venerdì, Marzo 29, 2024
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La libertà di stampa tra paradossi e censure

Nell’analizzare il principio della libertà d’espressione, riconosciuto e tutelato dal diritto internazionale convenzionale e dalle costituzioni dei singoli stati, non si può non dare autonoma trattazione ad una delle espressioni del diritto in questione, ovvero la libertà di stampa. In un mondo sempre più evoluto, dove il progresso tecnologico quotidianamente si arricchisce di nuove frontiere bisogna però considerare la libertà di stampa in tutti i suoi aspetti e manifestazioni. Dalla carta stampata al web, dalla tv ai social network, la libertà di stampa e il diritto di cronaca trovano esplicazione in molteplici vie, rendendo necessari strumenti normativi sempre più specifici volti a regolamentare costantemente una realtà in continua evoluzione.

Le norme convenzionali a presidio della libertà d’espressione e di stampa, delineano un quadro normativo ben preciso e grazie alle interpolazioni con le legislazioni nazionali emergono anche i casi e i presupposti sui quali si basano le limitazioni alla libertà in questione. Se dunque la stampa libera può essere considerata come il cane da guardia della democrazia all’interno di uno stato, in quanto essa esprime l’attitudine dei governi a non influenzare strumentalmente l’opinione pubblica, lasciando i cittadini liberi di ricercare e ricevere informazioni, leggendo la classifica stilata annualmente dall’ONG Reporters sans frontières è possibile comprendere gli stati in cui la democrazia rappresenti solo un’utopia. L’ONG francese fondata nel 1985 ha come obiettivo la tutela della libertà di stampa e svolge una costante attività di pressione e sollecitazione verso i governi di quegli stati in cui il diritto di informare e essere informati non sono pienamente riconosciuti.

Prima di analizzare i casi più emblematici, è opportuno prendere in considerazione la situazione italiana. La classifica stilata per l’anno 2017 vede infatti l’Italia salire al 52° posto, dopo che la posizione rivestita lo scorso anno aveva destato stupore e reazioni contrastanti. Il 77° posto occupato dal belpaese nel 2016 risultava immediatamente come il paradosso di una nazione in cui, sebbene le proclamate libertà e diritti fondamentali, la stampa fosse soggetta a non trascurabili pressioni politiche. Sei giornalisti italiani vivono sotto scorta a causa di minacce di morte ricevute in seguito alle proprie inchieste. Da quanto si legge nel rapporto, il livello di violenza fisica e verbale è allarmante, soprattutto nei casi di minacce provenienti dai clan mafiosi verso i reporter che scelgono di occuparsi delle vicende inerenti ai traffici della criminalità organizzata. Critiche anche verso la disciplina penale che prevede la pena della reclusione dai 6 mesi ai 3 anni per i reati di diffamazione a mezzo stampa. Nella controversia Belpietro c. Italia la Corte EDU ha condannato l’Italia poiché la pena detentiva per il reato di diffamazione viola l’art.10 della Convenzione posto a presidio della libertà d’espressione. La giurisprudenza ha pertanto cercato di bilanciare il diritto di critica e il diritto di cronaca sanciti dall’art 21 della Costituzione e il reato di diffamazione, focalizzandosi sui limiti al diritto stesso per far si che operi la scriminante nei casi in cui:

– I fatti narrati corrispondano a verità

– L’esposizione dei fatti rispetti il principio di continenza

– La notizia sia di interesse pubblico

Decisamente più allarmante è la condizione di altri stati, in cui quella perpetrata contro i giornalisti indipendenti è una vera e propria caccia alle streghe, destinata quasi sempre a concludersi con pesanti censure alla libertà di stampa e con la morte dei liberi pensatori. Tra gli stati in questione rientra il Messico che occupa la 147° posizione all’interno della classifica. Nella terra tristemente nota per i cartelli della droga, il pericolo di vita per i giornalisti che scelgono di occuparsi del crimine organizzato e della corruzione politica si traduce in sparizioni, rapimenti e uccisioni a sangue freddo, tollerate grazie al clima di corruzione e di tacita acquiescenza da parte

del governo. La notizia della sparizione e del ritrovamento del corpo senza vita della giornalista trentaduenne Anabel Flores Salazar ha fatto il giro nel mondo, puntando i riflettori su una realtà che difficilmente potrà cambiare.

