giovedì, Marzo 28, 2024
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Quitaly: analisi delle conseguenze di una Brexit all’italiana

Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione Europea[1]. Ogni Euroscettico, a partire dal 24 giugno 2016, data del referendum Brexit, conosce a memoria queste parole.

Davvero uscire dall’Unione Europea e dall’Euro può rappresentare la soluzione a tutti i nostri problemi? Non è questa la sede per parlare dei diritti. E non ce ne sarebbe neanche bisogno, dato che, nella modestissima opinione dello scrivente, la libertà di spostarsi liberamente all’interno degli Stati Membri non può mai essere vista come un elemento negativo.

Parliamo, piuttosto, di economia e finanza, e proviamo ad analizzare distintamente i due temi: Unione Europea ed Euro.

Unione Europea

Nel corso degli anni l’Unione Europea ha fatto degli importanti passi dal punto di vista dell’integrazione dei capitali e degli investimenti comuni.

  • Libera circolazione dei capitali

Fra tutte le quattro libertà sancite dai trattati[2], la libera circolazione dei capitali, oltre a essere quella di più recente introduzione (Trattato di Maastricht, 1992), è anche la più ampia data l’applicazione anche al di fuori dei confini dell’UE. Ciò ha permesso l’eliminazione di ogni restrizione ai movimenti di capitali e ai pagamenti, sia tra gli Stati membri che tra questi ultimi e i paesi terzi.

  • Libera circolazione delle merci

Altra libertà fondamentale conquistata nel corso degli anni è senza dubbio la libera circolazione delle merci, anch’essa sancita nel Trattato di Maastricht. Tale libertà è garantita attraverso l’eliminazione dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative, nonché dal divieto di adottare misure di effetto equivalente. Ciò viene garantito, sulla base del principio di riconoscimento reciproco tra gli stati membri, anche tramite l’eliminazione delle barriere fisiche e tecniche e la promozione della normalizzazione.

  • Investimenti

Con cadenza ciclica l’UE predispone dei piani di investimento a sostegno della crescita e dell’occupazione. Il c.d. Piano Junker, avviato nel 2014, prevede che “l’Unione Europea conceda crediti per la modernizzazione di piccole e medie imprese o per grandi progetti, spesso transfrontalieri, come la costruzione di strade o reti energetiche o di dati. Il beneficiario ideale è un’impresa che vuole investire nel futuro, ma fatica a trovare fondi. L’UE si assume una parte del rischio dell’investimento, anche attraverso garanzie, consentendo agli investitori privati di investire più facilmente nel progetto. Nonostante lo scetticismo iniziale, l’attuazione del Fondo Europeo per gli investimenti strategici (EFSI) è partita molto bene. A gennaio 2017 i finanziamenti del FEIS avevano già generato investimenti supplementari per 168 miliardi di Euro, più della metà dell’obiettivo finale, e i progetti già autorizzati dovrebbero creare posti di lavoro per oltre 100 000 cittadini. Oltre 380 000 piccole e medie imprese beneficiano dei crediti agevolati[3].

Al centro di questa strategia di investimento c’è proprio l’EFSI, volto a contrastare la mancanza di fiducia e di investimenti provocata dalla crisi economica e finanziaria, e ad ottimizzare l’utilizzo della liquidità nel portafoglio di banche, istituti finanziari, imprese e cittadini in tempi di scarse risorse. L’EFSI non è altro che una garanzia basata sul bilancio dell’UE. Tale garanzia fornisce alla Banca Europea per gli Investimenti una prima protezione dalle perdite, mettendo la stessa nella condizione di fornire finanziamenti a progetti a più alto rischio rispetto a quanto farebbe normalmente.

Uscire dall’Unione Europea produrrebbe delle conseguenze drastiche. L’Italia, infatti, verrebbe esclusa dal mercato unico e come effetto immediato vi sarebbe un indebolimento dell’economia dato il recesso dall’unione doganale e da molteplici trattati commerciali, stipulati dalla stessa UE con altri paesi, che al giorno d’oggi rappresentano un forte incentivo all’export.

Inoltre, l’Italia sarebbe tagliata fuori dal sopra descritto piano di investimenti, perdendo l’opportunità di beneficiare di miliardi di Euro da immettere nell’economia reale.

 Euro

Un’eventuale uscita dall’Euro[4] è più complicata rispetto ad un’uscita dall’Unione Europea. I Trattati, infatti, non disciplinano l’uscita dalla moneta unica. Non esistendo precedenti che possano aiutare a regolare tale fattispecie, l’uscita dall’Euro dell’Italia sarebbe una novità assoluta.

In ogni caso, il dibattito su una eventuale Quitaly è sempre più attuale, in particolar modo dopo le elezioni politiche del 4 marzo 2018 e la formazione del nuovo governo. Tale termine, coniato nell’ambito dei mercati finanziari, sta ad indicare proprio l’uscita dell’Italia dalla moneta unica.

