venerdì, Marzo 29, 2024
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I meccanismi di risoluzione delle controversie internazionali

In ogni sistema giuridico ci sono norme che regolano le competenze dei propri tribunali nella risoluzione delle controversie in ambito civile, penale o anche internazionale. In ambito internazionalistico, per la definizione di controversia internazionale, si fa riferimento a quanto stabilito dalla Corte Permanente di Giustizia Internazionale con apposita sentenza nel 1924, ossia: “un disaccordo su un punto di fatto o di diritto, una contraddizione, un’opposizione di tesi giuridiche o interessi”. E’ ormai norma consuetudinaria cogente il divieto di ricorso all’uso della forza come metodo di risoluzione di controversie internazionali; a seguito della Carta delle Nazioni Unite, è, infatti, universalmente riconosciuto l’obbligo in capo agli Stati di risolvere le controversie tra loro insorte “con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia non siano messe in pericolo”. (art. 2, par. 3 Statuto ONU).

Tra i meccanismi tradizionali per la risoluzione delle controversie internazionali vi sono i procedimenti diplomatici e i procedimenti di tipo arbitrale o giudiziale. Nel primo caso la soluzione della controversia deriva da un accordo tra le parti: in assenza di un organismo terzo, si tratta del negoziato. Non si esclude, però, che gli Stati in contesa decidano di far partecipare alla soluzione della controversia un organo terzo, avremo in tal caso: l’inchiesta, o i buoni uffici, o ancora, la mediazione e/o la conciliazioneNel caso in cui gli Stati, invece, facciano ricorso ad un organo giudiziale per dirimere la controversia, hanno la possibilità di optare per un procedimento di tipo giudiziale o arbitrale. Nel regolamento giudiziale l’organo giudicante è un organo permanente o semi-permanente, la cui composizione, il diritto e la procedura sono prestabiliti; tramite arbitrato, invece, sono gli Stati che decidono di comune accordo tutti questi aspetti. Ciò che in ogni caso accomuna la scelta arbitrale a quella giudiziale è che gli Stati decidono di sottostare alla sentenza emessa. Entrambi i procedimenti si concludono con l’adozione di un lodo o sentenza arbitrale che ha efficacia di cosa giudicata sia in senso sostanziale (risolve la controversia in modo vincolante) che formale (le parti si obbligano a considerarlo immutabile). Rientrano tra i meccanismi tradizionali anche la Corte Permanente di Arbitrato (CPA), a cui le parti possono fare ricorso nel momento in cui, previo accordo, abbiano acconsentito di sottoporre alla Corte qualsiasi successiva controversia, e ciò attraverso il c.d. compromesso arbitrale (stipulato dopo l’insorgere della controversia), o attraverso la clausola compromissoria (prima del suo sorgere). Meccanismo tradizionale era anche la Corte Permanente di Giustizia Internazionale (CPGI) sostituita poi, nel 1946 dalla Corte Internazionale di Giustizia (CIG); diversamente dalla Corte Permanente di Arbitrato (CPA) essa è costituita da giudici permanenti e non a scelta, non emette giudizi di natura politica, ma si basa solo su norme di diritto. Inoltre, la sua composizione non può constare anche di politici ma solo di giureconsulti e grandi giudici. Vanno menzionati anche i Tribunali internazionali settoriali e regionali, (come la Corte di Giustizia delle Comunità Europee), che hanno competenze accostabili a quelle dei Tribunali interni; in comune ai Tribunali internazionali hanno, infatti, soltanto l’origine pattizia.

Nel trattare il tema dei meccanismi di risoluzione delle controversie internazionali, non si può prescindere dal menzionare i meccanismi per la risoluzione di controversie di “natura commerciale”. L’importanza del tema deriva dall’importanza che rivestono oggigiorno gli investimenti, fattori essenziali per la crescita economica. Ma, quando un investitore o un’ impresa investe all’estero, decide di “sottoporsi” alle regole dello Stato ospitante e da ciò possono derivare una serie di problematiche legali, come ad esempio casi di espropriazione diretta forzata e senza un adeguato indennizzo da parte del Paese ospitante, discriminazione, assenza di un giusto processo nel sistema giudiziario nazionale. Per questo, in materia di protezione degli investimenti, si garantisce agli investitori il diritto di ricevere un trattamento giusto ed equo, in virtù dello standard fair and equitable treatment (FET), o ancora, si sanciscono una serie di divieti, come quello di: discriminazione nei confronti degli investitori esteri; l’espropriazione di investimenti esteri senza risarcimento; il diniego di giustizia ai danni degli investitori esteri presso i tribunali nazionali; un trattamento abusivo o arbitrario nei confronti degli investitori nei rispettivi territori. Perchè tali regole siano efficaci e vengano correttamente applicate, nella maggior parte degli accordi commerciali, vengono istituiti meccanismi di risoluzione per l’insorgere di eventuali controversie.

