martedì, Aprile 23, 2024
Litigation & Arbitration

L’arbitrato amministrato: profili contrattuali e di responsabilità

La formula “arbitrato amministrato” non è prevista dal nostro codice di rito, essa figura solo nell’ultimo comma dell’art. 832 c.p.c., laddove si legge che “se l’istituzione arbitrale rifiuta di amministrare l’arbitrato, la convenzione d’arbitrato mantiene efficacia e si applicano i precedenti capi di questo titolo”. Si badi, in relazione alla disciplina codicistica, di cui all’art. 832 c.p.c., che la legge delega n. 80 del 2005 aveva affidato al governo la potestà di dettare una disciplina dell’arbitrato amministrato, assicurando che l’intervento dell’istituzione arbitrale nella nomina degli arbitri avesse luogo solo se previsto dalle parti e prevedendo, in ogni caso, che le designazioni compiute da queste ultime fossero vincolanti. Ciò, peraltro, risultava e risulta coerente con il contesto normativo che disegna l’impostazione complessiva del fenomeno arbitrale: il nucleo centrale sta nella volontà delle parti[1].

Dunque, generalmente si definisce arbitrato “amministrato” o “istituzionalizzato” quell’arbitrato in cui le parti, anziché predisporre autonomamente le regole che devono disciplinare il procedimento, affidano la gestione e l’organizzazione della procedura ad apposite istituzioni che, tramite i propri regolamenti, offrono al pubblico servizi per la risoluzione di controversie aventi ad oggetto diritti disponibili. Da ciò emerge che l’arbitrato amministrato si differenzia non solo dall’arbitrato singolo o ad hoc, nel quale le parti non si limitano a scegliere di avvalersi dello strumento arbitrale ma provvedono ad individuare nell’accordo compromissorio le regole che loro stesse e gli arbitri devono rispettare nel corso dell’iter procedimentale; ma anche dall’arbitrato regolamentato, che si svolge sulla base di un regolamento predisposto ma svincolato da un’istituzione arbitrale. Pertanto, l’eventuale richiamo ad un regolamento arbitrale non significa necessariamente scelta di un ente amministratore a cui affidare la gestione e l’organizzazione del procedimento[2]. Lo strumento attraverso cui avviene la scelta della forma arbitrale amministrata è la relatio contenuta nell’accordo compromissorio, così il regolamento arbitrale diviene parte integrante della convenzione di arbitrato. Il primo comma dell’art. 832 c.p.c. precisa, altresì, che il rinvio deve riguardare un regolamento precostituito, sicché si ritiene inammissibile l’ipotesi di una clausola arbitrale che richiami un ente in fieri o un ente già costituito il cui regolamento, però, è in corso di formazione al momento della stipulazione della clausola. In questo quadro, devono essere quantomeno ricordate le Camere pubbliche che amministrano l’arbitrato come la sede dell’ANAC, con specifico riferimento al contenzioso nell’ambito dei contratti pubblici, la Camera arbitrale di Milano, azienda speciale della Camera di commercio di Milano che si occupa delle risoluzioni delle controversie commerciali e offre una serie di servizi noti come ADR (Alternative Dispute Resolution), la Camera di conciliazione e di arbitrato presso la Cosnob. Peraltro, il riferimento alle Camere pubbliche che amministrano l’arbitrato offre l’opportunità di segnalare alcune delle regole di comportamento che, in quanto tali, dovrebbero guidare il contegno professionale degli amministratori la giustizia privata. Ad esempio, aderendo ai doveri di una condotta ispirata ai canoni etici di lealtà, imparzialità, riservatezza e correttezza, all’art. 22 del regolamento della Camera di conciliazione e di arbitrato presso la Cosnob[3], si legge che con la dichiarazione di accettazione – data per iscritto e depositata presso la Camera entro 10 giorni dalla comunicazione della nomina – gli arbitri “attestano la permanenza dei requisiti per l’iscrizione nell’elenco e l’inesistenza di: a) rapporti con le parti e i loro difensori tali da incidere sulla propria imparzialità e indipendenza; b) ogni personale interesse, diretto o indiretto, relativo all’oggetto della controversia”. In più, “nel corso del procedimento arbitrale gli arbitri sono tenuti a comunicare tempestivamente alla Camera e alle parti eventuali circostanze sopravvenute idonee a incidere sulla propria indipendenza e imparzialità”. Simmetricamente dispone l’art. 8 del regolamento sull’organizzazione e sul funzionamento della Camera arbitrale dell’ANAC[4]. Evidentemente, nell’arbitrato amministrato l’intervento dell’istituzione arbitrale complica la normale bilateralità del rapporto contrattuale che s’instaura tra le parti e gli arbitri; tratto tipico dell’arbitrato amministrato è il rapporto obbligatorio, di natura contrattuale, che sorge tra le parti e l’istituzione arbitrale. In via di prima approssimazione potremmo dire che si tratta di un contratto di scambio in cui le parti della controversia costituiscono un unico centro di interessi nei confronti dell’arbitrato amministrato e, quindi, fronteggiano l’istituzione come una parte plurisoggettiva[5]. Per ciò che concerne, invece, il rapporto tra arbitri ed istituzione, avendo ricostruito in termini contrattuali il rapporto tra parti e arbitri e tra parti e istituzione arbitrale, diversamente e in via preliminare, in questo caso bisogna sottolineare l’inesistenza di un qualsiasi rapporto contrattuale tra arbitri ed istituzione, anche nel caso in cui il nome dell’arbitro è indicato tra quelli previsti negli elenchi predisposti dall’ente arbitrale[6], sicché la semplice accettazione da parte dell’istituzione della richiesta di un soggetto di essere inserito nell’elenco degli aspiranti arbitri, ovvero l’accettazione da parte di un soggetto della richiesta dell’istituzione di inserimento nell’elenco, non fa sorgere nessun rapporto giuridico, ferma restando, tuttavia, la possibilità che l’iscrizione nell’elenco costituisca oggetto di un accordo tra arbitro ed istituzione. Volendo ora affrontare il tema della responsabilità dell’istituzione arbitrale, preliminarmente, si sottolinea, come ribadito dalla giurisprudenza francese[7], che l’ente gestore della procedura arbitrale è responsabile nei confronti delle parti contendenti, verso le quali è legato da un vincolo di natura contrattuale, ogni qual volta non adempia alle obbligazioni a suo carico derivanti dal contratto di amministrazione di arbitrato. La principale obbligazione gravante sull’istituzione arbitrale è quella di garantire un corretto svolgimento della procedura, rispettando in particolare le regole dettate dalle parti al momento dell’adesione al regolamento. Il criterio ermeneutico, funzionale alla valutazione dell’attività esercitata dall’ente, sarà costituito dal canone di correttezza e buona fede di cui all’art. 1175 c.c., mentre la diligenza richiesta all’istituzione nel compiere gli atti e nell’assumere i comportamenti che le sono attribuiti dal regolamento arbitrale è quella prescritta dal secondo comma dell’art. 1176 c.c.[8]. Si badi, inoltre, che in tema di responsabilità dell’istituzione arbitrale emergono due profili problematici che, dunque, meritano trattazione approfondita. In primo luogo è da osservarsi la circostanza per cui, non di rado, si ritrovano nei regolamenti arbitrali clausole di esonero della responsabilità[9], la cui validità è subordinata al rispetto di due limiti: a norma dell’art. 1229 c.c., non devono preventivamente escludere la responsabilità del debitore anche per dolo o colpa grave e devono essere approvate per iscritto ex art. 1341, secondo comma, c.c.

