martedì, Aprile 16, 2024
Criminal & Compliance

L’impugnabilità soggettiva nel processo penale: legittimazione e interesse ad impugnare.

 

Tratti generali della legittimazione e dell’interesse ad impugnare

 

L’articolo 568 del codice di procedura penale apre il Titolo I del Libro IX dedicato alle impugnazioni ed introduce le disposizioni generali in materia. Il terzo comma recita: “Il diritto ad impugnare spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce. Se la legge non distingue tra le diverse parti, tale diritto spetta a ciascuna di esse”. È, questo, il principio di tassatività soggettiva, che completa quello di tassatività oggettiva di cui al primo comma: “La legge stabilisce i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti a impugnazione e determina il mezzo con cui possono essere impugnati”.

Il primo requisito o, per usare le parole di Francesco Mauro Iacoviello, il primo “selettore” di impugnabilità soggettiva è, quindi, la legittimazione ad impugnare, minuziosamente descritta negli articoli successivi. Così, legittimati a contestare la pronuncia giudiziaria sono il pubblico ministero (art. 570), l’imputato (art. 571), il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (art. 575), la parte civile e il querelante (art. 576).

Per proporre impugnazione non basta, però, esserne legittimati: pure “è necessario avervi interesse” (art. 568 co. 4). Ecco, allora, che viene a profilarsi il secondo “selettore” dell’impugnabilità soggettiva: l’interesse ad impugnare.

Legittimazione ed interesse ad impugnare sono presupposti di ammissibilità dell’impugnazione, come espressamente sancito dall’art. 591 co.1 lett. a c.p.p., che dispone l’inammissibilità della contestazione contro una sentenza giudiziaria “quando è proposta da chi non è legittimato o non ha interesse”.

Seppure diversi, essi quindi vivono in simbiosi, sicché per proporre impugnazione è necessario essere legittimati e avere interesse. Se, però, non ci può essere interesse senza legittimazione, è ben possibile essere legittimati ad impugnare ma non avervi interesse. È il caso, per esempio, del condannato che vuole ottenere una pena più alta.

Il rapporto tra legittimazione e interesse si articolare in una maniera tale per cui si può dire che mentre la legittimazione appartiene alla “statica giuridica”, l’interesse concretizza la “dinamica giuridica” [G. SPANGHER]. Nelle norme dedicate alla legittimazione ad impugnare, infatti, il legislatore compie una valutazione aprioristica sull’interesse ad impugnare, individuando ex ante quei soggetti che astrattamente sono titolari del diritto di proporre contestazione contro una sentenza giudiziaria. L’interesse ad impugnare, invece, impone che il giudice valuti caso per caso la meritevolezza e l’apprezzabilità delle pretese secondo l’ordinamento giuridico. Tale presupposto, insomma, si comporta come un filtro che opera una cernita degli interessi che possono giustificare la proposizione di una impugnazione.

Allora, il giudice prima deve verificare se l’impugnante rientra in una delle categorie di soggetti che il legislatore codicistico ha ritenuto astrattamente titolari del potere di impugnare, e solo in seguito all’esito positivo di tale valutazione dovrà controllare le ragioni che sostanziano l’impugnazione.

L’interesse, poi, nella laconicità del testo codicistico – che si limita a richiederne l’esistenza – è stato definito dalla giurisprudenza in numerose occasioni come “oggettivo”, e cioè l’impugnazione non deve essere volta alla realizzazione di un interesse meramente soggettivo, ma deve perseguire un fine ritenuto meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico nel suo complesso; “concreto”, ovvero teso alla realizzazione di un risultato pratico; e “attuale”, quindi deve sussistere dal momento della proposizione della contestazione fino a quello della decisione.

Dalla combinazione dei due requisiti di ammissibilità ne discende che l’imputato ha senz’altro interesse ad impugnare la sentenza di condanna per ottenere il proscioglimento o l’attenuazione del trattamento sanzionatorio, ma anche al fine di rimuovere l’efficacia extrapenale della sentenza, come rivela la Cassazione penale con sentenza del 14 febbraio n. 208003 : “L’interesse rileva non solo quando l’imputato, attraverso l’impugnazione, si riprometta di conseguire effetti penali più vantaggiosi (quali, ad esempio, l’assoluzione o la mitigazione del trattamento sanzionatorio), ma anche quando si prospettino delle conseguenze extrapenali più favorevoli, come quelli che l’ordinamento, rispettivamente, fa derivare dall’efficacia del giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nei giudizi di danno (artt. 651 e 652 c.p.p.), dal giudicato di assoluzione nel giudizio disciplinare (art. 653 c.p.p.) e del giudicato delle sentenze di condanna e di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654 c.p.p.)”.