Nel settore del commercio internazionale opera un sistema complesso. Tre, in particolare, sono i meccanismi di risoluzione delle controversie utilizzati in ambito europeo: il primo legato all’OMC (l’Organizzazione Mondiale del Commercio, in inglese World Trade Organization)[1]; il secondo modellato sul sistema di risoluzione dell’OMC ma più rapido, noto come risoluzione bilaterale delle controversie (Bilateral Dispute Settlement, BDS); l’ultimo è il meccanismo di risoluzione delle controversie investitore-Stato (ISDS).

Partendo dall’analizzare il meccanismo di risoluzione delle controversie dell’OMC, è bene riconoscere che l’istituzione nel 1994 dell’Organizzazione Mondiale del Commercio ha consentito il superamento di gran parte dei problemi evidenziati fino a quel momento dal sistema del commercio internazionale basato sui Rounds, permettendo di creare un coordinamento multilaterale delle politiche economiche statali. L’accordo sulle controversie nell’OMC fornisce agli Stati membri un quadro giuridico definito per la risoluzione delle liti che sorgono nell’attuazione degli accordi stessi. Il sistema giurisdizionale si articola in tre principali momenti: l’istituzione dei Panels; l’approvazione del Panel Report o dell’Appellate Body Report; l’autorizzazione delle contromisure in caso di mancato adeguamento di uno Stato Membro ai report adottati dal Dispute Settlement Body (DSB). Nel dettaglio, i Panels rappresentano il primo grado di giudizio. Sono organi formati da esperti che possono avere funzione conciliativa o giurisdizionale. Il secondo grado di giudizio consente alle parti di appellare la sentenza emessa dai panels nel report finale. In tal caso si fa ricorso all’Appellate Body, organo di appello permanete che rappresenta sicuramente l’elemento maggiormente innovativo dell’intero sistema giurisdizionale dell’organizzazione mondiale del commercio. È importante sottolineare che le funzioni svolte dagli organi di primo e secondo grado sono solo tendenzialmente giurisdizionali, in quanto ci può essere un’interferenza del Dispute Settlement Body, posto a capo del sistema di risoluzione delle controversie. In sintesi, le controversie sono risolte, idealmente, attraverso negoziati. Se ciò non è possibile, i membri dell’OMC possono chiedere a un gruppo di esperti di risolvere la controversia. Si costituisce così un panel di esperti indipendenti, cui presentare il reclamo. Il panel è istituito dall’Organo per la soluzione delle controversie (DSB – Dispute Settlement Body), formato dai rappresentanti di tutti gli stati membri. Una volta istituito, il panel esamina le richieste delle parti contendenti. L’accertamento dei fatti e del diritto è suddiviso in due parti. Il panel adotta un rapporto provvisorio (interim report) che le controparti possono commentare e successivamente, adotta un rapporto finale (final report) che è trasmesso alle controparti e al BSD. Il rapporto finale è automaticamente adottato dal DSB, a meno che non decida il contrario. Tuttavia, ciascuna delle controparti può impugnare il final report del panel e presentare un appello all’Organo d’Appello (Appellate Body), che può, però, decidere solo su questioni di legittimità.

Passando invece, al meccanismo di risoluzione bilaterale delle controversie (Bilateral Dispute Settlement, BDS). L’Ue include questo meccanismo bilaterale in tutti i suoi accordi commerciali conclusi dopo il 2000, in modo tale da permettere ai paesi interessati di usufruirne per risolvere in maniera più rapida la controversia. Il BDS è progettato specificamente per affrontare le controversie derivanti dall’accordo ed è modellato sul sistema di risoluzione dell’OMC. Oggi, il numero degli accordi bilaterali in materia di investimenti è particolarmente elevato e oggetto di una progressiva crescita. I Bilateral Investment Treaties (BIT) costituiscono l’elemento principale dell’attuale disciplina degli investimenti internazionali. Il loro oggetto d’elezione è stato, fin dagli inizi, la protezione dell’investimento, nel più ampio contesto della politica di promozione e favore per gli investimenti stranieri.

