venerdì, Marzo 29, 2024
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Market abuse tra disciplina e applicazione giurisprudenziale

Sommario: 1. Il reato di market abuse; 2. Le agenzie di rating: la Standard&Poor’s; 3. Il caso: gli episodi contestati; 3.2: La decisione; 4. Considerazioni conclusive.

Il Tribunale di Trani in composizione collegiale, in data 30 marzo 2017, con sentenza n. 837, depositata il 29 settembre 2017, ha definito il primo grado del c.d. “processo alle agenzie di rating”. Una pronuncia, questa, che rappresenta  un unicum per la nostra giurisprudenza, non esistendo allo stato, alcun precedente di rilievo che si soffermi su vicende quantomeno teleologicamente affini.

Tuttavia, prima di analizzare partitamente gli episodi contestati dalla Pubblica Accusa, bisogna chiarire taluni profili teorici chiave ai fini di una più compiuta comprensione dell’intervento giurisprudenziale.

“Come noto, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trani aveva ritenuto che i plurimi declassamenti  del rating del debito pubblico della Repubblica italiana – operati dall’agenzia Standard & Poor’s tra il maggio 2011 e il gennaio 2012 – fossero avvenuti con modalità tali da integrare gli estremi di una condotta di manipolazione del mercato.”[I]

Agli analisti ed ai manager dell’agenzia di rating veniva contestata l’ipotesi propriamente detta di market abuse.

1. Il reato di market abuse

La locuzione «abuso di mercato» rappresenta anzitutto una formula riassuntiva in cui sono ricomprese due distinte condotte illecite: l’abuso di informazione privilegiate (insider trading) e la manipolazione del mercato. L’insider trading si ha quando un investitore (insider primario), in possesso di un’informazione privilegiata ovvero un’informazione precisa non ancora resa nota al pubblico ed in grado di avere effetti diretti sul prezzo di uno strumento finanziario, sfrutta il proprio vantaggio per compiere attività di trading, oppure decide di comunicarla ad altri investitori (insider secondari) o addirittura raccomandare determinati investimenti sfruttando il suddetto vantaggio informativo (tipping e tuyayutage).

La manipolazione del mercato consiste invece nella diffusione di notizie false o tendenziose ma apparentemente degne di credito per alterare il prezzo degli strumenti finanziari.

Nell’ordinamento italiano sino al 2005 i casi di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato erano sanzionati esclusivamente in sede penale sotto forma di delitti dagli artt. 184 e 185 del T.u.f.

“Successivamente, con la legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), attuativa della direttiva n. 2003/6/CE (cosiddetta Market Abuse Directive – MAD I), ai delitti indicati vennero affiancati due paralleli illeciti amministrativi previsti, rispettivamente, dagli artt. 187-bis (insider trading) e 187- ter (manipolazione di mercato) del T.u.f. Questi illeciti amministrativi risultano perfettamente corrispondenti ai citati delitti, nel senso che hanno la medesima formulazione della corrispondente fattispecie penale. Peraltro, tale sovrapposizione dell’ambito applicativo di ciascun delitto con il corrispondente illecito amministrativo è contemplata dallo stesso legislatore, come risulta dalla clausola di apertura degli artt. 187-bis e 187-ter «salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato»[II].

Il “doppio binario” che nasce dal sistema così delineato spinge il nostro ordinamento in uno stato di fibrillazione che solo il giudice europeo ha censurato, dichiarando la disciplina in oggetto in contrasto con l’art. 4 del Protocollo 7 della CEDU , a tenore del quale “Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato”[III].

Ad essere punito, ai sensi dell’art. 185 T.u.f. (Manipolazione del mercato), è “chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro ventimila a euro cinque milioni.”

2. Le agenzie di rating: la Standard&Poor’s

Ora, le vicende contestate risalgono al 2011. Anni di crisi del nostro paese, in cui il termine agenzie di rating iniziava a divenire familiare anche alle orecchie meno attente.

