venerdì, Marzo 29, 2024
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Violenza sessuale e stupro come armi di guerra: quale protezione viene garantita alle vittime

 

La violenza sessuale nei conflitti armati costituisce una prassi ormai normalizzata, anche se raramente se ne è discusso; al più si è parlato di un “danno collaterale”, limitando la sua rilevanza all’offesa recata alla persona che la subiva. Con il passare del tempo e con l’acuirsi delle conseguenze sociali di tali atti, la comunità internazionale si è mossa nel senso di prevenire la loro commissione, di punire gli autori e di conseguenza, tutelare le vittime.

Lo stupro non si limita ad offendere la dignità di un individuo: rappresenta una coartazione psico-fisica in grado di soggiogare e annichilire, insieme alla vittima, l’intero gruppo a cui essa appartiene per ragioni di razza, di etnia, di religione. Proprio per questo assume la connotazione di una vera e propria arma di guerra: ha la capacità di incidere sulla comunità avversaria, penetrando nella sua cultura e nella sua coscienza, allo scopo di ottenere obiettivi militari o politici.

La commissione di atti di stupro durante i conflitti armati affonda le proprie radici in tempi piuttosto remoti: prima considerati come “parte integrante” di un conflitto, rappresentavano contemporaneamente, trofeo per i vincitori e stigma di umiliazione per i vinti. A seguito della seconda guerra mondiale, i Tribunali Militari di Norimberga e di Tokyo si trovarono a giudicare gli atti perpetrati nel corso della guerra: mentre nel processo di Norimberga i criminali nazisti non furono tacciati di violenze sessuali , il Tribunale di Tokyo invece condannò gli ufficiali giapponesi per aver fallito nel prevenire gli abusi nello “stupro di Nanchino”. In realtà, gli atti di stupro commessi in quel periodo erano già punibili sulla base del diritto consuetudinario, della Convenzione dell’ Aja sulle leggi e usi di guerra del 1907 (relativamente al rispetto degli onori familiari) e della Carta di Norimberga che all’ articolo 6  incrimina ogni “altro atto inumano commesso ai danni di una qualsiasi popolazione civile, prima e durante la guerra”, non facendo però esplicito riferimento allo stupro.

Ma come si inquadrano giuridicamente gli atti di stupro nel diritto internazionale?

Dal punto di vista giuridico, è importante, innanzitutto, fare riferimento alla IV Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra del 12 agosto 1949 : in essa, diversi articoli hanno rilevanza diretta per le donne poiché tesi a prevenire comportamenti usati come armi di guerra, quali lo stupro e le violenze sessuali. Un passo fondamentale in tale materia si è avuto poi con lo Statuto della Corte Penale Internazionale che all’articolo 7 (paragrafo 1, lettera g) considera come crimini contro l’umanità anche “ lo stupro, la schiavitù sessuale, la prostituzione forzata, la  gravidanza e la sterilizzazione forzate e ogni altra forma di violenza sessuale comparabile per gravità”.

Anche la giurisprudenza ha dato un forte contributo all’evoluzione del concetto di stupro in ambito internazionale: i conflitti che si sono avuti nella ex Jugoslavia tra il 1992 e il 1995, e poi ancora il genocidio in Ruanda nel 1994, hanno portato i tribunali ad hoc a pronunciarsi sulla questione. Dapprima il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda nel 1998 considerò le violenze sessuali come strumenti del crimine di genocidio, qualora commesse con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo specifico di individui: nel caso di specie, il tribunale sancì come gli stupri di massa fossero avvenuti “in modo sistematico e perpetrato solo contro le donne Tutsi”. A tale pronuncia seguì quella emessa dal Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia nel 2001, in merito agli atti di stupro commessi dai soldati serbo-bosniaci contro le donne musulmane della città di Foča: le violenze costituivano crimini contro l’umanità e come tali, non sottratte alla giustizia internazionale.

La cristallizzazione del concetto di stupro come strumento di guerra si è avuta con la Risoluzione 1820 approvata nel 2008 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La violenza sessuale viene qui definita come “una tattica di guerra per umiliare, dominare, instillare paura, disperdere o dislocare a forza membri civili di una comunità o di un gruppo etnico”. La risoluzione, però,  non ha previsto come e con quali mezzi perseguire i responsabili e nella pratica è stata applicata in pochissime occasioni.

Nonostante esistano molteplici norme che vietano il crimine di stupro, bassissimo è il numero di condanne emesse in applicazione del divieto: alla base di tali violenze vi sono ragioni etiche e sociali da tenere in considerazione.

I problemi relativi al perseguimento di tali crimini sono legati a più fattori: innanzitutto, le vittime hanno difficoltà a denunciare, in mancanza di una struttura sociale tale da sostenere le denunce. Ciò a causa del fatto che le condotte si verificano spesso in Stati attraversati da conflitti, con una  giurisdizione statale non solida e di conseguenza con strumenti investigativi poco raffinati: la difficoltà nel raccogliere elementi di prova a sostegno dell’accusa (es. testimonianze) è un altro ostacolo alla repressione del crimine di stupro.

Il problema dell’impunità legata agli stupri di guerra si è riscontrato soprattutto nella Repubblica democratica del Congo, dove le aggressioni sessuali continuano senza trovare tregua.

Ancora, gli abusi sessuali vengono largamente praticati dall’autoproclamato Stato islamico nel suo progetto di espansione territoriale, come arma di guerra necessaria per la conquista di una regione, di un’area, di un villaggio. Ciò è quanto accaduto nei confronti della comunità Yazidi, minoranza religiosa in Iraq e in Siria, oggetto di un piano genocida da parte dei combattenti ISIS (cd. Yazidi Genocide). Le donne yazide sono state vittime di stupri sistematici, rapite per essere violentate, poi ripetutamente rivendute come schiave all’interno di un mercato creato nel territorio del califfato. I crimini compiuti non sono stati negati dall’ISIS, ma anzi considerati come una regola, come un diritto religiosamente riconosciuto.

Le violazioni e gli abusi documentati costituiscono non solo reati contro l’umanità, ma la comunità internazionale è d’accordo nel considerarli come atti costituenti crimini di genocidio, e di conseguenza i loro autori punibili a tale titolo.

Si parla addirittura di un’istituzionalizzazione dello stupro nelle aree sottoposte al controllo dell’ ISIS, di una tremenda condotta commessa in modo preparato, pianificato. Ma in un mondo dove la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali costituisce una priorità assoluta, condotte come queste, offensive della dignità del genere umano nel suo insieme, non sono in alcun contesto giustificabili.

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