martedì, Aprile 23, 2024
Litigation & Arbitration

L’atto pubblico e l’eventuale giudizio di falso

“L’atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato”, così recita l’art. 2699 c.c., punto di partenza obbligato per chiunque intenda affrontare una disamina completa del documento pubblico e del suo correlato valore probatorio.

Infatti, come sintetizzavano felicemente i padri del diritto con la formula “fiunt scripturae, ut quod actum est, per eas facilius probari possit”, le scritture sono poste in essere affinché  possa più facilmente provarsi quello che è stato fatto. Sicuramente si tratta del documento più formale che il nostro ordinamento conosce ed evidentemente, come tutti gli altri documenti individuati dal legislatore, eccezion fatta per le riproduzioni, anche l’atto pubblico è il risultato tangibile di un’attività indirizzata: quella della documentazione.

La produzione del documento trae origine dall’opportunità di conservare traccia di una vicenda passata con la peculiarità, in questo caso, che il procedimento di formazione dell’atto è tale da garantire maggiormente l’attendibilità della rappresentazione, ragion per cui gli si conferisce un particolare valore probatorio. Si parla, per l’atto pubblico, di documento assistito da pubblica fede. Pubblica fede che ha come presupposto proprio la redazione formale dell’atto da parte del notaio o di altro pubblico ufficiale investito dall’ordinamento di una funzione supplementare, qual è quella di dare certezza alle rappresentazioni contenute nel documento da loro prodotto.

Continuando lungo tale iter argomentativo, pubblica fede significa che la rappresentazione contenuta nel documento de quo fa piena prova e che, simmetricamente, l’unico strumento per elidere tale forza probatoria è quello di dimostrare con apposito procedimento che il documento è falso. A riprova segue la formula lapidaria dell’art. 2700 c.c., per cui: “L’atto pubblico fa piena prova fino a querela di falso”.

Ma di cosa il documento pubblico fa piena prova fino a querela di falso? Il codice civile all’art. 2700 specifica che fa prova “della provenienza del documento da parte del pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”. Sinteticamente, si dice che la pubblica fede investe tutto ciò che riguarda l’estrinseco dell’atto, coerentemente peraltro, con la natura eterografa del documento in esame.

Per amor di completezza, occorre precisare che redatto il documento il pubblico ufficiale raccoglie le firme con un formalismo notevole, dunque, nonostante la provenienza dell’atto è attestata dal pubblico ufficiale rogante, vi è un obbligo di sottoscrizione delle parti. In questo quadro emerge che la sottoscrizione è elemento servente e idoneo a dare atto che la documentazione da parte del pubblico ufficiale e in particolare la verbalizzazione degli enunciati è stata fedele, tant’è che il pubblico ufficiale responsabile della verbalizzazione legge preventivamente alle parti il documento, al fine di sincerarsi di aver riprodotto esattamente le dichiarazioni udite e le operazioni compiute in sua presenza e le parti firmando confermano tale esattezza e fedeltà della rappresentazione.

Alla luce delle fatte precisazioni, quando è acquisito al processo un documento pubblico, lo stesso è immediatamente utilizzabile ed è la parte contro cui il documento è prodotto che deve assumere l’iniziativa processuale mediante la contestazione della veridicità del documento assumendosi il rischio del processo, sicché se non dovesse riuscire a dare prova della falsità, la forza del documento resterebbe invariata. Si badi che l’azione in esame che, com’è noto, prende il nome di querela di falso, può avere ad oggetto tanto il documento pubblico che la scrittura privata riconosciuta o autenticata.

Orbene, se la querela riguarda il documento pubblico, con essa è possibile dedurre sia una falsità materiale, si faccia a riguardo il caso in cui il documento non è stato redatto dal pubblico ufficiale o è stato in tutto o in parte contraffatto, sia una falsità ideologica, il pubblico ufficiale, in tal caso, avrebbe attestato vicende non avvenute in sua presenza o avvenuta in maniera diversa. Per ciò che concerne gli aspetti eminentemente processuali, la querela di falso può essere proposta, come nel caso della verificazione allorquando l’oggetto sia una scrittura privata non autenticata o riconosciuta, sia in via principale che in via incidentale.