Castalda e Palla sul punto scriveranno che “se appare indiscutibile che, ad oggi, le agenzia di rating svolgono un’attività di particolare rilevanza nel contesto economico-finanziario internazionale, è altrettanto vero e non sono mancati dubbi circa la qualità e il valore effettivo delle informazioni da esse prodotte. Nel corso dell’indagine relativa all’industria del rating sono stati rilevati paradossi e contraddizioni che hanno sollevato non poche perplessità specie nella misura in cui, a fronte delle criticità collegate a tale strumento, corrisponde tuttavia una sorta di sudditanza da rating da parte dei mercati finanziari. Si è appurato che il problema del mercato del rating non è tanto da rinvenirsi nel suo elevato tasso di concentrazione, quanto, piuttosto, nell’assenza di una dinamica competitiva effettiva tra le agenzia che vi operano. I due operatori che vi operano (Moody’s e Standard & Poor’s) hanno significative partecipazioni incrociate.”[IV]

Provando ad essere chiari, un’agenzia di rating o agenzia di valutazione è una società che assegna un giudizio o valutazione (rating) riguardante la solidità e la solvibilità di una società emittente titoli sul mercato finanziario. Queste società sorgono per aiutare ad affrontare i problemi di asimmetria informativa presenti sul mercato al fine di aumentarne l’efficienza a livello globale fornendo informazioni utili d’investimento.

Gli investitori presenti sui mercati si affidano infatti ai giudizi emessi dalle agenzie di rating per decidere quali titoli comprare e in che misura, a seconda della predisposizione al rischio dei soggetti investitori.

La complessa analisi sull’affidabilità creditizia di un emittente o emissione viene comunicata in maniera sintetica attraverso simboli alfanumerici che variano da un’agenzia di rating all’altra e che sono ordinati in scale.

La scala dei rating di Standard & Poor’s varia tra dalla categoria A (valore massimo) alla categoria D (valore minimo).

Nella scala dei rating si distinguono due categorie di investimento: investment grade e non-investment grade. La prima categoria si riferisce agli emittenti e alle emissioni con una buona capacità di ripagare alla scadenza il capitale e gli interessi; la seconda, “non investment grade” si riferisce agli strumenti di debito per i quali l’emittente ha la capacità di ripagare il debito, ma potrebbe presentare significative difficoltà nel fronteggiare le incertezze, come condizioni economiche o finanziarie avverse.  I rating di lungo periodo sono assegnati a titoli con scadenza superiore all’anno; mentre i rating di breve periodo sono assegnati a titoli con scadenza di un anno o inferiore a un anno. [V]

A questo punto occorre un ulteriore passaggio: l’attività di queste agenzie non si sostanzia esclusivamente (ed è questo un passaggio necessario ai fini della comprensione della motivazione della sentenza in esame) nell’ elaborazione ed emissione del rating ma anche in un’attività prospettica o di osservazione.

Quella prospettica prende il nome di “credit outlook” che il Financial Times definisce come segue: “a credit or rating outlook indicates the potential direction of a rating over the intermediate term, typically six months to two years. When determining a rating outlook, consideration is given to any changes in the economic and/or fundamental business conditions. An outlook is not necessarily a precursor of a rating change, and is often used to maintain the stability of long-term ratings.

The outlook provides information to investors on the potential evolution of a rating, hence it increases the precision of the rating.” [VI]

In maniera più stringata, l’art. 3 del Regolamento Europeo n.462/2017 parla di un parere relativo alla probabile evoluzione del rating del credito nel breve, nel medio termine o in entrambi. [VII]

Questo sta a significare che quando gli analisti di Standard & Poor’s ritengono che un rating possa modificarsi nel giro di 6 – 24 mesi, viene pubblicato un “Outlook” (o “Previsione”) indicando la direzione del possibile cambiamento nel medio – lungo termine: positivo, stabile, negativo o in fase di sviluppo – developing (in quest’ultimo caso è incerta la tendenza della variazione del rating verso il basso o verso l’alto).

