mercoledì, Marzo 27, 2024
Litigo Ergo Sum

Quando un giudice deve astenersi dal giudicare ?

Tutti hanno desiderato, almeno una volta nella vita, di avere un amico magistrato che gli garantisse favori giurisdizionali nel caso si fossero trovati parti in controversie civili.

Sebbene tale prospettiva risulti interessante, è chiaramente utopico che in uno stato di diritto possa verificarsi questa situazione. In ossequio ai principi costituzionali in materia di giusto processo e diritto alla difesa, sono principalmente due le norme che impediscono la suddetta situazione. La prima è certamente l’articolo 51 del codice di procedura civile, rubricato “astensione del giudice”. Tale norma permette che situazioni esterne al giudizio possano inficiare la terzietà e parzialità del giudice. Stabilisce l’articolo che: “Il giudice ha l’obbligo di astenersi: 1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto; 2) se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori; 3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori; 4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico; 5) se è tutore, curatore, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa. In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi; quando l’astensione riguarda il capo dell’ufficio, l’autorizzazione è chiesta al capo dell’ufficio superiore.”

Il codice dunque ci paventa due ipotesi di astensione: la prima, obbligatoria, legata ai primi cinque numeri, che vincola il giudice all’astensione; la seconda, facoltativa, che rimette al giudice la facoltà di chiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi, in caso di gravi ragioni di convenienza.

E’ chiaro che quindi l’astensione è un atto del giudice, ma qual è il destino delle decisioni prese dal giudice in violazione di tale obbligo ?

Secondo alcune massime della Corte di Cassazione, la mancata astensione del giudice ex art. 51 c.p.c., non può di per sé integrare mancanza di giurisdizione del collegio giudicante, come tale deducibile, con riguardo a pronuncia di giudice amministrativo, con ricorso per cassazione a norma dell’art. 111, comma terzo, Cost., atteso che detta carenza di giurisdizione, in relazione all’illegittima composizione dell’organo giudicante, è ravvisabile solo nelle diverse ipotesi di alterazioni strutturali dell’organo medesimo, per vizi di numero o qualità dei suoi membri, che ne precludono l’identificazione con quello delineato dalla legge (1). Inoltre, secondo un pacifico principio giurisprudenziale, in difetto di ricusazione, la violazione dell’obbligo di astensione da parte del Giudice non è deducibile come motivo di nullità della sentenza.

Sembrerebbe però, in realtà, da applicare la norma sulla nullità derivante dalla costituzione del giudice (art. 158 c.p.c.).

Il numero 4 del primo comma ex art 51 presenta una situazione non inusuale, in quanto paventa la possibilità che lo stesso giudice si trovi a dover decidere della stessa controversia in altro grado. In tal caso, la Cassazione ha stabilito che “l’obbligo di astensione del giudice, ai sensi dell’art. 51, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., é circoscritto all’ipotesi in cui egli abbia partecipato alla decisione in altro grado del giudizio e consegue che il giudice d’appello non é obbligato ad astenersi per aver assunto in primo grado un provvedimento solo ordinatorio “(2).

E in caso di giudice di pace ? la norma si applica anche al giudice di pace in base a quanto previsto dalla l. 21-11-1991, n. 374, la quale estende i casi di astensione previsti nel presente articolo e dispone la astensione obbligatoria anche nel caso di sussistenza attuale o anche passata di rapporti di collaborazione o lavoro autonomo con una delle parti in giudizio.

Quali altri rimedi ci offre l’ordinamento a tutela della mancata astensione del giudice ?

Qui ci viene in soccorso l’articolo 52 del codice di procedura civile, rubricato “Ricusazione del giudice”. Stabilisce tale norma al primo comma che “Nei casi in cui è fatto obbligo al giudice di astenersi, ciascuna delle parti può proporne la ricusazione mediante ricorso contenente i motivi specifici e i mezzi di prova”. Tale previsione tutela quindi chiaramente le parti, attribuendo un diritto potestativo processuale ai soggetti in causa di far ricusare il giudice che non ha ottemperato all’obbligo di doversi astenere ex articolo 51.

