martedì, Aprile 23, 2024
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La crisi familiare e la sorte dei figli minori: l’affidamento. Il ruolo dei nonni (e degli altri parenti).

In presenza di una crisi familiare, al di là delle questioni patrimoniali che pure attanagliano normalmente i privati, spesso si dimentica che l’attenzione maggiore deve essere necessariamente posta nella sorte dei figli minori.

Brevemente si dica che la materia è stata recentemente oggetto di diverse riforme: dapprima la Legge 8 febbraio 2006, n. 54 e successivamente la Legge 10 dicembre 2012, n. 219 hanno voluto superare la frammentazione causata dalla duplice disciplina in sede di separazione personale e di divorzio e, in più, quella relativa ai figli di genitori non coniugati. Ad oggi, quindi, la materia è unitariamente prevista dagli artt. 337 bis e ss. inseriti nel capo II, titolo IX, libro I, del codice civile.

Prima di addentrarci più nello specifico, è bene innanzitutto ricordare che il secondo comma dell’articolo 317 c.c. postula il dogma (quasi a rammentare ai destinatari la responsabilità che ne deriva, come se non fosse mai vano ribadirlo) della continuità dei doveri dei genitori, anche dopo e a prescindere da qualsiasi ipotesi di crisi familiare. Esso infatti statuisce che: “la responsabilità genitoriale di entrambi i genitori non cessa a seguito di separazione, scioglimento, di cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio; il suo esercizio, in tali casi, è regolato dal capo II del presente titolo”.

Il principio cardine seguito dal legislatore in materia di crisi familiare è quello della bigenitorialità, ovvero tentare di assicurare ai figli l’apporto personale di entrambi i genitori nell’ottica del superamento della conflittualità (che può inevitabilmente andare a segnare il futuro del minore) e con la speranza che alla comunità familiare ormai distrutta possa almeno sostituirsi una comunità parentale. A dispetto della prassi che si è assestata sull’affidamento a uno solo dei genitori, in realtà la novellata disciplina esige invero che la regola sia quella dell’affidamento condiviso.

Infatti, l’art. 337 ter c.c., oltre a sancire nel primo comma che “il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori”, perentoriamente afferma, nel secondo comma, che il giudice (che “adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa) deve prioritariamente valutare la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori.

È naturale che in virtù della mancata convivenza dell’intero nucleo familiare, appunto a causa dell’intervenuta crisi familiare, il giudice dovrà determinare i tempi e le modalità della permanenza del figlio presso ciascun genitore, oltre alla misura e al modo dell’apporto personale e materiale di ciascuno di essi: a tal fine, dovrà tener conto di eventuali accordi intervenuti tra i genitori, a meno che non siano contrari all’interesse dei figli (art. 337 ter c.c., 2 co.).

Purtroppo, ed è risaputo, non sempre questa tipologia di affidamento è praticabile: ecco che (e si ripeta: in via del tutto eccezionale) il nostro codice civile si occupa del caso dell’affidamento monogenitoriale, da disporre però “con provvedimento motivato” ed esclusivamente quando l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore(art. 337 quater c.c., 1 co.).

Si è più volte ribadito in giurisprudenza come solo l’idoneità a svolgere i compiti connessi con il ruolo di affidatario costituisca l’aspetto determinante ai fini dell’affidamento, e, di conseguenza, come non possano avere rilevanza i giudizi di responsabilità per la crisi o altre circostanze personali come la religione professata o l’attività svolta dal genitore.

In questo tipo di affidamento (e sebbene l’articolo 337 ter c.c., al terzo comma, preveda invece che “la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori”) il legislatore è stato fermo nel sancire come solo al genitore affidatario spetti l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale sui minori, salva diversa disposizione del giudice.

Anche qui, tuttavia, il legislatore della riforma ha voluto ribadire che le decisioni di maggiore interesse devono essere adottate da entrambi i genitori, salvo che non sia stabilito diversamente, e che “il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse”.

A tal proposito, è bene tenere a mente come essendo la relativa disciplina esclusivamente finalizzata al benessere del minore, sia opportuno parlare, oltre che di diritti dei genitori, anche e soprattutto di doveri (l’articolo 337 ter c.c., al primo comma, stabilisce che il fanciullo debba “ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi”), per non dimenticare che, oltre il conflitto e la conseguente crisi, è il minore a dover essere tutelato e posto in primo piano da entrambi i genitori.

