni militari operate nell’ambito del sistema ONU. Gli scopi e le funzioni del Consiglio vengono desunti dall’art. 24 della Carta, il quale gli attribuisce la responsabilità principale per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Dunque il Consiglio può essere considerato come l’organo principale con il quale l’Organizzazione delle Nazioni Unite intende realizzare gli scopi sottesi alla Carta.  Per quanto riguarda le competenze specifiche del Consiglio, poi, esse vengono descritte nel capitolo VI della Carta per quanto riguarda la funzione conciliativa e nel capitolo VII, che, invece, disciplina l’esercizio del meccanismo accentrato di uso della forza.

L’accentramento della possibilità di usare la forza in capo al Consiglio di Sicurezza rappresentò, fin dal momento della stipulazione della Carta, una evidente manifestazione della volontà degli Stati fondatori di voler istituire un sistema che avesse potuto effettivamente salvaguardare le generazioni future dagli orrori della guerra. Con la previsione di poteri in materia in capo al Consiglio si intendeva infatti porre una garanzia specifica al divieto dell’uso della forza previsto dall’art. 2(4); infatti, diversamente da quanto previsto dal precedente storico dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, ossia la Società della Nazioni, al Consiglio non è attribuito il mero potere di disporre sanzioni economiche o comunque misure non implicanti l’uso della forza, ma, anzi, gli sono attribuite ampie competenze circa la disposizione del potere dell’uso della forza centralizzata, onde poter tutelare il fine primario dell’ONU, ossia il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
In particolare l’art. 42 risulta essere la disposizione alla base del sistema di sicurezza collettivo. Esso prevede che “se il Consiglio di Sicurezza ritiene che le misure previste nell’art. 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Tale azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali o terrestri di Membri delle Nazioni Unite”.
Dunque la norma in questione, prevedendo un modello accentrato di uso della forza, presupporrebbe la possibilità per il Consiglio di utilizzare propri contingenti. In effetti, l’idea di partenza prevedeva proprio l’istituzione di un esercito permanente sotto la direzione del Consiglio di Sicurezza; si voleva in tal modo evitare che le operazioni da condurre nell’ambito del sistema di sicurezza collettivo, potessero essere in qualche modo condizionate dalla disponibilità degli Stati a fornire proprie truppe. Difatti gli articoli 43 e successivi disciplinano in modo dettagliato la costituzione di truppe assegnate permanentemente al controllo del Consiglio.; tale costituzione poi, sarebbe dovuta avvenire tramite la stipulazione di appositi accordi con gli Stati membri.
Ad ogni modo, le norme relative alla predisposizione di un esercito permanente dell’ONU non hanno mai trovato concreta attuazione, facendo dunque tramontare l’idea di un possibile uso istituzionale della forza da parte dell’ONU, almeno secondo le modalità previste dalla Carta.

Le ragioni della mancata attuazione del meccanismo dell’uso centralizzato della forza sarebbero riconducibili alla stessa composizione del Consiglio di Sicurezza. Se è vero, infatti, che la Carta ONU rappresenta la trasposizione in ambito giuridico della consapevolezza post seconda guerra mondiale secondo la quale il futuro dell’umanità sarebbe dipeso dall’assenza di conflitti su vasta scala, è altrettanto vero che la possibilità di demandare ad un organo centralizzato la responsabilità di gestire in modo neutrale i vari conflitti emergenti tra Stati fu abbandonata di fatto sin dal tavolo delle trattative. I privilegi attribuiti alle potenze vincitrici del conflitto, che trovano la loro più evidente espressione nella previsione del potere di veto, fecero sì che l’immagine di un Consiglio di Sicurezza non politicizzato potesse rimanere soltanto un’utopia. L’esercizio autonomo dell’uso della forza da parte del Consiglio di Sicurezza avrebbe necessitato, infatti, non soltanto di un accordo difficilmente ipotizzabile tra i membri permanenti, ma anche e soprattutto della capacità dello stesso di formare un orientamento politico indipendente da quello dei membri che lo compongono. Ciò soprattutto alla luce della diversità, strutturale e di scopo, che distingue nettamente le Nazioni Unite da qualsiasi altra organizzazione internazionale, diversità data per l’appunto dal carattere di universale rappresentatività che ha trovato proprio nella Carta la sua primogenea espressione.

In virtù della mancata attuazione delle norme poste alla base del sistema di sicurezza collettivo, i poteri conferiti al Consiglio in materia di uso della forza sono stati esercitati secondo due modalità alternative rispetto alla lettera dell’art. 42 della Carta, e tra loro concorrenti, anche se soggette a occasionali sovrapposizioni: la costituzione di Forze delle Nazioni Unite predisposte ad hoc e la concessione agli Stati di deleghe al divieto dell’uso della forza.
Il primo modello, affermatosi soprattutto nella fase della guerra fredda, è rappresentato dalla costituzione di forze delle Nazioni Unite con compiti limitati, composte da contingenti di truppe messe a disposizione dagli Stati membri in base a specifici accordi e in relazione a conflitti determinati. Dunque tali contingenti diversamente da quanto previsto dalla Carta non costituiscono un esercito permanente posto sotto la direzione dell’ONU, ma vengono costituiti di volta in volta in base ad accordi ad hoc con gli Stati, la cui stipulazione dipende sostanzialmente anche dalla loro maggiore o minore sensibilità in relazione al problema da affrontare. Tale modello dunque, seppur teso in ogni caso ad assicurare una sorta di meccanismo centralizzato di uso della forza, non sempre assicura un legame abbastanza stretto tra le forze militari e la catena di comando dell’ONU. In ogni caso le Forze della Nazioni Unite costituite tramite accordi, possono assumere configurazioni diverse e si distinguono in relazione al loro scopo, in particolare si conoscono: operazioni di peacekeeping, quando la costituzione di truppe ha l’obiettivo di mantenere la pace sul territorio; operazioni di peace-enforcing, quando esse hanno l’obiettivo di imporre con la forza condizioni di pace e di sicurezza; operazioni di post-conflict building, quando alle truppe è affidato il compito di partecipare alle operazione di ricostruzione che fanno seguito alla fase del conflitto armato.

Pertanto, in conclusione dell’analisi effettuata, deve senz’altro evidenziarsi che la mancata attuazione delle norme relative al sistema di sicurezza collettivo ha di fatto subordinato l’operatività del Consiglio di Sicurezza in materia di uso della forza alla stipulazione di accordi specifici con gli Stati per la costituzione delle peacekeeping operations. Tuttavia una simile alternativa si è dimostrata col tempo del tutto inadatta a poter assicurare un efficace ruolo del Consiglio nell’ambito del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Difatti  ci si è resi conto che stipulare accordi di volta in volta con gli Stati per la costituzione di truppe, oltre a comportare notevoli spese, non offre garanzie preliminari circa la possibile aderenza degli Stati stessi all’operazione da porre in essere, col risultato di porre sostanzialmente il Consiglio alle dipendenze della volontà degli Stati membri.

Dott. Salvatore Viglione

Nato a napoli nel 1991, vive a Melito di Napoli. Ha conseguito la laurea in giurisprudenza presso la Federico II di Napoli nel luglio 2016 con tesi in diritto internazionale. Attualmente oltre a frequentare la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali, svolge il tirocinio forense presso lo Studio Legale Mancini, specializzato in diritto penale. Ha collaborato con diverse testate editoriali, principalmente con articoli di cronaca locale e politica. Ama il calcio, anche dilettantistico e la scrittura.

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