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p style=”text-align: justify;”>Se invece, intervengono circostanze tali da poter modificare un rating nel breve periodo, cioè entro 90 giorni, Standard & Poor’s mette il rating sotto osservazione o CreditWatch.
L’aggiornamento di un Outlook o di un CreditWatch di Standard & Poor’s include ovviamente le motivazioni del potenziale cambiamento e la sua entità verso l’alto o verso il basso ma non significa necessariamente che il cambiamento del rating sia inevitabile. [VIII]

3. Il caso: gli episodi contestati

In ordine al contenuto del provvedimento, l’ipotesi accusatori formulata dal Pubblico Ministero di Trani si regge su due capi di imputazione:

Il capo a) concerne le presunte condotte di manipolazione del mercato ex art 185 T.u.f (aggravate ai sensi dell’art 61, n.7 c.p.) contestate nei confronti di 5 soggetti, analisti o manager della Standard & Poor’s perché, in concorso tra loro e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso ed in tempi diversi (compresi tra il maggio 2011 ed il gennaio 2012) ponevano in essere una serie di artifici – tanto nell’elaborazione quanto nella diffusione (comunicazione ai Mercati Finanziari) dei “reting” sul debito sovrano italiano – concretamente idonei a provocare: 1) una destabilizzazione dell’immagine e del prestigio e affidamento creditizi dell’Italia sui mercati nazionali ed internazionali; 2) una sensibile alterazione del valore dei titoli di Stato italiano, segnatamente un loro deprezzamento; 3) un indebolimento della moneta italiana ed europee “Euro”.

Attraverso i suddetti artifici, continua il PM, “fornivano intenzionalmente ai Mercati finanziari (quindi agli investitori) un’informazione tendenziosa e distorta in merito all’affidabilità creditizia italiana ed alle iniziative di risanamento e rilancio economico adottate dal Governo italiano, per modo di disincentivare l’acquisto di titoli di debito pubblico italiano e deprezzarne, così, il valore”[IX]

Il fatto contestato presenta una struttura a dir poco complessa, dal momento che si articola su distinti episodi:

– Innanzitutto, in data 21 maggio 2011 veniva diffuso da Standard &Poor’s un report avente ad oggetto il taglio del debito sovrano italiano. Tuttavia, le ragioni poste alla base del declassamento sono state diffuse solo due giorni dopo, il 23 maggio 2011.

La natura artificiosa della condotta – a parere del P.m. – è configurabile sotto un duplice aspetto.

Da un lato, il lasso temporale intercorso tra la divulgazione della notizia dell’abbassamento del rating e la diffusione della relazione illustrativa del declassamento, avrebbe determinato una «volatilità ed un’incertezza che (con)causava sensibili perdite sui titoli azionari, obbligazionari e titoli di Stato nazionali».

Dall’altro, il giudizio negativo espresso dall’agenzia sarebbe stato «nel merito» infondato e tendenzioso, in quanto contrastante con i dati ufficiali menzionati dal Ministero dell’Economia il precedente 21 maggio 2011.

– Il secondo episodio contestato risale a venerdì 1 luglio 2011, allorquando Standard&Poor’s elaborava e diffondeva una nota, contenente giudizi negativi sulla manovra finanziaria presentata dal Ministero dell’Economia, ancor prima che la medesima fosse pubblicata in Gazzetta Ufficiale. La diffusione di tale nota in via “anticipata” avrebbe avuto l’effetto di determinare delle «turbolenze sul mercato dei titoli di Stato italiani, con pericolo concreto di deprezzamento degli stessi».

– La terza contestazione riguarda la scelta della Standard &Poor’s di diramare – il 5 dicembre 2011 – un comunicato con il quale veniva preannunciato un successivo, ulteriore, declassamento dei titoli di Stato italiani, «pur senza decretarlo»: l’effetto sarebbe stato quello di creare un concreto pericolo di «predisporre negativamente i mercati finanziari, nonostante l’intervenuto cambio di leader alla guida del Governo e le riforme strutturali preannunziate».