L’imputato, però, ha interesse anche ad impugnare le sentenze di proscioglimento per ottenere la modificazione della formula di proscioglimento quando in tal modo può ottenere un vantaggio, anche semplicemente civile, disciplinare o morale (Cass. Penale 9 gennaio 1990) . Ovviamente l’interesse mancherà nel caso in cui sia stato prosciolto con le formule “il fatto non sussiste” o “per non aver commesso il fatto” ai sensi dell’art. 530 c. 1 c.p.p. perché massimamente liberatorie. Allo stesso modo, non sarà interessata l’impugnazione diretta contro una sentenza di proscioglimento volta ad ottenere una formula non dissimile dal punto di vista degli effetti penali. Ancora, non c’è alcun interesse a sorreggere la contestazione rivolta contro una sentenza di proscioglimento con la formula “manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova” (art. 530 co. 2 c.p.p.) quando oggetto della contestazione sia solo la parte motiva della sentenza, senza alcuna conseguenza sul dispositivo.

L’impugnazione dell’imputato, dunque, per poter essere ritenuta ammissibile, deve essere tesa all’ottenimento di una pronuncia in concreto più favorevole per l’impugnante. Dunque, sarebbe impugnabile la sentenza di assoluzione “per non aver commesso il fatto” sulla base di prove mancanti, insufficienti e contraddittorie, quando l’accertamento penale è in grado di produrre effetti extrapenali ai sensi degli artt. 652 e 653 c.p.p. .

Il PM, dall’altro lato, ha il compito di vegliare sull’osservanza della legge e sulla “pronta e regolare amministrazione della giustizia” (art. 73 ord. Giud.). L’interesse ad impugnare in questo caso, dunque, è legato alla sua funzione istituzionale. Allora, in via generale, svolgendo il PM una funzione pubblica, egli può impugnare sia nell’ottica di correggere l’ingiustizia della sentenza, sia di assicurare la funzione punitiva dello stato, sia di garanzia dell’interesse dell’imputato, purché non si sostituisca all’esercizio delle azioni spettanti alle parti private (art. 77 c.p.p.).

Peraltro, anche l’interesse che deve sorreggere l’impugnazione del PM deve essere attuale e concreto, in linea con l’eliminazione dal nostro ordinamento giuridico penale dell’impugnazione nell’interesse della legge.

 

 

Laura De Rosa

Raccontarsi in poche righe non è mai semplice, specialmente laddove si intende evitare l’effetto “lista della spesa”. Cosa dire di me, dunque, in questa piccola presentazione per i lettori di “Ius in itinere”? Una cosa è certa: come insegnano le regole di civiltà e buona educazione, a partire dal nome non si sbaglia mai. Mi chiamo Laura De Rosa e sono nata nella ridente città di Napoli nel 1994. Fin da bambina ho coltivato la mia passione per la scrittura, che mi ha portato a conseguire col massimo dei voti nel 2012 il diploma classico presso il liceo Adolfo Pansini. Per lungo tempo, così, greco e latino sono stati per me delle seconde lingue, tanto che al liceo rimproveravo scherzosamente la mia professoressa di greco accusandola del fatto che a causa sua parlassi meglio delle “lingue morte” piuttosto che l’inglese. Tuttavia, ciò non ha impedito che anche io perdessi la mia ignoranza in proposito e oggi posso vantare un livello B2 Cambridge ed una forte aspirazione al C1. Parlo anche un po’ di spagnolo e, grazie al programma Erasmus Plus che mi ha portato nella splendida Lisbona, ora posso dire con fierezza che il portoghese non è più per me un mistero. Sono cresciuta in un ambiente in cui il diritto è il pane quotidiano ed ho sempre guardato a questo mondo come a qualcosa di familiare e allo stesso tempo estraneo, perché talvolta faticavo a comprenderlo. Approcciata agli studi legali, invece, la mia visione delle cose è cambiata e mi sono accorta come termini che prima mi apparivano incomprensibili e lontani invece rappresentano la realtà di tutti giorni, anzi ci permettono di vedere e capire questa realtà. Ho affrontato, nel mio percorso universitario, lo studio del diritto penale con uno spirito critico mosso da queste considerazioni e sono giunta alla conclusione che questo ramo è quello che, probabilmente, più di tutti gli altri rappresenta l’uomo. Oggi sono iscritta all’ultimo anno della laurea magistrale presso l’Università Federico II di Napoli e, nonostante non ci sia branca del diritto che manchi di destare la mia curiosità, sono sempre più convinta di voler dare il mio contributo all’area penalistica. L'esser diventata socia di ELSA sicuramente ha rappresentato per me un'ottima opportunità in questo senso. Scrivere per un giornale non è, per me, un’esperienza nuova. La mia collaborazione con “Ius in itinere” ha però un sapore diverso: nasce dal desiderio di mettermi in gioco come giurista, scrittrice e membro della società. Il diritto infatti, come l’uomo, vive e si sviluppa. E come l’uomo ha un animo, aspetto da tenere sempre presente quando ci si approccia a studi giuridici. Mia volontà è dare un contributo a questo sviluppo nell’intento e nella speranza di collaborare ad un diritto più “giusto” e più “umano”. Oggi nelle vesti di scrittrice, un domani in un ruolo ancor più attivo. Mail: laura.derosa@iusinitinere.it

Lascia un commento