In secondo luogo è opportuno sottolineare che di regola l’istituzione non è responsabile dell’attività esercitata dagli arbitri che essa stessa ha nominato o che le parti hanno scelto negli elenchi appositamente predisposti. Tuttavia, come precisato da autorevole dottrina, non può escludersi a priori che dal comportamento negligente dell’arbitro, non sia indirettamente sussumibile un comportamento parimenti negligente dell’istituzione nella nomina o nella predisposizione degli elenchi, con la conseguente responsabilità dell’istituzione in solido con l’arbitro del cui contegno, causativo di danno, si tratta[10]. Diversa da tale circostanza è l’ipotesi in cui venga in rilievo un mancato o intempestivo intervento dell’istituzione nell’esercizio dei poteri che le sono attribuiti in base al regolamento. In questo caso sarà riscontrabile una responsabilità diretta dell’istituzione per i danni arrecati alle parti, in solido con l’eventuale responsabilità del singolo arbitro; difatti, il principio enucleabile dall’art. 2055 c.c. della responsabilità solidale è qui applicabile solo in via analogica, dal momento che in questo caso i coautori del danno rispondono entrambi a titolo contrattuale e non extracontrattuale[11]. Altra ipotesi in cui può venire in evidenza la responsabilità dell’ente arbitrale fa riferimento al controllo prima facie sulla legittimità della convenzione arbitrale. A riguardo, se prevista dal regolamento arbitrale, la prima attività, che cronologicamente viene svolta dall’istituzione, consiste nel verificare se sussista un valido accordo compromissorio tra le parti contendenti idoneo ad intraprendere il procedimento presso le strutture della camera arbitrale, specularmente, ciò consente all’istituzione di rifiutarsi di amministrare l’arbitrato nel caso in cui non ricorrano in concreto i presupposti affinché sia correttamente instaurata la procedura. Qualora l’istituzione ritenga non sussistenti tutti gli elementi necessari ad intraprendere la procedura arbitrale e rifiuti di amministrare l’arbitrato, ciascuna delle parti in lite, facendo leva sul disposto dell’art. 1453 c.c., può adire l’autorità giudiziaria per chiedere l’adempimento del contratto di amministrazione ovvero la sua risoluzione, salvo in ogni caso il risarcimento del danno. Va da sé che, in caso di ingiustificato rifiuto ad amministrare, l’istituzione risponderà di inadempimento contrattuale nei confronti dei compromittenti, salvo che dimostri che l’errore di valutazione circa la mancata presenza dei requisiti richiesti non era in concreto evitabile[12]. Si può ritenere, diversamente, che l’istituzione arbitrale possa rifiutare, senza limiti, di amministrare l’arbitrato, pur in presenza dei relativi presupposti, solo nel caso in cui nel regolamento sia enucleabile la facoltà di recesso ad nutum ovvero una condizione risolutiva potestativa, sicché in difetto di una previsione esplicita, non è possibile ritenere che la facoltà di rifiuto sia implicitamente ricompresa nel potere di effettuare la verifica prima facie[13].

