sabato, Aprile 20, 2024
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La donazione delle persone giuridiche pubbliche: differenze con le società

Le società sono sempre incapaci di compiere autentici atti di donazione: qualora dovessero invece farlo, andrebbero a snaturare il proprio scopo. Esse però possono compiere atti gratuiti atipici.

La dottrina e la giurisprudenza sembrano pacifiche su quanto appena affermato, ma iniziano a titubare quando i soggetti non sono più persone giuridiche private, bensì sono persone giuridiche pubbliche. È fortemente discussa la loro capacità di compiere donazioni.

Principalmente sono due i filoni dottrinali che si contrappongono:

  • L’indirizzo c.d. pubblicistico che sostiene la tesi negativa affermando che esiste un’incompatibilità fra l’atto di liberalità e il fine pubblico che gli enti devono perseguire;
  • L’indirizzo c.d. privatistico che invece supporta la tesi positiva adducendo a ciò la mancanza di un divieto espresso di carattere generale per gli enti pubblici.

Per quanto riguarda il primo filone, dottrina autorevole[1] si dimostra fermamente contraria al riconoscimento della capacità dell’ente pubblico di realizzare donazioni: neanche in caso di donazioni modali, nelle quali il modo consista in una prestazione a favore della stessa Pubblica Amministrazione ed assorba il valore della donazione, pare possibile.  Anche con tale negozio, infatti, si soddisferebbe solo in via accessoria un interesse dell’ente.

Il secondo filone, invece, stravolge completamente le convinzioni maturate fino ai primi anni novanta, al punto tale da diventare dottrina preferibile nonché prevalente.
Si tratta di un’impostazione di stampo privatistico principalmente dettata dalla Corte di Cassazione[2], la quale afferma che non vi sono ostacoli alla capacità di donare degli enti pubblici, sia perché non vi è un espresso divieto normativo, sia perché gli atti donativi, anche se escludono evidentemente ogni utilità economica per il donante, ben possono essere ispirati da valori ideali coerenti con  la finalità pubblica dell’ente[3]. È palese che tale riferimento non sia una mera provocazione, ma rappresenti una situazione pratica estremamente diffusa.  Non bisogna limitare i riferimenti alle persone giuridiche pubbliche “burocratico–amministrative”, ma è possibile allargare il raggio facendo riferimento a quegli enti pubblici i quali, in applicazione del principio fondamentale dell’articolo 3 della Costituzione, hanno la funzione e lo scopo di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale”. In tal modo, non vi sarebbe contrasto con la finalità dell’ente.

Tale evoluzione giurisprudenziali fa sì che venga messa in discussione anche la posizione sulle donazioni effettuate dalle società: in particolare sarebbe da chiedersi se anche queste possano utilizzare gli atti donativi per fini diversi rispetto all’oggetto sociale stabilito dall’atto costitutivo e diversi rispetto al necessario scopo di lucro che le contraddistingue.

Anche a tale proposito pare che vi sia stata una soluzione soprattutto in dottrina[4], secondo la quale la possibilità per le società di porre in essere negozi  donativi, non implica un problema di capacità, bensì di strumentalità rispetto allo scopo di lucro da esser perseguito: dunque non è necessaria una esplicita previsione pattizia che contempli la facoltà di fare donazioni, se è vero che tali atti possono essere strumentali all’attività assunta e/o alle finalità programmate e che ogni statuto di regola reca la precisione sulla possibilità di compiere atti direttamente o indirettamente funzionali all’oggetto sociale o allo scopo dell’ente.
Inoltre è posto l’accento su un’ulteriore distinzione, ossia quella tra società di persone e società di capitali. A differenza di quanto deve ritenersi per queste ultime post riforma, per le società di persone si rende opportuna, se non necessaria, una maggiore prudenza nella valutazione della strumentalità dell’atto gratuito posto in essere dall’ente rispetto all’oggetto ed allo scopo della società, anche e soprattutto in considerazione del più ampio ambito dell’opponibilità al terzo dell’estraneità dell’atto all’oggetto sociale.

Insomma, sembra diramarsi sempre più la distinzione tra persone giuridiche private e persone giuridiche pubbliche.
Ciò che però la dottrina non ha ancora fatto, o quantomeno non ha fatto in maniera specifica e dettagliata, è chiedersi in che misura tale prassi (che ormai pare consolidata) danneggia i consociati non interessati dall’atto donativo. Viene, a mio modo di vedere, creata una sperequazione eccessiva tra gli stessi consociati e molto spesso non può essere meramente giustificata con la “rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale”. Sarebbe probabilmente più opportuno fare una valutazione specifica, distinguendo “caso per caso” i singoli atti gratuiti (dunque non solo donativi). È auspicabile che la procedura amministrativa che porta a tale provvedimento sia assoggettata a stringenti controlli esterni.

 

[1] Cfr. TORRENTE, La donazione, p. 413.

[2] Cfr. sentenza della Corte di Cassazione del 18 dicembre 1996, n. 11311.

[3] Cfr. ALESSI, Sull’ammissiblità di donazioni da parte di enti pubblici.

[4] Cfr. CNN Studio n. 26/2010/I, Atti gratuiti e scopo lucrativo, di RUOTOLO.

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