Il legislatore, infine, si occupa anche del caso in cui il provvedimento emanato debba essere modificato (artt. 337 quinquies c.c., 9 L.div, primo comma, 710 e 711, quinto comma, c.p.c.): le parti possono sempre chiederne la revisione e, qualora siano sopravvenuti giustificati motivi, il giudice si pronuncia in camera di consiglio con la partecipazione del pubblico ministero.

Quest’ultimo riferimento ci permette di chiudere con un’importante considerazione. Anche in assenza di crisi familiare, infatti, potrebbe essere necessario occuparsi di minori che, purtroppo e per una serie di sfortunati eventi, non potranno più ricevere l’indispensabile apporto dei genitori.

In tal senso, ad esempio in relazione al caso della dichiarazione dello stato di adottabilità, già la Corte di Cassazione, con sentenza 14 maggio 2005, n. 10126, affermava che “in questo contesto – di valorizzazione e di recupero, finché possibile, del legame di sangue, ed anche dei vincoli, come quelli dei nonni, che affondano le loro radici nella tradizione familiare, la quale trova il suo riconoscimento nella Costituzione (art. 29) – si rende necessario un particolare rigore, da parte del giudice del merito, nella valutazione di abbandono del minore quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità”.

E si menzioni il caso del diritto di visita specificatamente nella materia qui trattata dell’affidamento.

Prima della riforma, generalmente si escludeva, nell’ipotesi dell’affidamento a seguito di crisi familiare, un vero e proprio autonomo diritto di visita degli ascendenti (ma la giurisprudenza comunque sottolineava l’utilità, per il fanciullo, dell’intrattenimento di rapporti personali, in particolare, con i nonni).

Attualmente, l’articolo 337 ter c.c. nel primo comma espressamente stabilisce come il fanciullo abbia il diritto “di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”; sebbene si continui a sostenere che questi ultimi non godano di un autonomo diritto di visita (ricordando anche come, per consolidato orientamento, i nonni e gli altri familiari non possano intervenire nei procedimenti di separazione e di divorzio coinvolgenti minore), si considerino due aspetti.

In primo luogo, un dato normativo del nostro stesso codice civile, e cioè il nuovo articolo 317 bis, prevede che “gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni”, espressamente sancendo la possibilità del ricorso al giudice nel caso in cui ciò gli fosse impedito.

In secondo luogo, la Corte europea dei diritti dell’uomo (con sentenza 20 gennaio 2015, che nel caso di specie ha condannato lo Stato italiano), nel garantire il diritto al rispetto della vita familiare e privata sancito dall’articolo 8 della CEDU, sembra farvi rientrare anche un autonomo diritto di visita dei nonni, ai fini del consolidamento del legame familiare con i nipoti.

In definitiva, l’interesse del minore allo sviluppo di un rapporto sano e armonioso con l’intera comunità parentale deve sempre e comunque prevalere (ove possibile ovviamente) su qualsiasi valutazione da poter svolgere in materia; ciò si dica in modo tale da costituire una solida base che possa accompagnare il fanciullo durante la sua crescita e far fronte, nel corso della sua vita, a qualsiasi ostacolo, per superarlo solo ed esclusivamente a suo vantaggio.

Marco Limone

Marco Limone nasce nel 1994 ad Atripalda (AV). Consegue il diploma di maturità con votazione 100/100 presso il Liceo Scientifico P.S. Mancini di Avellino. Da sempre bravo in matematica, decide di non rinnegare le sue vere inclinazioni e ha frequentato, dal 2012, il Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli. In data 07/07/2017 conclude il percorso universitario con votazione 110/110 e lode, discutendo una tesi in diritto processuale civile dal titolo "I profili processuali della tutela della parte nel contratto preliminare". Iscrittosi, infatti, sognando il “mito americano” della criminologia e del diritto penale, durante il suo percorso si scopre più vicino al diritto civile e alla relativa procedura, anche se, per carattere, affronta con passione qualsiasi sfida si presenti sul suo cammino. Fortemente determinato e deciso nel portare avanti le sue idee e i suoi valori, toglietegli tutto ma non la musica. E le serie tv e il fantacalcio, ma quella è un’altra storia... mar.limone1994@gmail.com https://www.linkedin.com/in/marco-limone-19940110a/

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