Tale “credit watch negativo” trovava quindi concreta attuazione il successivo 13 gennaio 2012, allorché l’agenzia procedeva all’annunciato declassamento del rating del debito sovrano italiano.

L’illiceità insita in quest’ultimo episodio si condenserebbe – secondo la Pubblica Accusa – nel fatto di aver basato il taglio del rating su un giudizio errato circa le condizioni del sistema bancario italiano (sul piano dell’entità del debito estero), nonostante il responsabile del Bank Team per l’Italia avesse evidenziato agli analisti l’erroneità del medesimo. Il riferimento al sistema bancario italiano sarebbe stato quindi rimosso «solo parzialmente e solo sul testo in lingua inglese e non invece – come per legge – alla Repubblica italiana[…], né su quello in lingua italiana e diffuso in Italia». L’effetto, ritiene il P.m., sarebbe stato quello di generare «ulteriore confusione e distorsione delle informazioni rese alla Repubblica italiana, ai mercati, agli analisti ed agli investitori».

3.2. La decisione

Il Tribunale prosegue quindi con l’analisi della normativa di riferimento, nazionale e sovranazionale, in materia di abusi di mercato e di rating.

A tal riguardo, assume centrale rilievo il Regolamento (CE) n. 1060/2009 che, fino al 2013 ha rappresentato la norma di riferimento disciplina dell’attività di rating a livello europeo; il legislatore mirava infatti a migliorare l’integrità, la trasparenza, la responsabilità, la buona governance e l’affidabilità delle attività di rating, fattore di primario rilievo nella prospettiva di garantire la stabilità e l’integrità dei mercati.

Tuttavia, e qui trova attuazione l’utilità della digressione, di cui sopra, in ordine alle attività prospettiche ed osservative svolta dalle agenzie di rating.

Questo perché, ciò che tuttavia quel Regolamento non disciplinava era l’attività di “credit outlook” e di “credit watch” e l’unica attività ad essere disciplinata all’epoca dei fatti, era solo quella di elaborazione ed emissione de rating.

Di conseguenza, il Tribunale di Trani rileva che le eventuali ipotesi di artificiosa predisposizione di credit watch o di credit outlook erano inidonee – ratione temporis – a integrare la condotta di artificiosità richiesta dalle fattispecie di manipolazione del mercato e di insider trading.

Ciò posto, il Collegio giudicante ha ritenuto che la prima condotta contestata (21-23 maggio 2011) dal Pubblico Ministero di Trani fosse penalmente irrilevante. Infatti, non solo non è stata dimostrata la falsità dei dati alla base del taglio del rating, ma, e soprattutto, lo stesso declassamento del rating, non rappresenterebbe una valutazione definitiva in termini di affidabilità in senso proprio, essendo piuttosto mera prospettiva di rating. Gli imputati, dunque, sono assolti perché il fatto non sussiste.

Stessa soluzione per il secondo episodio (1 luglio 2011). Qui l’ipotesi accusatoria addirittura si incentrava sul solo aspetto del timing del medesimo. Qui la comunicazione contestata integra invece un’ipotesi di credit watch.

Il fatto non sussiste anche in riferimento all’episodio del 5 dicembre 2011 poichè qui   veniva direttamente contestata la diffusione, da parte di Standard &Poor, di un «“credit watch negativo” sull’Italia».

In ordine infine all’episodio del doppio declassamento del debito sovrano italiano (13 gennaio 2012), il giudice di prime cure assolve gli imputati perché il fatto non costituisce reato.

