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Tende, pergolati, gazebo e pergotende: quando è necessario un titolo abilitativo?

Premessa: le attività di edilizia libera

Con la locuzione attività di edilizia libera ci si riferisce a quegli interventi edilizi che non necessitano di alcun titolo abilitativo[1].

Tali tipologie di attività sono disciplinate nel nostro ordinamento dal D.P.R. 380 del 2001 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) il quale ha subito dal 2001 ad oggi numerose modifiche elaborate, soprattutto, con l’obiettivo di semplificare l’iter dei procedimenti e di ampliare la sfera degli interventi che non richiedono alcun titolo abilitativo[2].

È l’articolo 6, in particolare, a disciplinare gli interventi edilizi eseguibili senza alcun titolo abilitativo distinguendo tra attività totalmente libere e attività soggette, invece, a preventiva comunicazione di inizio lavori al Comune.

Nella sua versione odierna[3] l’articolo sottopone al regime di edilizia libera uno spettro molto più ampio di interventi rispetto alla previsione originaria[4], esso si articola in 12 macro “categorie di intervento”: manutenzione ordinaria, pompe di calore di potenza termica utile nominale inferiore a 12 kW, depositi di gas di petrolio liquefatti di capacità complessiva non superiore a 13 mc, eliminazione delle barriere architettoniche, attività di ricerca nel sottosuolo, movimenti di terra, serre mobili stagionali, pavimentazione di aree pertinenziali, pannelli fotovoltaici a servizio degli edifici, aree ludiche ed elementi di arredo delle aree di pertinenza, manufatti leggeri in strutture ricettive e opere contingenti temporanee.

Le definizioni di una buona parte di interventi edilizi è contenuta nell’articolo 3 del Testo Unico, rubricato, appunto, Definizioni degli interventi edilizi, il quale ad esempio al comma 1, lettera a, definisce come “interventi di manutenzione ordinaria“, gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti.

Come già sottolineato il Testo Unico ha subito dalla sua entrata in vigore numerose modifiche, tra le quali, le più recenti, sono state attuate con il D.lgs. 222/2016 (c.d. Decreto SCIA 2).

Quest’ultimo ha ridotto a cinque i titoli abilitativi edilizi ed ha notevolmente ampliato le opere di edilizia libera, facendovi rientrare anche interventi prima soggetti a CIL (Comunicazione Inizio Lavori).

Il Decreto contiene, in allegato, la tabella A con la quale si è cercato di mettere ordine in una materia, come quella dei titoli abilitativi necessari per ogni settore e tipologia di attività, caratterizzata da una grande complessità e disomogeneità, soprattutto per i non addetti al settore.

La Tabella A ha provveduto a mappare le diverse attività private nei campi dell’edilizia, del commercio e dell’ambiente, specificando per ciascuna di esse quale procedimento occorra attivare.

Sempre in un’ottica di semplificazione, veniva prevista l’adozione di un Glossario Unico dell’Edilizia, in particolare esso demandava al MIT (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) la costituzione, con decreto, dell’elenco delle principali opere edilizie, con l’individuazione della principale categoria di intervento a cui le stesse appartengono e del conseguente regime giuridico a cui sono sottoposte.

Il Decreto, che doveva essere emanato entro 90 giorni dall’entrata in vigore del D.Lgs. “Scia 2” (entro quindi il 10 marzo 2017), è stato invece approvato il 2 marzo 2018 ed è entrato in vigore lo scorso 23 aprile.

Tale Glossario contiene l’elenco delle principali opere edilizie realizzabili in edilizia libera; per le opere realizzabili mediante CILA, SCIA, permesso di costruire e SCIA alternativa al permesso di costruire, gli elenchi saranno adottati in un secondo momento con ulteriori Decreti.

Occorre sottolineare che il glossario non va ad ampliare le 12 categorie di edilizia libera già previste dall’articolo 6 del Testo Unico (così come modificato dal Decreto SCIA 2) ma si limita ad identificare, a dare un nome alle opere che rientrano in queste categorie.

Il Dlgs 222/2016 ha,infatti, definito le categorie d’intervento (manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, ecc. e il relativo regime giuridico ma non ha esplicitato i singoli interventi facenti parte della categoria; il Glossario unico fa proprio questo: dà un nome agli interventi che fanno parte delle categorie individuate dal Decreto Scia 2 e riporta il relativo titolo abilitativo[5].

Il Glossario, che contiene 58 tipologie di opere, è da considerare un elenco non esaustivo, omogeneo su tutto il territorio nazionale, fermo restando il rispetto delle prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali e di tutte le normative di settore sulle attività edilizie e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, , di tutela dal rischio idrogeologico, delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio.

Aree ludiche ed elementi di arredo delle aree di pertinenza

La Tabella A allegata al Decreto SCIA 2 specifica al punto 29 della sezione II (edilizia) che tra le attività di edilizia libera rientra la categoria degli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici; il Glossario specifica, ulteriormente, che rientrano in questa categoria gli interventi di istallazione, riparazione, sostituzione o rinnovamento di tende da sole, tende a pergola, pergolati, pergotende e gazebo di limitate dimensioni e non stabilmente infisse al suolo.

