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Revocazione del testamento: la sentenza della Corte di Cassazione n. 169/2018

testatore

Il testatore può decidere di revocare/modificare le sue volontà in ogni tempo in modo espresso o tacito.

Ma c’è un caso in cui le ultime disposizioni possono essere eliminate dopo la morte del testatore, con la caducazione radicale della volontà espressa dallo stesso, ed è disciplinato dall’art. 689 c.c.: la revocazione per sopravvenienza di figli.

La norma in parola prevede che “le disposizioni a titolo universale o particolare, fatte da chi al tempo del testamento non aveva o ignorava di aver figli o discendenti, sono revocate di diritto per l’esistenza o la sopravvenienza di un figlio o discendente del testatore, benché postumo, anche adottivo, ovvero per il riconoscimento di un figlio nato fuori del matrimonio”.

L’effetto della revoca di diritto del testamento è quello di dare apertura alla successione legittima in luogo di quella testamentaria. È pertanto evidente il peso della tutela riconosciuta dal legislatore agli interessi del figlio/discendente postumo.

L’ambito di operatività dell’istituto è stato oggetto di svariate analisi: la revocazione ex lege può essere sempre invocata da parte dei figli nati o riconosciuti successivamente alla redazione del testamento? È sempre necessario che il testatore non abbia avuto conoscenza dell’esistenza del figlio sopravvenuto? E in caso di riconoscimento giudiziale di paternità post mortem?

La ricorrenza nelle singole fattispecie concrete delle predette circostanze, hanno portato allo sviluppo di due correnti dottrinarie seguite alternativamente dalla giurisprudenza di merito e di legittimità: una incentrata sulla tutela della volontà del testatore (fondamento soggettivo), l’altra volta a tutelare gli interessi familiari (fondamento oggettivo).

Teoria volontaristica

Tale tesi, volta a garantire il mantenimento della volontà espressa dal de cuius, ritiene che l’istituto può essere invocato nei casi in cui il soggetto ha disposto del suo patrimonio in un certo modo solo perché ignaro dell’esistenza di discendenti e, in ogni caso, in assenza di figli già nati.

L’impostazione suddetta, si ricollega al diverso strumento previsto dall’art. 803 c.c. – la revocazione della donazione– nel quale viene dato espresso rilievo all’esigenza del donante di “riconsiderare l’opportunità dell’attribuzione liberale a fronte della sopravvenuta nascita di un figlio, o della sopravvenuta conoscenza della sua esistenza” e degli obblighi di mantenimento che scaturiscono dal predetto evento. È stato osservato che, in tal caso, il legislatore ha voluto dare rilievo ad una necessità del soggetto, che per la prima volta conosce l’amore filiale e tende da quel momento a rivedere i propri affetti mutando gli equilibri in favore del figlio sopravvenuto.

Ma tale impostazione, secondo l’indirizzo più recente della Suprema Corte, non può essere estesa alla revocazione del testamento per diversi motivi. In primo luogo, è stato osservato che, mentre per la donazione la revoca è un atto rimesso alla parte (donante o suo erede), la revocazione del testamento opera di diritto; ancora, sussiste un termine di decadenza quinquennale per l’esercizio dell’azione, che non si rinviene nell’art. 687 c.c. ed infine, l’art. 803 c.c. esclude testualmente la revocazione in caso di riconoscimento postumo di un figlio la cui esistenza in vita era già nota al donante al tempo della donazione. Tale esclusione non è stata al contrario prevista dal legislatore nella formulazione della disciplina della revocazione del testamento che deve, pertanto, ritenersi invocabile anche in tali casi.

Tale considerazioni hanno portato gli Ermellini a propendere per una lettura in senso oggettivo della norma.

Teoria oggettiva

Tale corrente valorizza la tutela degli interessi familiari e, specificamente, dei figli sopravvenuti o ignorati. Si è osservato in particolare che, con il sopravvenire di un figlio, si altera il contesto familiare relativamente al quale il testatore aveva operato le sue scelte, e tale nuovo assetto risulta essere meritevole di tutela.