Il giudizio di falso in via principale viene proposto con atto di citazione che deve essere sottoscritto personalmente dalla parte o da un suo rappresentante speciale, competente è il tribunale ex art. 9 c.p.c., e ciò dipende dalla circostanza che è previsto come necessario l’intervento del p.m.

Si badi, peraltro, che il giudizio di falso ex art. 50 bis c.p.c, è investito dalla riserva di collegialità. A differenza di quanto previsto per la verificazione, non è previsto uno specifico interesse, in quanto la rilevanza extraprocessuale del documento pubblico, come si è avuto modo di apprezzare, è indubbia. Il giudizio di falso in via incidentale, diversamente, viene iniziato con dichiarazione personale della parte o di un suo procuratore speciale da inserire nel processo verbale di udienza. La querela può essere proposta in ogni stato e grado del processo, così che si ritiene possibile proporla anche dinanzi al collegio nelle memorie conclusive.

Il legislatore circonda di precauzioni la proposizione della querela, difatti, essa deve contenere, in primo luogo e a pena di nullità, l’indicazione degli elementi e delle prove della falsità.

In secondo luogo, il giudice deve preventivamente interpellare la parte che ha prodotto il documento per sapere se, nonostante la proposizione della querela, intenda avvalersi del documento: se la risposta è negativa, il documento non è utilizzabile e la querela diventa inutile; se la risposta è positiva, il giudice deve valutare la rilevanza del documento; se ritiene che il documento non è rilevante, con ordinanza non ammette la querela, altrimenti ne autorizza la presentazione. Spinosa, infine, è la questione circa l’efficace della sentenza sul falso. Parte della dottrina, rispetto al giudizio di falso, parla di un accertamento negativo del rapporto obbligatorio e fisiologicamente limita l’efficacia della sentenza tra le parti del giudizio.

Altra parte della dottrina, diversamente, parla di un giudizio di tipo obiettivo, nel quale mancherebbe un contraddittorio in senso proprio, compensato, però, dal controllo del pubblico ministero e coerentemente estende l’efficacia della sentenza erga omnes.

La tesi prevalente, anche in giurisprudenza, è nel senso che tale giudizio, pur essendo un giudizio di parti, ha per oggetto la verità o falsità del documento e non si limita alla forza probatoria di esso, così da essere opponibile erga omnes. Se così non fosse, d’altra parte, non si comprenderebbe la ragione dell’intervento del p.m. e soprattutto delle disposizioni accessorie di cui all’art. 226 c.p.c. in relazione all’art. 537 c.p.c., in virtù delle quali, dopo la sentenza di accoglimento della querela, si procede alla formazione di un documento nuovo, conforme alla verità. Il valore extraprocessuale del documento fa da sfondo e regola, seppur indirettamente, l’esodo di questo speciale procedimento idoneo a contestarne la veridicità.

Elena Ficociello

Elena Ficociello nasce a Benevento il 28 luglio del 1993. Dopo aver conseguito la maturità classica presso l'istituto "P. Giannone" si iscrive alla facoltà di giurisprudenza Federico II di Napoli. Si laurea il 13 luglio del 2017, discutendo una tesi in diritto processuale civile, relativa ad una recente modifica alla legge sulla responsabilità civile dello Stato-giudice, argomento delicato e problematico che le ha dato l'opportunità di concentrarsi sui limiti dello ius dicere. A tal proposito, ha partecipato all'incontro di studio organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura presso la Corte di Appello di Roma sul tema "La responsabilità civile dei magistrati". Nell'estate del 2016, a Stasburgo, ha preso parte al master full time "Corso Robert Shuman" sulla tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, accreditato dal Consiglio Nazionale Forense, convinta che un buon avvocato, oggi, non può ignorare gli spunti di riflessione che la giurisprudenza della Corte EDU ci offre. Adora viaggiare e già dai primi anni di liceo ha partecipato a corsi di perfezionamento della lingua inglese, prima a Londra e poi a New York, con la Greenwich viaggi. È molto felice di poter collaborare con Ius in itinere, è sicuramente una grande opportunità di crescita poter approfondire e scrivere di temi di diritto di recente interesse. Contatti: elena.ficociello@iusinitinere.it

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