La ricusazione quindi si chiede mediante ricorso, che in questo caso non è atto personalissimo in quanto può essere anche presentato dal difensore senza procura speciale, e prevede dei termini perentori: (deposito in cancelleria) due giorni prima dell’udienza se al ricusante è noto il nome dei giudici che tratteranno la causa; prima dell’inizio della trattazione o della discussione in caso contrario.

La presentazione del ricorso determina, inoltre, in via automatica la sospensione del processo. Tuttavia, secondo un recente orientamento giurisprudenziale, la sospensione viene necessariamente disposta solo nel caso in cui l’istanza di ricusazione sia ammissibile e, pertanto, rispettosa delle condizioni ed i termini prescritti dalla legge.

secondo una recente sentenza (3), In tema di ricusazione del giudice, la “inimicizia” del ricusato, ai sensi dell’art. 51, comma 1, n. 3, c.p.c., non può essere desunta dal contenuto di provvedimenti da lui emessi in altri processi concernenti il ricusante, tranne che le “anomalie” denunciate siano tali da non consentire neppure di identificare l’atto come provvedimento giurisdizionale; tuttavia, qualora ricorra tale ipotesi, il giudice della ricusazione deve anche accertare se quelle anomalie, in ipotesi ascrivibili ad altre cause, siano state determinate proprio da grave inimicizia nei confronti del ricusante, su cui incombe il correlato onere di allegare fatti e circostanze rivelatrici dell’esistenza di ragioni di avversione o di rancore estranei alla realtà processuale.

E’ da notare, inoltre, come il giudizio di ricusazione sia un giudizio particolare. infatti, non è possibile individuare una controparte. il diritto del litigante ad essere giudicato da un giudice terzo e imparziale si estrinseca, infatti, solo nei confronti dell’ordinamento, non sussistendo un contrapposto diritto del giudice a decidere la lite assegnatagli e non essendo ipotizzabile un interesse della controparte del giudizio di merito ad interferire nel giudizio di ricusazione. non è prevista, infatti, la notifica dell’istanza di ricusazione al giudice ricusato.

anche in tema di ricusazione vi sono ombre di illegittimità: una recente sentenza del 2014 (4) ha stabilito che “il potere di ricusazione costituisce un onere per la parte, la quale, se non lo esercita entro il termine fissato dall’art. 52 cod. proc. civ., non ha mezzi processuali per far valere il difetto di capacità del giudice, sicché, in mancanza di ricusazione, la violazione da parte del giudice dell’obbligo di astenersi non può essere fatta valere in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza”. La questione verte sui termini succitati, in quanto sono termini perentori. Può succedere però che la parte venga a conoscenza della sussistenza di uno dei motivi di cui all’art. 51 c.p.c. anche dopo l’inizio della trattazione, con la conseguenza che veda scaduti i termini e la decadenza dei mezzi per far valere il suo diritto potestativo. Tuttavia, se questa sentenza lascia ombre sui termini della ricusazione, ci evidenzia di contro come in realtà da ultimo la Cassazione sia incline a far valere la nullità delle sentenze emesse in violazione dell’obbligo di astensione.

Sulla ricusazione decide con ordinanza il presidente del tribunale in caso di ricusazione del giudice di pace; decide il collegio se è ricusato uno dei componenti del tribunale o della corte. L’ordinanza non è impugnabile. Da norma, l’ordinanza che accoglie il ricorso designa anche il giudice che deve sostituire quello ricusato. Se l’ordinanza è ritenuta inammissibile o se rigetta la ricusazione, provvede sulle spese e può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena non superiore a 250 euro. Data la notizia alle parti, la causa deve essere riassunta (qualora sospesa) nel termine di sei mesi.

 

 

 

(1) Cassazione a Sezioni Unite n. 146/2000

(2) Cassazione n. 25643/2014

(3) Cassazione n. 18976/2015

(4) Cassazione n. 26223/2014

Emanuele De Stefano

Laureato con lode in Giurisprudenza all'Università Federico II di Napoli con una tesi in diritto processuale civile. Scrivo per Ius In Itinere dal 2016 e sono Responsabile dell'area "Contenzioso". Nella vita privata mi dedico essenzialmente allo studio, amo giocare a tennis e seguo il Milan, mia grande passione da quando sono bambino. Il più grande amore della mia vita è Lapo, un meticcio di pastore tedesco.

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