Va sottolineato che la norma non fornisce una definizione dei singoli interventi, o meglio di cosa debba intendersi per pergolato, pergotenda e gazebo; la definizione univoca di molte strutture (42 per l’esattezza) per la vivibilità dell’esterno è, invece, contenuta nel Regolamento Edilizio Unico[6], il quale, però, non essendo completo, lascia spazio a molti dubbi interpretativi soprattutto da parte delle amministrazioni comunali.

Come spesso accade è intervenuta la giurisprudenza a fornire i necessari criteri orientativi ed in particolare il Consiglio di Stato, Sezione VI, con la sentenza 25 gennaio 2017, n. 306, si è espresso riguardo alla definizione di pergolati, gazebo, verande, pergotende (di cui non è sempre agevole individuare il limite entro il quale possano considerarsi attività edilizia libera o necessitano di un titolo edilizio).

In particolare la Sentenza definisce:

  • il pergolato come è una struttura realizzata al fine di adornare e ombreggiare giardini o terrazzi e consiste in un’impalcatura, generalmente di sostegno di piante rampicanti, costituita da due o più file di montanti verticali riuniti superiormente da elementi orizzontali, tale da consentire il passaggio delle persone e aperta su almeno tre lati e nella parte superiore. Normalmente il pergolato non necessita di titoli abilitativi edilizi. Quando il pergolato è coperto, nella parte superiore, anche per una sola porzione, con una struttura non facilmente amovibile, realizzata con qualsiasi materiale, è assoggettato tuttavia alle regole dettate per la realizzazione delle tettoie.
  • il gazebo è una struttura leggera, non aderente a altro fabbricato, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati e realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili e talvolta realizzato in modo permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti come giardini o ampi terrazzi. Se utilizzato come struttura temporanea non necessita di titoli edilizi; nel caso in cui sia infisso al suolo è necessario il permesso di costruire.
  • la pergotenda costituisce un elemento di migliore fruizione dello spazio esterno, stabile e duraturo. Tenuto conto della consistenza, delle caratteristiche costruttive e della funzione, non costituisce un’opera edilizia soggetta al previo rilascio del titolo abilitativo. L’opera principale non è la struttura in sé, ma la tenda, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, con la conseguenza che la struttura si qualifica in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda.

I requisiti a cui viene dato rilievo in questa sentenza, così come in gran parte della giurisprudenza in materia, ai fini della necessità o meno del permesso di costruire sono la precarietà e le dimensioni dell’opera (a cui si riferisce anche il Glossario quando parla di opere di “limitate dimensioni e non stabilmente infisse al suolo”).

Per precarietà di un opera (della quale la dimensione costituisce un requisito intrinseco) non si indica semplicemente il fatto che quest’ultima sia temporanea e provvisoria ossia non stabile e facilmente removibile (c.d. precarietà strutturale) ma si fa riferimento anche alla sua idoneità a soddisfare esigenze meramente contingenti, specifiche e limitate nel tempo[7] (c.d. precarietà funzionale); la giurisprudenza è concorde nel ritenere che per individuare la natura precaria di un’opera si debba seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un’opera può anche non essere stabilmente infissa al suolo, ma se essa presenta la caratteristica di essere realizzata per soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare del regime delle opere precarie. Rientrano quindi nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre la concessione edilizia e che possono essere oggetto di domanda di condono in caso di realizzazione delle stesse in sua assenza, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale, come impianti per attività produttive all’aperto ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato[8].

Possiamo fare l’esempio del pergolato (che rappresenta sicuramente una delle opere più problematiche).

Un pergolato può essere considerato, secondo la definizione del Consiglio di Stato, come una struttura leggera realizzata al fine di adornare e ombreggiare giardini o terrazzi (risponde, evidentemente a finalità temporanee e contingenti); ma se il pergolato, che dovrebbe essere aperto su almeno tre lati e sulla parte superiore, viene coperto in modo fisso, ad esempio con delle mattonelle, allora sarà assoggettato alle regole previste per le tettoie in quanto crea nuovo spazio vivibile, assume una funzione di copertura  durevole nel tempo (perde dunque la sua precarietà funzionale)ed accresce la volumetria e la superficie dell’unità principale.

Il pergolato può, invece, essere coperto da tende retrattili, diventando in tal modo una pergotenda la quale può, addirittura, essere protetta lateralmente da tende o teli plastificati arrotolabili; in questo caso non è necessario un titolo abilitativo in quanto l’opera principale non è la struttura in sé (il pergolato), ma la tenda, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici (funzione contingente), finalizzata ad una migliore fruizione dello spazio esterno dell’unità abitativa, con la conseguenza che la struttura (anche se realizzata in alluminio e non in legno) si qualifica in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda[9].

