venerdì, Aprile 19, 2024
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Il silenzio in materia di autotutela

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 181 del 13 luglio 2017, risolve la vexata quaestio della sindacabilità del silenzio in materia di autotutela.

La Corte è pervenuta a negare la possibilità di ricorrere avverso il silenzio, ritenendo infondata la questione di legittimità costituzionale oggetto dell’ordinanza di rimessione,sulla base di tre argomenti.

In primis, desume dalla natura essenzialmente officiosa dell’attività di autotutela la conseguenza per cui l’eventuale istanza del privato avrebbe natura meramente sollicitatoria, volta a “segnalare l’illegittimità degli atti impositivi”.

La segnalazione non trasforma il procedimento officioso e discrezionale in un procedimento ad istanza di parte da concludere con un provvedimento espresso, non sussistendo un dovere dell’Amministrazione di pronunciarsi sull’istanza di autotutela. Pertanto, il silenzio non equivale ad un inadempimento, né lo stesso può essere considerato un diniego.

In secondo luogo, la Corte afferma che “l’annullamento d’ufficio non ha funzione giustiziale, costituisce espressione di amministrazione attiva e comporta di regola valutazioni discrezionali, non esaurendosi il potere dell’autorità che lo adotta unicamente nella verifica della legittimità dell’atto e nel suo doveroso annullamento se ne riscontra l’illegittimità”

Infine, la Corte rileva che” se affermasse il dovere dell’amministrazione tributaria di pronunciarsi sull’istanza di autotutela, aprirebbe la porta alla possibile messa in discussione dell’obbligo tributario consolidato a seguito dell’atto impositivo definitivo..”. Ritenere che sussista un dovere dell’amministrazione a rispondere all’istanza di autotutela significherebbe crerare una situazione giuridicamente protretta dal contribuente, in più azionabile sine die dall’interessato, violando il principio della definitività del provvedimento amministrativo e della conseguente stabilità della regolazione del rapporto oggetto dello stesso.

Tutte le rationes decidendi sulle quali si fonda la pronuncia della Corte Costituzionale si basano sull’assunto che l’autotutela non sia attività amministrativa espressiva di una funzione giustiziale, ma della medesima azione amministrativa che aveva dato origine all’atto illegittimo.

Il dovere di annullare l’atto, non rientrando nella fase giudiziale, equivale al dovere di non emanare un atto viziato, l’ uno esprimibile in termini “attivi” ( annullamento) e l’altro in termini passivi( non emanazione). Sulla base di queste premesse si può correttamente ritenere che l’omesso annullamento non configuri una violazione, ma una persistenza del dovere precedente.

L’estinzione del diritto potestativo del privato di attivare la tutela giurisdizionale nei confronti del primo esercizio del potere non preclude la reviviscenza del diritto di reazione all’atto illegittimo. Il vero tema su cui si incentra la Corte Costituzionale concerne la tutela giurisdizionale in merito l’atto illegittimo, che dovrà formare oggetto di accertamento prima ed indipendentemente dalla valutazione dell’eventuale violazione del “dovere” di annullamento.

In altri termini, il sindacato sul mancato dovere di annullamento dell’atto presuppone la proposta domanda giudiziale avente ad oggetto l’illegittimità dell’atto, domanda che avrebbe costituito oggetto del diritto potestativo d’azione estinto.

L’unicità della tutela costituisce il riflesso dell’unicità del vizio: la circostanza per cui il processo è disciplinato come “ impugnazione di atti” non deve oscurare il fatto che il vizio è riferibile all’attività ed ai suoi esiti cosicchè  la tutela giurisdizionale è concessa in relazione alla stessa..

La Corte dichiara conforme a Costituzione l’assetto considerato, rilevando che” la non irragionevolezza della disciplina esaminata non comporta che siano precluse al legislatore altri possibili scelte, in quanto la previsione legislativa di casi di autotutela obbligatoria è possibile”. Quest’ultimo passaggio sembra essere espressione, seppur in forma velata, di un auspicio.

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