martedì, Marzo 19, 2024
Uncategorized

Problemi e nuove sfide della traduzione giuridica

Il successo di affari internazionali, la libertà di una persona, la buona riuscita di pratiche di divorzio, il corretto svolgimento di una successione ereditaria o l’esito di un’adozione internazionale sono valori importanti che possono dipendere da un’(in)adeguata traduzione giuridica.

Il sistema legale internazionale e multilingue in cui oggi viviamo se, da un lato, richiede uniformità a fini di coordinamento, certezza ed integrazione, da un altro lato valorizza l’importanza di una differenziazione linguistica nazionale idonea a rappresentare le specificità tipiche di ogni ordinamento giuridico.

Le sfide che i traduttori legali si trovano ad affrontare non sono infatti poche: come assicurare che un concetto giuridico espresso in un regolamento europeo abbia lo stesso significato e contenuto in tutte le 24 versioni linguistiche di tale documento? Certo non è possibile che il traduttore abbia piena scientia di ogni sistema giuridico facente parte dell’Unione; tantomeno è immaginabile che ciascuno di essi possegga una conoscenza tecnico-professionale di ogni materia sottopostagli (fiscale, agraria, commerciale, societaria…). Analizziamo quindi più da vicino il sistema comunitario, con particolare riguardo alla Corte di Giustizia.

L’importanza degli aspetti plurilinguistici della CGUE è emersa in particolare a partire dal “mega-enlargement” del 1 maggio 2004 (in cui ben dieci paesi hanno aderito all’UE). Essa stessa si definisce infatti come un’istituzione “tenuta ad osservare un plurilinguismo integrale a motivo della necessità di […] garantire la diffusione della sua giurisprudenza in tutti gli Stati membri” – così come affermato sul sito online della CGUE, nella parte relativa alla “Presentazione Generale”[1].

La giurisprudenza multilingue prodotta dalla CGUE è necessariamente modellata da dinamiche interne a tale istituzione e dai cd. “compromessi culturali” inerenti al suo processo di produzione, dai quali deriva un testo per sua natura “ibrido” e approssimativo.

Un primo elemento “di compromesso” risiede nel fatto che ogni versione ufficiale delle decisioni della Corte deriva in realtà da una traduzione dal testo redatto nella lingua principale della Corte, ovvero francese, lingua con cui non tutti hanno dimestichezza. Il ‘testo madre’ – se così lo si può definire – è spesso oggetto di deliberazioni scrupolose e di grande cura posta nella formulazione, attenzione che potrebbe sfuggire agli occhi di chi non vi ha partecipato. Inoltre, le deliberazioni oggetto della formulazione sono segrete, ed è in ogni caso impossibile, per il traduttore, accedervi.

Nonostante molti referendari dichiarino di lavorare esclusivamente in francese, quando intervistati, la maggioranza di essi ammette di aver steso bozze di documento “traducendo quello che intendevano dire (nella loro lingua madre) in lingua francese, anziché lavorare direttamente in lingua francese”. Inoltre, lavorare in una lingua straniera può sollecitare questioni e soluzioni relative a problemi che difficilmente sarebbero rinvenibili nella loro lingua madre.

In secondo luogo, è necessario ricordare come ogni traduzione – anche quella giuridica – includa un elemento di approssimazione. In aggiunta a problemi di questo tipo, nonché di questioni di “intraducibilità” di alcuni termini legali, si pone il tema della responsabilità dei ‘giurislinguisti’ di garantire una traduzione giuridicamente valida, e che rappresenti gli ‘statements of law’ che la Corte intende perseguire.

Ciò causa spesso delle discrepanze tra la varietà idiomatica di documenti, risultato dell’opera linguistico-interpretativa, tale che non sia irrealistico che il giudice e il referendario giungano a comprendere un medesimo caso in maniera differente.

È inoltre importante osservare come coloro che intervengono nel processo di formazione di una decisione abbiano reagito all’introduzione, nel maggio 2004, dei cosiddetti ‘pivot languages’, o ‘lingue-perno’, ovvero cinque lingue base (Francese, Italiano, Spagnolo, Inglese, Tedesco), prese come riferimento per la traduzione in altri gruppi di lingue, dette “lingue-partner”. Ad esempio, la lingua Tedesca è presa come riferimento per la traduzione in: Bulgaro, Estone e Polacco; la lingua Italiana funge da “perno” invece per la traduzione in Rumeno, Slovacco e Sloveno; al pari sarà per gli altri tre pivot-languages.

Un tale sistema è stato accusato di ‘pericolosità’ da parte di alcuni giudici e referendari, in ragione del fatto che esso non elimina alcun tipo di problema, che continua quindi a persistere, oltre alla circostanza che spesso esso costituisce causa di discussioni circa una singola frase che possono essere prolungate fino a settimane o – addirittura – mesi[2].

Alcuni esempi

Determinate approssimazioni, come accennato, non possono essere evitate. Così, ad esempio, accade nella traduzione dell’inglese ‘cartel’ nel francese ‘entente’ o ‘accord’, nessuna delle quali ha lo stesso significato dell’originale inglese: le espressioni francesi sono usate, nell’art 104 TFEU, in senso molto più restrittivo rispetto al pari anglofono, tale da indurre a considerare illecita qualsiasi negoziazione o discussione.

La parola ‘contract’, in inglese, sembra non corrispondere pienamente al significato espresso dal francese ‘contrat’ o dal tedesco ‘vertrag’: contract celerebbe infatti un riferimento al contratto come controprestazione, affermazione che non può sussistere invece nel caso di contrat e vertrag.

Infine, non pochi dilemmi pone la distanza tra i sistemi di common law, nei quali pare non essere marcata l’esistenza del concetto di ‘droit subjectif’, così come lo è invece nei sistemi di civil law.

Conclusioni

Sull’onda di una globalizzazione che pone sempre nuove quaestiones per il giurista, è opportuno che i traduttori siano al contempo esperti tanto del linguaggio di source (ovvero del linguaggio di partenza), quanto del linguaggio target (il linguaggio di traduzione), affinché possano esercitare in libertà un’opera di quasi creazione del diritto, viste le non poche implicazioni e il non scarso peso che una decisione linguistica apparentemente banale potrebbe avere sul risultato dell’opera interpretativa.

 

 

 

 

 

[1]

[2] K. McAuffline, The Limitations of a Multilingual Legal System

Silvia Casu

Silvia Casu, nata a Varese nel 1995, ha conseguito il diploma di maturità in lingue straniere nel 2014, che le ha permesso di avere buona padronanza della lingua inglese, francese e spagnola. Iscritta al quinto anno preso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano Statale, ha sviluppato un vivo interesse per la materia internazionale pubblicistica e privatistica, nonché per la cooperazione legale comunitaria, interessi che l'hanno portata nel 2017 ad aprirsi al mondo della collaborazione nella redazione di articoli di divulgazione giuridica per l'area di diritto internazionale di Ius in Itinere. Attiva da anni nel volontariato e nell'associazionismo, è stata dal 2014 al 2018 segretaria e co-fondatrice di un'associazione O.N.L.U.S. in provincia di Varese; è inoltre socio ordinario dell' Associazione Europea di Studenti di Legge "ELSA" , nella sezione locale - Milano.

Lascia un commento