giovedì, Aprile 25, 2024
Criminal & Compliance

La responsabilità penale degli enti: caratteristiche della previsione normativa

Quando si fa riferimento alla responsabilità da reato degli enti non si può prescindere dall’analisi del d. lgs. 231/2001, che ha costituito lo spartiacque in seguito al quale soggetti diversi dalle persone fisiche, aventi o meno personalità giuridica, hanno iniziato ad essere destinatari di sanzioni alla pari dell’altra categoria, con l’evidente finalità di approntare una forma di tutela ad interessi di particolare rilevanza.
Pur ricoprendo un ruolo fondamentale il principio penalistico secondo cui societas delinquere non potest, tale provvedimento si è reso necessario al fine di inquadrare in maniera sistematica il fenomeno dell’illecito commesso da persona appartenente ad un ente o a una persona giuridica in senso lato, settore fino ad allora sprovvisto di una vera e propria regolamentazione.

Per quanto concerne il novero di soggetti cui la normativa in esame si rivolge, occorre puntualizzare che esso è costituito dagli enti dotati di personalità giuridica, dalle società e anche dalle associazioni prive di personalità giuridica, ad esempio le società di capitali, le società di persone, le società cooperative, le società di mutua assicurazione, i consorzi, le associazioni e le fondazioni.
Invece, in casi come quello dell’imprenditore individuale, i consorzi con attività interna e l’impresa familiare, il decreto legislativo 231/2001 non trova applicazione, dal momento che, in questi ed altri casi affini, l’organizzazione rende arduo separare la responsabilità penale della persona fisica dalla quale deriva la responsabilità dell’ente. Altre esclusioni sono quelle dello Stato, degli enti pubblici non economici, degli enti pubblici territoriali e quelli strumentali e quelli che svolgono funzioni costituzionalmente rilevanti.

Gli articoli 2 e 3 del decreto sanciscono i principi di legalità e di successione di leggi consacrati, rispettivamente, già nel comma 2 dell’articolo 25 della Costituzione e nell’art. 2 c.p.

L’articolo 4, invece, è dedicato ai reati commessi all’estero: si specifica, infatti, che nei casi e nelle condizioni previste dal codice penale (art. 7, 8, 9, 10 c.p.), gli enti che hanno la sede principale nel territorio dello Stato rispondono anche per i reati commessi all’estero, a meno che proceda nei loro confronti lo stato del luogo in cui è stato commesso il fatto. I reati in oggetto sono quelli contenuti negli artt. 24 e ss. del decreto legislativo in esame e devono essere stati commessi all’estero da soggetti appartenenti ad una succursale di un ente con sede principale in Italia. La giurisprudenza e la dottrina hanno affrontato la questione opposta, confrontandosi sulla possibilità di applicare tale decreto legislativo agli enti, con sede principale all’estero, i cui dipendenti abbiano commesso un reato in Italia: una prima tesi propugna l’impossibilità dell’applicazione del Dlgs. 231/2001 ad un ente straniero a causa della sua autonomia organizzativa, dell’incompetenza del giudice italiano di valutare il modello organizzativo di una società costituita all’estero e con sede amministrativa fuori dall’Italia, di una possibile litispendenza.
Un’altra tesi si fonda, invece, sul principio del “locus commissi delicti”, ovvero del luogo in cui il reato è stato consumato; la competenza, dunque, spetterebbe al giudice italiano dal momento che le persone fisiche e giuridiche straniere hanno l’obbligo di osservare e rispettare la legge italiana quando operano entro i confini italiani, almeno in base a quanto sostenuto dalla dottrina maggioritaria. Tuttavia l’assenza di una disciplina in materia e il criterio della sede principale in Italia conferiscono validità alla prima tesi.
Se la legge, inoltre, prevede che il colpevole sia punito a richiesta del Ministro della Giustizia, si procede contro l’ente solo se la richiesta è presentata anche nei suoi confronti.

Inizialmente, le fattispecie idonee ad innescare la responsabilità dell’ente erano abbastanza circoscritte e si basavano sulla sussistenza dell’elemento psicologico del dolo: in tempi recenti, invece, il novero è stato significativamente ampliato. Decisivo, in tal senso, è stato l’intervento normativo del 2007,  con l’introduzione dei reati colposi, in particolare l’omicidio colposo e le lesioni colpose gravi o gravissime dovute alla violazione delle norme per la tutela e la sicurezza sul lavoro.

Per quanto attiene ai reati tentati, l’art. 26 c. 1 del Dlgs. 231/2001 prevede che “le sanzioni pecuniarie o interdittive sono diminuite da un terzo alla metà in caso di tentativo dei reati previsti”.