La problematica che insorge con la predetta teoria è la verifica delle condizioni perché possa legittimamente prevaricarsi la volontà del testatore, con conseguente eliminazione delle disposizioni testamentarie in favore di discendenti non considerati. In linea generale la giurisprudenza di legittimità ha affermato che tale prevaricazione “può considerarsi giustificata, solo se funzionale alla tutela dei figli ignoti al tempo del testamento o sopravvenuti, come confortato dalla previsione del terzo comma della norma in esame[1], ma non anche laddove il testatore si sia determinato a dettare le proprie volontà in presenza di figli a lui noti[2], essendo quindi esclusa in tali casi.

Secondo tale indirizzo, resta al discendente pretermesso l’azione di riduzione al fine di garantire la successione nel rispetto della quota di legittima.

Tali principi però sono stati di recente rivisti dalla Suprema Corte[3] relativamente ad una richiesta di revocazione promossa da un figlio naturale, noto al padre e con il quale aveva avuto anche rapporti, che aveva instaurato e vinto il giudizio per il riconoscimento della paternità in epoca successiva al decesso del testatore. Nonostante la conoscenza pregressa durante la vita del testatore, i giudici hanno ritenuto operante la norma di cui all’art. 687 c.c.. È stato al riguardo elaborato un nuovo principio di diritto: “ciò che rileva ai fini della caducazione del testamento è la sopravvenienza o la scoperta esistenza di una filiazione in senso giuridico, e non anche in senso meramente naturalistico” ritenendo, pertanto, che la mera conoscenza della filiazione naturale, in assenza dello status giuridico di figlio, non può precludere il ricorso alla revocazione.

Del resto, rileva la Corte, lo stesso articolo 687 c.c. prevede, al secondo comma, che la revocazione ha luogo anche nei casi in cui il figlio sia stato concepito al tempo della redazione del testamento, pertanto “la norma fa evidentemente riferimento al caso di figlio postumo, ma riferita anche all’ipotesi in cui il testatore fosse consapevole, nel momento in cui testava, dell’avvenuto concepimento, apparendo condivisibile l’opinione dottrinale secondo cui, a voler diversamente opinare la norma dovrebbe essere classificata come superflua” dato che in caso di non conoscenza del concepimento, sarebbe naturalmente operante la previsione generale di cui al primo comma.

Ciò considerato, ritenuta l’equiparazione della condizione di figlio (sia esso naturale, legittimo, riconosciuto, adottato), al figlio riconosciuto post mortem deve essere garantito l’accesso alla tutela prescritta dall’art. 687 c.c..

Da ultimo, la Suprema Corte riconosce all’istituto in parola una funzione del tutto particolare, che pur sovrapponendosi parzialmente alla disciplina della successione necessaria, “realizza per i legittimari un risultato ulteriore rispetto a quello che questi potrebbero conseguire con la semplice azione di riduzione, rientrando nella discrezionalità del legislatore individuare quali siano gli strumenti giuridici ritenuti più idonei ad accordare tutela a coloro che rivestono la qualità di legittimari”.

Gli eventuali rilievi in ordine alla violazione di principi di uguaglianza e di parità di trattamento, devono ritenersi superati in quanto la scelta di dare preferenza all’interesse del figlio a danno della volontà del de cuius rientra nella discrezionalità del legislatore, da ritenersi non irragionevole proprio in considerazione della normale tutela approntata dall’ordinamento ai diritti dei legittimari rispetto alla contraria determinazione del testatore.

 

 

 

 

 

 

 

[1] Art. 687 c.c., comma 3: la revocazione non ha luogo qualora il testatore abbia provveduto al caso che esistessero o sopravvenissero figli o discendenti da essi.

[2] Corte di Cassazione, Sez. II, Ordinanza n. 18893/2017

[3] Corte di Cassazione, Sez. II, Sentenza n. 169/2018

Avv. Paola Minopoli

Avvocato civilista specializzato in contrattualistica commerciale, real estate, diritto di famiglia e delle successioni, diritto fallimentare, contenzioso civile e procedure espropriative. Conseguita la laurea in Giurisprudenza, ha collaborato con la II cattedra di Storia del Diritto Italiano dell'ateneo federiciano, dedicandosi poi alla professione forense. Ha esercitato prima a Napoli e poi nel foro di Milano, fornendo assistenza e consulenza a società e primari gruppi assicurativi/bancari italiani. Attualmente è il responsabile dell’ufficio legale di un’azienda elvetica leader nella vendita di metalli preziosi, occupandosi della compliance, fornendo assistenza per la governance e garantendo supporto legale alle diverse aree aziendali. Email: paola.minopoli@iusinitinere.it

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