venerdì, Marzo 29, 2024
Diritto e ImpresaTax Driver

Società semplice di mero godimento – la forza innovatrice del diritto tributario

A cura di Matteo Sturla – Bocconi Students Advocacy and Litigation

 

La società semplice rappresenta uno dei modelli societari più risalenti nell’ordinamento italiano: ispirata al Diritto delle Obbligazioni svizzero, fu tipizzata dal Codice Civile del 1942 per disciplinare l’esercizio collettivo di un’attività economica non commerciale (art. 2249 c.c.). Sulla base di tale definizione, e in considerazione della scelta del legislatore di prevedere due attività d’impresa, i.e. commerciale e agricola, l’orientamento dottrinale dominante aveva escluso l’utilizzo della società semplice per qualsiasi altra attività che non fosse quella agricola.

Tuttavia, per meglio comprendere le fattispecie operative alle quali potenzialmente si presta tale tipo di società, è necessario riportare alla memoria il primo fondamento per lo svolgimento dell’impresa collettiva. L’art. 2247 stabilisce infatti che con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili. Diversamente, qualora lo scopo perseguito fosse il mero godimento, il contratto sociale difetterebbe del requisito di economicità previsto dallo stesso articolo e, pertanto, non sarebbe possibile applicare la disciplina del diritto societario, bensì quella in materia di comunione (art. 2248). La differenza è rilevante: secondo la Cassazione (6361/2004; 3028/2009), nella comunione il bene comune forma oggetto di godimento, il quale rappresenta il fine della comunione, mentre nella società il godimento è solo il mezzo per l’esercizio di un’attività di impresa. Di conseguenza, l’esercizio delle facoltà d’uso e di disposizione di un diritto può essere fine a se stesso, cioè esaurirsi nella percezione delle utilità d’uso o di disposizione del suo oggetto, oppure strumento per generare utilità ulteriori: solo se l’esercizio delle facoltà è strumentale, allora si esorbita dal mero godimento e il comportamento programmato o attuato è suscettibile di essere qualificato società (Massima 69/2016, Consiglio Nazionale del Notariato).

Tale distinzione è utile e anzi necessaria per comprendere la portata innovativa che alcune norme di natura fiscale introdotte a partire dagli anni ‘90 (L. 449/1997, L. 448/2001, L. 296/2006, L. 244/2007, art. 1 comma 115 L. 208/2015 prorogato dalla L. 232/2016) hanno avuto sul diritto societario. Tali norme sono infatti volte ad agevolare la trasformazione in società semplice delle società commerciali che svolgevano l’attività di gestione di beni non strumentali ad un’attività economica, di fatto legittimando l’utilizzo di tale tipo societario come strumento di gestione del patrimonio. Entrando nel dettaglio della norma, l’ultimo atto di rango legislativo di questa sequenza di leggi di agevolazione tributaria registra i seguenti enunciati normativi:

  1. le società di tipo commerciale (società in nome collettivo, in accomandita semplice, a responsabilità limitata, per azioni e in accomandita per azioni) che assegnano o cedono ai soci beni immobili diversi da quelli utilizzati esclusivamente per l’esercizio dell’arte o professione o dell’impresa commerciale o beni immobili iscritti in pubblici registri non utilizzati come beni strumentali nell’attività propria dell’impresa hanno accesso, a certe condizioni e se l’assegnazione o la cessione sopravvengono entro un dato termine, a un insieme di privilegi, e quindi di immunità dal diritto tributario comune, sia sul versante delle imposte dirette (imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP) che su quello delle imposte indirette (imposte di registro, ipotecarie e catastali).
  2. Le medesime disposizioni si applicano alle società che hanno per oggetto esclusivo o principale la gestione dei predetti beni e che [entro il medesimo termine] si trasformano in società semplici.

Se la ratio della norma è piuttosto evidente, i.e. incentivare la rimozione di società commerciali di mero godimento attraverso la riduzione dei costi fiscali derivanti dall’assegnazione dei beni, non è tuttavia facile comprendere le ragioni che hanno portato il legislatore a creare un’eccezione al diritto tributario comune, quando sarebbe stato possibile ottenere lo stesso risultato prevedendo la trasformazione delle società commerciali di mero godimento in comunioni (“comunione d’azienda”). La legislazione tributaria – che, giova ricordare, occupa la stessa posizione sistematica delle altre leggi nella gerarchia delle fonti – ha così innovato il diritto delle società risultante dal codice civile, rendendo la società semplice non solo il regime residuale d’esercizio di attività economiche collettive non commerciali, come era previsto dal testo originario del codice civile unificato, ma anche un regime societario facoltativo (rispetto a quello della comunione) del godimento collettivo (Massima 69/2016, CNN).

Da ultimo, una questione che merita di essere presa in considerazione al fine di comprendere l’evoluzione del paradigma funzionale della società semplice – obiettivo di questo elaborato – riguarda la possibilità di costituire una società semplice di mero godimento. Una risposta positiva in tal senso perviene dal diritto costituzionale: disconoscere la costituzione di una società semplice di mero godimento nel momento stesso in cui ripetute norme di rango legislativo consentono espressamente la trasformazione comporterebbe una irragionevole violazione della parità di trattamento (art. 3 Cost.).

Una delle applicazioni pratiche a cui la società semplice di mero godimento si presta con maggiore efficacia è la destinazione di un patrimonio in sede di passaggio generazionale. La successione o donazione di partecipazioni nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta è soggetta ad imposizione nella misura pari al 4% (con franchigia pari a 1 milione di euro), da applicare sul valore dei beni e dei diritti appartenenti alla società al netto delle passività. Il conferimento di beni mobili e immobili in una s.s., e la successiva donazione della nuda proprietà delle quote agli eredi, consente tuttavia di ottenere un risparmio d’imposta rispetto alla successione, dal momento che il ricongiungimento di nuda proprietà e usufrutto non sconta imposta di successione. Poiché il valore della nuda proprietà cresce al crescere dell’età del donante, il risparmio d’imposta viene dunque a dipendere soprattutto dalla tempestività con cui viene definito il passaggio generazionale. Infine, tale assetto societario consente al donante, in qualità di socio amministratore, di continuare ad amministrare il patrimonio donato e di godere dei frutti generati dal patrimonio della società.

Fonti:

Studio n. 69-2016/I; Consiglio Nazionale del Notariato; 2016.

Studio n. 73-2016/I; Consiglio Nazionale del Notariato; 2016.

Commissione Studio Diritto Societario, «La società semplice e le sue applicazioni», OCDEC, Modena, 2016.

Tavecchio, Caldara e Associati, L’utilizzo della società semplice per la gestione di patrimoni complessi, 2017.

Tarantino, Gli strumenti e le modalità di convivenza in un’ottica transgenerazionale, Fiditalia, Ravenna, 1 giugno 2017.

 

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