Nei recenti turmoil di fine maggio scorso, la sola ipotesi di una quitaly ha fatto scatenare i mercati, dando vita a forti movimenti speculativi.

Pertanto, al di là degli aspetti meramente burocratici, impossibili da esaminare in assenza di un’apposita procedura, quello che interessa analizzare in questa sede è come si sono mossi gli operatori finanziari per fronteggiare un eventuale rischio quitaly.

Analizziamo, dunque, le conseguenze che tale evento produrrebbe sui mercati.

  • Prestiti obbligazionari e contratti derivati

Un’eventuale uscita dall’Euro avrebbe delle conseguenze immediate. Si pensi infatti agli effetti sui prestiti obbligazionari outstanding derivanti dalla ridenominazione nella nuova valuta. La preoccupazione per il c.d. “ridenonination risk“, può essere vista nei credit default swap[5](CDS) italiani. Il rischio di ridenominazione deriva appunto dall’ipotesi di uscire dall’Euro di uno dei paesi facenti parti dell’Eurozona.

Nel mondo dei contratti derivati e più in generale in quello dei mercati finanziari, tale rischio è stato da sempre oggetto di particolare attenzione.

Nel 2013, i contratti di titoli di stato Europei sono stati emendati al fine di includere le clausole di azione collettiva (CAC). Tali clausole richiedono l’approvazione degli investitori nel caso in cui un determinato emittente abbia intenzione di ripagare il prestito con un’altra valuta senza generare un credit even[6]t. Dal 2014, inoltre, è stato lanciato un nuovo CDS, che consente ai creditori di incassare la somma di loro spettanza non solo se l’emittente titolo sovrano non sia riuscito a rimborsare i debiti, ma anche se questi vengono liquidati con un’altra valuta.

Nel mondo dei contratti derivati, già nel 2012 l’International Swaps and Derivatives Association (“ISDA”) aveva pubblicato l’ISDA Illegality/Force Majeure Protocol[7], un protocollo volto a fornire agli operatori finanziari un supporto per risolvere i problemi derivanti dall’uscita dall’Euro di uno stato appartenente all’Eurozona, con conseguente introduzione di controlli sui capitali, rendendo potenzialmente irregolare per gli operatori effettuare pagamento in Euro in tale paese.

Inoltre, deve essere considerato un altro aspetto non secondario. Gran parte dei contratti finanziari italiani non sono regolati dal diritto italiano, bensì da quello inglese. Basti pensare ai prestiti obbligazionari di grandi corporate italiane che sono attualmente listati, ad esempio, presso la Borsa del Lussemburgo o di Dublino, la cui ridenominazione in Lira non sarebbe di facile negoziazione, non potendo far leva sul diritto interno.

  • Sovranità monetaria e svalutazione competitiva

Uno dei principali punti di forza dei fautori dell’uscita dall’Euro, con conseguente ritorno alla Lira, consiste nel riappropriarsi della sovranità monetaria. In tal modo, la Banca d’Italia, tornata unico attore di politica monetaria, potrebbe decidere di operare una c.d. svalutazione competitiva della nuova Lira per rilanciare la crescita. Tale ipotesi non sembrerebbe però considerare un tema rilevante. Difatti, l’impossibilità per l’Italia di adottare politiche fiscali e monetarie più espansive non dipende soltanto dai vincoli imposti da Bruxelles. Sul nostro paese grava un debito pubblico eccessivamente alto[8], pari a circa il 133% del Prodotto Interno Lordo (PIL). Dato, questo ultimo, che la stessa Banca d’Italia vede al ribasso, rispetto alle stime precedentemente pubblicate[9]. Pertanto, l’impossibilità di adottare politiche espansive particolarmente zelanti non dipenderebbe dai vicoli Europei, bensì dalla scarsa fiducia che gli investitori (che acquistano il nostro debito e ci permettono di finanziare i nostri fabbisogni) rivestirebbero sull’Italia nel caso in cui questi dati dovessero peggiorare vistosamente.

Inoltre, l’immediato effetto di una svalutazione sarebbe quello di aumentare il prezzo dei beni importati e ridurre quello dei beni esportati. Certamente non un elemento a favore della nostra economia, da sempre strutturata con una forte predisposizione all’export[10].