Il 2° comma della stessa norma stabilisce che l’ente non risponde quando impedisce volontariamente il compimento dell’azione o la realizzazione dell’evento; questa causa di esclusione della punibilità dell’ente è stata prevista dal legislatore al fine di indurre la persona giuridica a prevenire la realizzazione di illeciti da parte dei suoi dipendenti.

L’art. 5 comma 1 del d. lgs. 231/2001 riguarda i criteri oggettivi di imputazione della responsabilità dell’ente, ossia l’interesse ed il vantaggio.
L’interesse è rappresentato da un fine insito nella condotta illecita della persona fisica e, per tal motivo, il giudice deve operare una valutazione ex ante, retrodatata al momento dell’azione; la realizzazione dell’interesse, infatti, può avere luogo ma anche restare solo potenziale.
Il vantaggio, invece, è identificato da un profitto materiale ottenuto grazie alla commissione del reato anche in maniera svincolata rispetto all’interesse del soggetto agente. Il vantaggio, in questa accezione, è sempre associato a beni materiali riconducibili al patrimonio.

Per quanto concerne i criteri soggettivi di imputazione, occorre operare una distinzione tra gli apicali e i subordinati, ai sensi dell’art. 5 c.1 lett. a) e b) Dlgs. 231/2001.
I primi svolgono funzioni di rappresentanza, di amministrazione, di direzione dell’ente o di un suo ramo avente autonomia finanziaria e gestionale. Alcuni esempi di soggetti facenti parte di questa categoria sono gli amministratori, gli amministratori non delegati, i membri del consiglio di gestione e del consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico, gli amministratori dipendenti, i direttori generali, le persone che dirigono sedi secondarie dell’ente, dotate di autonomia finanziaria e gestionale, gli amministratori di fatto: come l’imprenditore occulto o la holding se il soggetto ha esercitato in modo continuativo e significativo i poteri tipici della qualifica, i liquidatori, i soggetti destinatari di norme per la tutela e la sicurezza sul lavoro: come il datore di lavoro o alle volte il dirigente che attua le direttive del datore organizzando l’attività lavorativa.
I subordinati, invece, sono assoggettati alla vigilanza e al potere di direzione degli apicali, ovvero persone fisiche che in caso di commissione di reati fanno sorgere una responsabilità amministrativa in capo all’ente.

L’art. 8 del decreto in esame stabilisce la autonomia della responsabilità dell’ente, la quale sussiste anche quando l’autore in concreto del reato non è imputabile oppure non è stato individuato, dimodochè il pubblico ministero possa esercitare l’azione penale contestando il reato alla sola persona giuridica.

Di grande importanza, però, è anche la cd. clausola di irresponsabilità dell’ente, la quale prevede l’esonero da qualsivoglia responsabilità in capo all’ente nel caso in cui il soggetto che abbia effettivamente realizzato la condotta delittuosa abbia agito “nell’interesse esclusivo proprio o di terzi”.

 

 

 

 

 

Dott. Giovanni Sorrentino

Giovanni Sorrentino è nato a Napoli nel 1993. Dopo aver conseguito la maturità classica con il massimo dei voti presso il Liceo Classico Jacopo Sannazaro, intraprende lo studio del diritto presso il dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Napoli "Federico II". Nel dicembre del 2017 si è laureato discutendo una tesi in diritto penale dal titolo "Il riciclaggio", relatore Sergio Moccia. Attualmente sta svolgendo la pratica forense presso lo Studio Legale Chianese. Nel 2012 ha ottenuto il First Certificate in English (FCE). Ha collaborato dal 2010 al 2014 con la testata sportiva online "Il Corriere del Napoli". È socio di ELSA (European Law Students' Association) dal 2015. Nel 2016 un suo articolo dal titolo "Terrore a Parigi: analisi e possibili risvolti" è stato pubblicato su ElSianer, testata online ufficiale di ELSA Italia. Nel 2017 è stato selezionato per prendere parte al Legal Research Group promosso da ELSA Napoli in Diritto Amministrativo (Academic Advisors i proff. Fiorenzo Liguori e Silvia Tuccillo) dal titolo "L'attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni tra diritto pubblico e diritto privato", con un contributo dal titolo "Il contratto di avvalimento". Grande appassionato di sport (ha giocato a tennis per dieci anni a livello agonistico) e di cinema, ama viaggiare ed entrare in contatto con nuove realtà. Email: giovanni.sorrentino@iusinitinere.it

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