Il continuo clima di propaganda politica e totale repressione della libertà di stampa ha portato la Russia al 148° posto. Clima oppressivo per coloro che tentano di fare giornalismo di qualità e condanne alla galera per i bloggers e la loro attività sui social network. Il blocco di numerosi siti internet rende ancora più impenetrabile il muro con cui, dopo il suo ritorno al potere, Vladimir Putin ha tentato di separare la Russia dal resto del mondo. Sono passati 11 anni dall’uccisione dell’attivista per i diritti umani e giornalista Anna Politkovskaja, uccisa a causa del suo lavoro di reportage dei crimini russi durante il conflitto in Cecenia e per le sue inchieste sul governo Putin. A tanti anni di distanza la Federazione nazionale stampa italiana denuncia ancora la condizione della Russia, dove gli omicidi restano impuniti nonostante siano stati commessi in circostanze poco chiare e in evidente connessione con l’attività di opposizione governativa dei reporter. Dopo l’incontro a Versailles lo scorso 29 maggio tra il neoeletto Macron e Vladimir Putin, il presidente francese ha definito Russia Today, il quotidiano finanziato dal Cremlino “un organo di propaganda menzognera durante la campagna elettorale”. La querelle tra i due capi di stato è divenuta un botta e risposta serrato rendendo ancora più tesi i rapporti tra i due paesi.

Ancora più sconvolgente è la situazione della Cina, che occupa il 176° posto in classifica, e detiene il primato in quanto stato con il maggior numero di giornalisti e blogger detenuti e costretti con la violenza a confessioni, riprese e trasmesse dal canale New China, in palese violazione del fondamentale diritto al processo. Durante il governo del presidente Xi Jinping, questo clima di terrore e di totale assenza di libertà di stampa, è divenuto la normalità, in un paese in cui per i cittadini è impossibile ricevere informazioni e in cui le prigioni ospitano giornalisti, attivisti colpevoli di aver esercitato legittimamente un loro diritto. Lo scorso novembre il governo cinese ha inoltre approvato un testo di legge che vieta la pubblicazione di contenuti lesivi dell’onore nazionale e volti a rovesciare il sistema socialista. Che si tratti di un disegno politico ben preciso, o di nazionalismo esasperato, ciò dimostra come la Cina nonostante i suoi enormi progressi in campo economico non sia in grado di soddisfare i bisogni più elementari dei suoi cittadini.

L’ultimo stato su cui soffermare l’attenzione è la Turchia, che dal 2016 è sotto l’egemonia del presidente Tayyip Erdogan, che ha usato il suo potere per spazzare letteralmente via gli oppositori politici, servendosi dello stato d’emergenza per censurare ed arrestare giornalisti, decretando la fine dei mass media indipendenti e portavoce dell’opposizione politica. Definita la più grande prigione del mondo per chi svolge la professione, in Turchia i giornalisti vengono imprigionati senza giusto processo, e l’arbitrario esercizio del potere si traduce in ritiro dei passaporti, violenza e mancato rispetto dei diritti fondamentali, quotidianamente calpestati. Pesanti censure anche ai social network, infatti lo scorso 29 aprile le autorità turche hanno bloccato l’accesso a Wikipedia.

La lista di stati in cui la libertà di stampa è quotidianamente violata è lunga e ricca di storie di violenza e sopraffazione, ed è sconvolgente quanto questo diritto sia calpestato non solo in stati dittatoriali in cui le condizioni socio economiche si traducono in realtà di degrado e sottosviluppo allarmanti, ma anche e soprattutto in stati in cui il progresso economico e scientifico ha fatto passi da gigante, traducendosi in realtà di maggior benessere materiale e sociale. Ciò dimostra come però il rispetto dei diritti fondamentali dovrebbe porsi antecedentemente a qualsiasi forma di ricchezza o benessere economico, poiché la libertà di esprimere la propria opinione e di ricevere informazioni, in modo da essere cittadini coscienti e consapevoli è il primo requisito a determinare l’effettiva crescita e il livello di democrazia di una nazione. Non si può parlare di benessere e libertà personale senza riconoscere allo stesso tempo all’individuo la libertà di esprimersi e di informarsi senza limiti e frontiere.

Fonti esterne:

Report annuale di Reporter senza frontiere anno 2017

Anna Giusti

Anna Giusti studia Giurisprudenza presso l'Università di Napoli Federico II. Attualmente svolge un tirocinio presso il Consolato Generale degli Stati Uniti di Napoli. La collaborazione con Ius in itinere nasce dalla volontà di coniugare la sua grande passione per la scrittura al percorso di studi. Collaborare per l'area di diritto internazionale le permette di approfondire le tematiche che hanno da sempre suscitato maggiore interesse in lei, ovvero il diritto internazionale penale, la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti umani, il diritto dell'Unione Europea. Appassionata di viaggi, culture e letterature straniere, si è da sempre dedicata allo studio dell'inglese e del francese.

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