Il Tribunale ritiene infatti che seppur la diversità tra la prima e la seconda comunicazione fosse effettivamente idonea ad ingannare un potenziale investitore tuttavia, non ritiene provato il dolo richiesto dalla norma in esame «rimane il dubbio […] posto che non è stato accertato se il riferimento sicuramente falso all’ammontare del debito netto bancario estero sia stato inserito nel primo Research Update e nel media release comunicato al MEF e, successivamente, ai mercati per mera negligenza e quindi per colpa o con la coscienza e volontà di diffondere al mercato una notizia falsa unitamente alla consapevolezza dell’idoneità di tale condotta a cagionare una “sensibile alterazione” dei prezzi degli strumenti finanziari»[X].
Così come risulta dalle pagine conclusive della pronuncia in esame, “nei reati di mera condotta, come quello di manipolazione del mercato, il momento volitivo riguarda la sola realizzazione dell’azione o dell’omissione e non anche gli effetti della condotta (ovvero l’evento, di natura giuridica), posto che il risultato vietato dalla norma è costituito dall’idoneità della condotta a determinare una “sensibile alterazione” del mercato, potendo rilevare l’analisi ex post solo come conferma per la configurabilità dell’elemento materiale e non anche di quello soggettivo. Va osservato però, che il dolo non può essere considerato immanente allo stesso fatto materiale, non potendosi ricorrere a tecniche di tipo presuntivo, correlate al modello del “dolus in re ipsa” che sicuramente impoveriscono il coefficiente psicologico.
Al contrario, essendo un elemento costitutivo del reato, il dolo deve essere sempre rigorosamente provato e può essere affermato solo quando le modalità estrinseche dell’azione ne consentono di ritenerne provata la sussistenza.
Ebbene, poichè il reato di cui all’art. 185 T.u.f. non è a dolo specifico, rientra nell’orizzonte psicologico richiesto dalla legge per la configurabilità del titolo di imputazione soggettiva dell’illecito, la sola coscienza e volontà diffondere al mercato una notizia falsa unitamente alla consapevolezza dell’idoneità di tale condotta a cagionare una “sensibile alterazione” dei prezzi degli strumenti finanziari.
In estrema sintesi, i difensori per affermare l’insussistenza del dolo sostengono che gli imputati hanno considerato irrilevante al fine del doppio downgrade nei confronti dell’Italia il rilievo del primary credit analist – che si era concentrato sulla prima frase della bozza del Research Update – avendo ritenuto di usare un dato globale, così trasponendo la problematica al di fuori dell’area del dolo.
Aggiungono che l’azione di rating era stata deliberata dal Comitato e, pertanto, era frutto di decisione collegiale e non della volontà dei singoli analisti, che avevano applicato le metodologie predisposte da una apposita frazione indipendente rispetto al gruppo degli analisti.
Ancora. Il pregiudizio di S&P nei confronti dell’Italia risulta fondato sull’evidenza che la predetta società , nel valutare il rating del credito del Paese, dal taglio dell’outlook del 21 maggio 2011 al doppio declassamento del 13 gennaio 2012, aveva trascurato la valutazione di fattori positivi, ponendo l’accento su quelli negativi.
E’ emerso inoltre che l’azione di rating del 13 gennaio nei confronti dell’Italia si inseriva in una già ampia azione di declassamento che riguardava numerosi paesi dell’Eurozona e che per i lavori del Comitato relativo a sedici Paesi, sono state previste appena quattro ore, del tutto insufficienti a garantire l’emissione di rating indipendenti, oggettivi e di qualità adeguata, apparendo arduo sostenere che pur a fronte dell’attività preparatori della primary analist, i membri votanti del Comitato abbiano potuto verificare i dati riferiti ad ogni Stato e a quelli dell’Italia in particolare.
L’irrilevanza penale delle condotte antecedenti al 13 gennaio e l’ambito circoscritto della rilevanza penale delle condotte correlate al doppio declassamento in esame – che non depone per la sussistenza di una strategia aziendale – in mancanza di ulteriori elementi, non consentono di affermare con certezza la sussistenza del dolo richiesto dalla norma incriminatrice.”