[1] Cfr., E. ZUCCONI GALLI FONSECA, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, in Riv. trim. dir. Proc. civ., 2008, 994, laddove si notava come nel testo dell’art. 832 c.p.c. si potesse scorgere una latente preoccupazione, da parte del legislatore delegato, volta ad evitare spinte di protagonismo degli enti arbitrali rispetto alle parti.

[2] In tal senso v., E. ZUCCONI GALLI FONSECA, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, 995.

[3] Cfr., Delibera COSNOB 29/12/2008 n. 16736. – Adozione del regolamento di attuazione del decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, concernente la Camera di conciliazione e di arbitrato presso la Cosnob e le relative procedure.

[4] Cfr., Autorità Nazionale Anticorruzione, Regolamento sulla organizzazione e sul funzionamento della Camera arbitrale, pubblicato in G.U n. 19 del 24 gennaio 2015.

[5] Cfr., S. BOCCAGNA, in La nuova disciplina dell’arbitrato, (a cura di) S. MENCHINI, 484.

[6] Cfr., E. ZUCCONI GALLI FONSECA, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, 1000.

[7] Cfr., Cour d’appel de Paris 15 settembre 1998, Société Cubic, in Rev arb., 1999.

[8] Cfr., E. ZUCCONI GALLI FONSECA, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, 1002;

  1. VACCARELLA, Note in tema di rapporto contrattuale fra le parti e l’istituzione arbitrale e di responsabilità civile di quest’ultima, 36.

[9] VACCARELLA, Op., cit., 36.

[10] In questo senso v., R. CAPONI, L’arbitrato amministrato dalle Camere di commercio in Italia, 687.

[11] Si veda, R. CAPONI, Op., cit., 688.

[12] Cfr., R. CAPONI, Op., cit., 688.

[13] In questo senso v., E. ZUCCONI GALLI FONSECA, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, 1001.

Elena Ficociello

Elena Ficociello nasce a Benevento il 28 luglio del 1993. Dopo aver conseguito la maturità classica presso l'istituto "P. Giannone" si iscrive alla facoltà di giurisprudenza Federico II di Napoli. Si laurea il 13 luglio del 2017, discutendo una tesi in diritto processuale civile, relativa ad una recente modifica alla legge sulla responsabilità civile dello Stato-giudice, argomento delicato e problematico che le ha dato l'opportunità di concentrarsi sui limiti dello ius dicere. A tal proposito, ha partecipato all'incontro di studio organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura presso la Corte di Appello di Roma sul tema "La responsabilità civile dei magistrati". Nell'estate del 2016, a Stasburgo, ha preso parte al master full time "Corso Robert Shuman" sulla tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, accreditato dal Consiglio Nazionale Forense, convinta che un buon avvocato, oggi, non può ignorare gli spunti di riflessione che la giurisprudenza della Corte EDU ci offre. Adora viaggiare e già dai primi anni di liceo ha partecipato a corsi di perfezionamento della lingua inglese, prima a Londra e poi a New York, con la Greenwich viaggi. È molto felice di poter collaborare con Ius in itinere, è sicuramente una grande opportunità di crescita poter approfondire e scrivere di temi di diritto di recente interesse. Contatti: elena.ficociello@iusinitinere.it

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