Nel 1965 con apposita Convenzione viene istituito il Centro Internazionale per la Risoluzione delle Controversie relative agli investimenti, ossia l’International Centre for Settlement of Investment Dispute (ICSID), per dirimere le controversie che in ogni tempo possono sorgere fra Stati contraenti e cittadini d’altri Stati contraenti nell’ambito degli investimenti privati internazionali. L’ICSID rappresenta l’esempio di maggiore successo della nascita dei Tribunali internazionali che sempre di più hanno limitato il ricorso alla protezione diplomatica. Art.27 (1) ICSID Convention: “No Contracting State shall give diplomatic protection, or bring an international claim, in respect of a dispute which one of its nationals and another Contracting State shall have consented to submit or shall have submitted to arbitration under this Convention, unless such other Contracting State shall have failed to abide by and comply with the award rendered in such dispute”[2]Il ricorso alla protezione diplomatica è possibile solo se uno Stato non adempia ad un obbligo stabilito da un lodo emesso dal Tribunale internazionale. All’ICSID fa spesso riferimento il collegio arbitrale scelto e pagato dalle parti nei meccanismi di risoluzione delle controversie tra investitore e Stato. Si parla in tal caso dell’Investor State Dispute Settlement (ISDS), un meccanismo complesso e oggetto di discussioni, ma ampiamente utilizzato negli ultimi dieci anni nella maggior parte dei contenziosi tra Stato e multinazionali.  Le clausole ISDS, prevedono, normalmente, la possibilità, per gli investitori privati, di adire direttamente un tribunale arbitrale per pretese violazioni del trattato (violazione dello standard di trattamento previsto o abusi di potere volti ad influenzare ed indirizzare il procedimento a svantaggio dell’investitore sono ipotesi frequenti) da parte dello Stato ospitante, c.d. Treaty Claims. Le clausole ISDS contenute negli accordi sono dettate in riferimento a casi di più profondo disaccordo ed in queste situazioni mirano a ricomporre le divergenze salvando il rapporto tra le parti dell’investimento, qualora questo non sia ormai compromesso, ed inoltre il sistema mira ad assicurare alle stesse che l’operazione si possa svolgere con un adeguato grado di sicurezza, correttezza e plausibilità. Questi importanti, e vantaggiosi, effetti non devono indurre a considerare scevra di problematiche la materia in esame; esistono infatti numerose questioni controverse. Innanzitutto, ricordiamo che ancora ci si interroga circa l’opportunità di utilizzare l’arbitrato internazionale in luogo delle corti nazionali per la composizione di queste liti; inoltre il sistema talvolta è visto come un meccanismo posto a vantaggio solo delle multinazionali. Una prima risposta a questo tipo di problemi è stata l’istituzione di un Tribunale Permanente, ossia l’Investment Court System (ICS), un meccanismo di risoluzione della controversia ancora però troppo simile all’ISDS. Entrambi finiscono col minacciare la democrazia ed il potere regolamentare degli Stati, scavalcando la legislazione nazionale e favorendo le società transnazionali. D’altro canto anche il sistema di protezione diplomatica, dal punto di vista degli investitori, sconta alcuni difetti. Per esempio, il diritto alla protezione diplomatica spetta allo Stato di appartenenza dell’investitore il quale, per ragioni politiche, potrebbe decidere di non attivarsi. O ancora quando il ruolo d’investitore è ricoperto da una multinazionale (che come tale ha sedi in più Stati), sorge il problema di individuare lo Stato legittimato ad esercitare il potere di protezione diplomatica.

Da qui nasce la grande attenzione riservata, negli ultimi anni, ai sistemi di Alternative Dispute Resolution i c.d. ADR, che permettono di comporre una lite evitando di dover ricorrere alle corti nazionali o internazionali. Dove il risultato principale sarebbe un risparmio, in termini di tempo e risorse, oltre alla salvezza della relazione tra Stato ed investitore. L’interesse Comunitario per l’ADR è cresciuto nel solco della tendenza generale della politica comunitaria all’incentivazione degli strumenti di soft law. In Italia, per esempio, è in corso già da tempo un processo di incentivazione dell’ADR, sia per impulso autonomo del legislatore, sia per effetto della politica comunitaria, soprattutto nell’ambito dei consumi[3].

In materia di risoluzione delle controversie nel commercio internazionale, nonostante la pluralità di scelte tra i vari tipi di Tribunali (Istituzionali o ad Hoc), ci sono concrete difficoltà nel trovare un punto di equilibrio tra gli interessi privati degli investitori e quelli pubblici perseguiti dagli Stati con scelte di politica. La soluzione più frequentemente prospettata è una concreta riforma dell’intero sistema, allargandolo ed aggiornandolo alle nuove tematiche di politica economica ed internazionale.

[1]  EU Trade – Testi Normativi – Accordi OMC, Allegato 2. )

[2] http://icsidfiles.worldbank.org/icsid/icsid/staticfiles/basicdoc/parta-chap02.htm

[3]ADR e soluzioni del contenzioso – ECC NET ITALIA. Le ADR (Risoluzioni Alternative delle Controversie)” ).

Maria Rosaria Salzano

Nata nel 1991 in provincia di Caserta, ha frequentato l'Università Federico II di Napoli, laureandosi nel Febbraio 2018 in Diritto del commercio internazionale con una tesi sul "Partenariato Transatlantico per il commercio e gli investimenti". Dopo circa due mesi in Scozia, nel Regno Unito, per frequentare una scuola di lingua inglese, attualmente è studentessa presso il Dipartimento di Scienze Sociali della Federico II per l'Executive Master in Gestione delle Risorse Umane. Sogna di diventare una giurista d'impresa, non rinunciando però alle sue passioni, come quella di: suonare la chitarra, di scrivere e di viaggiare. Collaboratrice dell'area di diritto internazionale, con particolare interesse per il commercio internazionale.

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