4. Considerazioni conclusive

Al di là degli aspetti meramente tecnici, comprensibili sulla base di un raffronto tra la disciplina del rating su esposta e le valutazioni dell’organo giudicante, ciò che vale la pena evidenziare è la scelta della Pubblica Accusa di perseguire manager ed analisti. Perché se dovessimo limitarci a considerare la lettera della norma (l’art. 185 t.u.f  esordisce con “Chiunque diffonde notizie…”) finiremmo con l’osservare un reato comune, in cui cioè non è  tipizzato un agente modello. Non a caso, squarciando i veli della formalità, un approccio sostanzialistico ci riconsegna immediatamente la cifra propria del reato in questione. E’ impensabile che la generalità dei consociati, superficialmente identificata in quel “chiunque”, abbia conoscenze tali da adottare condotte “idonee a provocare una sensibile alterazione dei prezzi degli strumenti finanziari”. Anche e soprattutto perché non bisogna dimenticare che concetto vigente nel diritto penale dell’economia è quello dell’azione socialmente adeguata, in virtù del quale, l’esecutore materiale  della condotta illecita (che è sì identificabile con la generalità dei consociati) non può essere considerato autore del fatto, ma autore è colui che l’ha ordinato. La norma quindi è sottoposta ad un vero e proprio processo di tipizzazione dell’agente modello. L’autore del reato è quindi qui individuato nei manager e negli analisti. Soggetti, nei fatti, più che qualificati.

Il diritto penale dell’economia si dimostra dunque, ancora una volta, una matrice polimorfa in continua evoluzione.

 

 

[I] LUCA BARON; Declassamenti del rating e manipolazione del marcato: sentenza di assoluzione per Standard &amp; Poor’s; www.dpei.it; 2017. )

[II] SARA SCARPIN; Market abuse: inammissibilità delle questioni di costituzionalità e conseguente salvezza del doppio binario sanzionatorio; www.giurisprudenzapenale.com – 2016.

[III] Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (http://www.echr.coe.int/Documents/Convention_ITA.pdf)

[IV] A.CASTALDO – L. PALLA; L’informazione nei mercati finanziari: il ruolo delle agenzie di rating; Giappichelli Editore, 2013.

[V]https://www.spratings.com/documents/20184/86990/La%2BScala%2BDi%2BRating%2BLOutlook%2BE%2BIl%2BCreditwatch/9e5afa11-20b6-4ff8-a086-68c14861a865

[VI] http://lexicon.ft.com/Term?term=credit-outlook

[VII] Regolamento (UE) n. 462/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013 che modifica il regolamento (CE) n. 1060/2009 relativo alle agenzie di rating del credito.(http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32013R0462&amp;from=IT)

[VIII] https://www.spratings.com/documents/20184/86990/La%2BScala%2BDi%2BRating%2BLOutlook%2BE%2BIl%2BCreditwatch/9e5afa11-20b6-4ff8-a086-68c14861a865

[IX] Trib. Trani. sentenza 30 marzo 2017 (dep. 29 settembre 2017), n. 837

[X] L. BARON, Declassamenti del rating e manipolazione del marcato: sentenza di assoluzione per Standard &amp; Poor’s; www.dpei.it; 2017. )

 

 

Alfredo Caruso

Alfredo Caruso, nato a Napoli nel 1992. Dopo aver conseguito la maturità presso il Liceo Scientifico "Ettore Majorana", decido di intraprendere gli studi giuridici presso l'Università Federico II di Napoli laureandomi,nel luglio 2017, con una tesi in Diritto Penale dal titolo "Delitti in materia di criminalità organizzata tra legge e giudice: rapporto tra norme ed interpretazione giurisprudenziale riguardo alle principali figure criminose". Partecipo al progetto Erasmus presso la University of national and world economic (Sofia, Bulgaria). Da sempre appassionato alla cultura anglosassone/americana nell'agosto 2016 prendo parte un corso intensivo di diritto americano presso la George Washington University (Washington D.C.). Frequento, da ultimo, un master di II livello in Diritto Penale dell'Impresa presso L'Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano).

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