  • Tassi di interesse

Da ultimo, proviamo ad analizzare l’effetto sui tassi di interesse. Dal 1 gennaio 1999, data entrata in vigore dell’Euro[11], il valore del TEGM[12] è sceso radicalmente. Il dato empirico a dimostrazione di tale assunto è ricavabile dalle serie storiche della Banca d’Italia[13] che raccolgono i tassi effettivi dei mutui. È stato notato[14] che, “osservando lo storico dei dati, quello che si nota è che, all’inizio delle rilevazioni di Banca d’Italia (2 aprile 1997) il Tegm dei mutui a tasso fisso e variabile (che coincidono fino al 30 giugno 2004, quando il riferimento passa dalla “Lira interbancaria” al “tasso interbancario” tuttora in vigore) era di ben il 10,6%. Dato che scivolò, nell’ultimo trimestre del 1998, al 7,33%. Ma la cosa sorprendente è quella che successe con l’introduzione dell’Euro “finanziario” dal 1 gennaio 1999: il TEGM praticamente crollò al 5,8% nel giro di tre mesi, perdendo ancora un punto percentuale entro la fine dell’anno”.

Alla luce di quanto analizzato, si evince come l’attuazione della quitaly comporterebbe un gran numero di effetti negativi, difficilmente recuperabili con la maggiore flessibilità di cui l’Italia potrebbe godere al di fuori di qualsivoglia vincolo Europeo.

La strada potrebbe essere piuttosto quella del completamento dell’Unione Bancaria, dell’Unione dei Capitali e, soprattutto, dell’Unione Fiscale. Regole certe e uguali per tutti gli stati membri.

La causa di tutti i mali, per un paese che sconta ogni anno un mancato introito che varia dai 124,5 ai 132,1 miliardi di Euro[15], non può essere ricercata al di fuori dei propri confini.

[1] Art. 50, comma 1 del Trattato dell’Unione Europea.

[2] Libertà di circolazione di merci, persone, servizi e capitale.

[3] Commissione Europea, 60 buone ragioni per cui abbiamo bisogno dell’Unione Europea, pag. 13 disponibile al link )

[4] Per ulteriori approfondimenti sul tema si consiglia la lettura del seguente articolo: Eurozona, Italia a rischio? di Salzano Maria Rosaria (https://www.iusinitinere.it/category/diritto-internazionale/diritto-del-commercio-internazionale)

[5] Il Credit Default Swap è uno strumento derivato di copertura del rischio, avente la funzione di trasferire il rischio di credito.

[6] Per Credit Event si intende qualsiasi cambiamento improvviso negativo nella capacità di un mutuatario di soddisfare i propri obblighi di pagamento che comportano un regolamento a fronte di un contratto di CDS.

[7] Per consultare il Protocollo si rimanda al seguente link (https://www.isda.org/a/jYTDE/force-majeure-protocol-text.pdf)

[8] Il debito pubblico italiano è attualmente pari a 2.327 miliardi di Euro. Fonte: Banca d’Italia, Finanza pubblica, fabbisogno e debito, luglio 2013 (https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/finanza-pubblica/2018-finanza-pubblica/statistiche_FPI_20180713.pdf)

[9] Le ultime stime parlano infatti, per il 2018, di una crescita del PIL su base annuale dell’1,3% (http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/bollettino-economico/2018-3/index.html), inferiore rispetto all’1,4% diramato precedentemente.

[10] Nel 2017 l’Italia ha fatto registrare un aumento delle esportazioni nei mercati esteri pari al 7,4% rispetto all’anno precedente. Fonte: Ministero dello Sviluppo Economico, Interscambio commerciale Italia )

[11] Da non confondere con la sua entrata in circolazione, risalente al 1 gennaio 2002.

[12] Tasso Effettivo Globale Medio, ossia il valore medio del tasso effettivamente applicato dal sistema finanziario finanziario a categorie omogenee di operazioni creditizie (es. mutui e aperture di credito)

[13] Disponibili al seguente link: (http://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/compiti-vigilanza/tegm/index.html)

[14] Liuni F., Con l’Euro è tutto più caro? I mutui no , disponibile al seguente link: (https://www.mutui.it/mutuando/con-l-Euro-e-tutto-piu-caro-i-mutui-no.html)

[15] Senato della Repubblica, Under Reporting. Evadere informazioni sui redditi è indice di evasione fiscale? Un nuovo approccio italiano di ricerca. Disponibile al seguente link: (http://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/documento/files/000/028/698/Focus_under_reporting.pdf)

Francesco Cimino

Francesco Cimino, Deputy Director dell'area Banking&Finance, 28 anni, laureato in giurisprudenza nel 2015 presso l'Università degli Studi Roma Tre con tesi in Diritto Commerciale dal titolo "Compliance nelle banche e nelle società finanziarie".  Ha conseguito un International Master in Export Compliance con project work dal titolo "Corporate compliance towards sanctions era: embedding banking approach in non-financial corporations". E' accreditato come Export Compliance Officer presso European Institute for Export Compliance. Ha lavorato come junior associate presso studio legale internazionale Allen&Overy (sede di Roma) nel dipartimento di International Capital Markets, curando attività di Debt Capital Markets e Regulatory Banking&Finance. Attualmente lavora nella Direzione Finanza di una grande corporate italiana.

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