Si badi bene che le pergotende possono essere protette lateralmente da tende o teli plastificati arrotolabili ma non da vetri o plexiglass, nemmeno se richiudibili, perché in questo caso la strutture del pergolato su cui si poggia la tenda non servo solo al sostegno della tenda stessa, ma anche ad appoggiare le lastre laterali, che a loro volta creano uno spazio chiuso; in questo caso la pergotenda può essere utilizzata come riparo ed aumenta l’abitabilità dell’immobile[10] (richiede, dunque, il permesso di costruire).

Inoltre, è importante che la pergotenda (ma analogo discorso vale per i gazebo) non cambi la destinazione d’uso dell’ambiente in cui è montata: ad esempio una pergotenda su un terrazzo o giardino che serve a godere meglio degli spazi esterni, riparando dal sole o dagli agenti atmosferici, non cambia la destinazione d’uso dell’edificio; invece una pergola di grandi dimensioni montata nel giardino del ristorante per ospitare i tavoli da pranzo, cambia la destinazione d’uso dell’ambiente.

Quindi, in conclusione, si può affermare che a livello statale, i gazebi, i pergolati, le tende da sole e le pergotende rientrino (seppur nei limiti appena descritti) a pieno titolo tra le attività di edilizia libera per le quali non è richiesto un permesso di costruire. Tuttavia, lo stesso Glossario, fa salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali (…) nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, per cui è sempre necessario consultare il Regolamento di Urbanistica del proprio comune il quale, in alcuni casi fa applicare ai cittadini quanto previsto dalle leggi regionali o statali, in altri casi potrebbe essere più restrittivo e porre limiti aggiuntivi[11].

[1] In seguito all’entrata in vigore del D.lgs. 222/2016 (c.d. Decreto SCIA 2) scompaiono definitivamente la DIA (dichiarazione di inizio attività), la Super DIA (dichiarazione di inizio attività alternativa al permesso di costruire) e la CIL (comunicazione dell’inizio dei lavori); attualmente i titoli abilitativi in vigore sono:

  • SCIA (segnalazione certificata di inizio attività)
  • CILA (comunicazione di inizio attività asseverata)
  • SUPER SCIA (segnalazione certificata di inizio attività alternativa al permesso di costruire)
  • PdC (permesso di costruire).

[2] Tra le norme che hanno modificato il Testo Unico ricordiamo il D.L. 133/2014 (c.d. Sblocca Italia) che ha inserito i lavori di “frazionamento e accorpamento” nel regime giuridico della manutenzione straordinaria eseguibile con la CILA anziché con la SCIA, e il D.lgs. 222/2016 che ha ridotto a 5 le procedure edilizie.

[3] In seguito alle modifiche apportate dall’articolo 5 della L. 73/2010, dall’articolo 13 bis del D.L. 83/2012, dal D.L. 69/2011 e dalla L. 164/2014).

[4] Al momento della sua entrata in vigore l’articolo 6 recitava che: “Salvo più restrittive disposizioni previste dalla disciplina regionale e dagli strumenti urbanistici, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, i seguenti interventi possono essere eseguiti senza titolo abilitativo:

a) interventi di manutenzione ordinaria;

b) interventi volti all’eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell’edificio;

c) opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere geognostico o siano eseguite in aree esterne al centro edificato”.

[5]Ad esempio nella Tabella A, Sezione II del Decreto Scia 2 si legge che gli interventi di manutenzione ordinaria sono attività di edilizia libera. Ma cosa s’intende per manutenzione ordinaria? Il Decreto dava solo una semplice definizione: “interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti”. Il Glossario specifica che rientrano nella manutenzione ordinaria le opere di riparazione, sostituzione, rinnovamento di pavimentazione interna ed esterna, intonaco interno ed esterno elemento decorativo delle facciate ecc..

[6] Adottato con intesa tra Governo, Regioni e Comuni del 20 ottobre 2016 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 16 novembre 2016.

[7] Dall’articolo 3, comma 1, lett. e.5 del Testo Unico dell’Edilizia è possibile trarre una nozione di “opera precaria”, la quale è fondata non sulle caratteristiche dei materiali utilizzati né sulle modalità di ancoraggio delle stesse al suolo quanto piuttosto sulle esigenze (di natura stabile o temporanea) che esse siano dirette a soddisfare; Dunque, la natura di opera “precaria” (non soggetta al titolo abilitativo) riposa non nelle caratteristiche costruttive ma piuttosto in un elemento di tipo funzionale, connesso al carattere dell’utilizzo della stessa.(C.d.S., sez. VI, 27.4.2016,n.1619)

[8] Cfr. C.d.S., sez. V, 27.3.2013 n. 1776.

[9] C.f.r Consiglio di Stato, Sezione VI,25 gennaio 2017, n. 306.

[10] In questo caso l’opera perde anche il suo carattere pertinenziale poiché  “ai fini edilizi non vi è dubbio sulla assenza della natura pertinenziale  quando sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio”. (Consiglio di Stato, sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4290).

[11] Ad esempio può prevedere divieti e limiti in determinate zone o l’obbligo di attenersi a determinate dimensioni, materiali e colori.

Paola Verduni

contatti: pverduni90@gmail.com

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