venerdì, Aprile 19, 2024
Criminal & Compliance

La legge Gelli-Bianco al vaglio delle Sezioni Unite

Ndr: in attesa del deposito della motivazione della sentenza Cass. Pen. S.U., ud. 21 dicembre 2017, di cui al momento è nota l’informazione provvisoria, si cerca di ricostruire l’iter che ha reso necessario l’intervento delle S.U.

Gelli

A nemmeno un anno dall’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco, legge 8 marzo 2017 n. 24, che ha riformato i confini della responsabilità del medico sostituendo il precedente decreto Balduzzi, le S.U. tornano ad affrontare uno dei temi più delicati degli ultimi tempi.

Il nuovo art. 590 sexies c.p.

L’art. 590 sexies[1] a volerne riassumere i contenuti, abroga la disciplina penale (relativa alla depenalizzazione della colpa lieve) della Legge Balduzzi, più precisamente, ne abroga l’intero comma 1 dell’art. 3 e introduce (quella che appare) una ipotesi di generalizzata depenalizzazione della colpa medica per (la sola) imperizia (e dunque non estesa alle ipotesi della negligenza e della imprudenza, per nulla riguardate dal novum legislativo), la cui operatività è subordinata alla contemporanea presenza di due presupposti: occorre, infatti, che dall’«esercente la professione sanitaria» siano state «rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali», e che dette raccomandazioni «risultino adeguate alle specificità del caso concreto»[2].

Ne deriva, quindi, che l’ambito di applicazione della norma risulta circoscritto ai casi in cui la realizzazione dell’evento sia dovuto a causa di imperizia, il medico abbia rispettato le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi della legge, ovvero delle buone pratiche clinico assistenziali, e tali linee guida siano adeguate alla specificità del caso concreto.

Tuttavia, come prontamente evidenziato dai primi commentatori – sempre pronti nel cogliere i possibili limiti del rinnovato percorso normativo – la causa di non punibilità[3] delineata dalla disposizione non risulterebbe tuttavia passibile di applicazione pratica, dal momento che il medico non potrebbe essere, al contempo, imperito ma anche rispettoso delle linee guida[4]. In realtà la dottrina[5] è stata altrettanto rapida nell’evidenziare come si trattasse di un falso problema, basti considerare l’esempio del medico che, attenendosi alle linee guida prescritte per un particolare tipo di intervento, sbagli poi per imperizia nella loro concreta applicazione. È il caso esaminato dalla sentenza Tarabori[6] che ha limitato l’ambito di esonero da responsabilità penale, in base all’art. 590 sexies c.p., ai casi in cui si discute non di un qualunque errore intervenuto nella fase applicativa delle raccomandazioni contenute nelle linee guida, ma ai soli casi in cui il medico si sia limitato a seguire le raccomandazioni incorrendo in un errore esecutivo riguardante proprio la loro specifica e diretta applicazione e non si sia verificato un discostamento da esse[7]. Pertanto l’operatore sanitario deve aver integralmente applicato le linee guida, ma in una delle fasi esecutive, ne deve avere erroneamente apprezzato o attuato i criteri applicativi. Quindi non imperizia in eligendo le linee guida, ma in executivis, cioè linee guida scelte bene, ma applicate male[8]. Non sarà, quindi, rilevante la gravità dello scostamento della condotta dalle linee guida – che potrebbe rievocare la vecchia graduazione della colpa – perché l’imperizia, species – insieme a negligenza e imprudenza – del genus colpa generica, è concetto che racchiude in sé tutte le gradazioni di colpa: dalla lieve alla più grave.

La scusante viene quindi qui strutturata in senso verticale: se si è nell’area dell’imperizia, la colpevolezza è esclusa (naturalmente al ricorrere delle condizioni di legge) indipendentemente da quanto è grave l’errore; se si è nelle altre due, non vi è invece effetto scusante neanche se si è commesso un errore lieve[9]. In senso orizzontale era invece strutturo l’art. 3 della Legge Balduzzi che, prescindendo dalla categoria di colpa generica, poneva la sua attenzione sulla graduazione della colpa.

È evidente che con la Legge Balduzzi, il grado della colpa, e segnatamente la gravità della colpa, giocava un ruolo ampiamente inedito: da criterio tradizionalmente incidente solo sul quantum respondeatur, vale a dire sulla commisurazione della pena ai sensi dell’ art. 133 c.p., il suo  rilievo veniva anticipato alla stessa valutazione dell’an respondeatur, all’esserci o non-esserci del  reato[10].

Con il nuovo art. 590 sexies c.p. si può, invece, subito notare come sia del tutto epurato ogni riferimento all’intricata nozione di colpa grave, operando la scriminante secondo l’attuale versione di legge solamente in caso di colpa (indipendentemente dal fatto che sia grave o lieve) per imperizia. In altri termini, la punibilità dovrà escludersi a fronte di condotte imperite del sanitario, nelle quali lo stesso abbia comunque effettuato una corretta diagnosi e abbia altrettanto correttamente vagliato le linee guida pertinenti, in assenza di specificità rilevanti. Dovrà invece ritenersi sussistente la punibilità quando egli abbia adottato linee guida non pertinenti al caso concreto, dovendo disapplicarle in relazione alle specifiche condizioni del paziente[11].

La legge Gelli ponendo fine a tutti i dibattiti, coglie la ratio del legislatore quale è senz’altro quella di agevolare il lavoro del giudice affrancandolo dal non sempre agevole compito di graduare la colpa nelle ipotesi delittuose commesse dagli esercenti le professioni sanitarie[12].

 

Un contrasto interno alla IV Sezione penale della Corte di Cassazione

Le prime applicazioni pratiche della Legge Gelli, tutte interessate dall’art. 590 sexies c.p. e la relativa perimetrazione del suo ambito di applicazione, hanno sollevato un contrasto interno alla IV Sezione penale della Corte di Cassazione che ha reso necessario l’intervento delle S.U. chiamate ad esprimersi il 21 dicembre 2017[13].

Secondo una prima pronuncia «In tema di colpa medica, l’art. 6, comma secondo, l. 8 marzo 2017, n. 24 ha abrogato l’art. 3, comma primo, D.L. 13 settembre 2012, n. 158 (convertito, con modificazioni, dalla l. 8 novembre 2012, n. 189), il quale aveva escluso la rilevanza penale delle condotte connotate da colpa lieve in contesti regolati da linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica; ne consegue la reviviscenza della previgente più severa normativa che non consentiva distinzioni connesse al grado della colpa, mentre per i fatti anteriori all’entrata in vigore del nuovo regime trova ancora applicazione, ai sensi dell’art. 2, comma quarto, cod. pen., la citata normativa del 2012, in quanto più favorevole con riguardo alla limitazione della responsabilità ai soli casi di colpa grave»[14].

Ne segue che la disciplina della Legge Balduzzi apparirebbe più favorevole, in quanto esclude «la rilevanza penale delle condotte connotate da colpa lieve in contesti regolati da linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, mentre quella sopravvenuta ha eliminato la distinzione tra colpa lieve e colpa grave ai fini dell’attribuzione dell’addebito, dettando una nuova articolata disciplina in ordine alle linee guida che costituiscono il parametro per la valutazione della colpa per imperizia in tutte le sue manifestazioni».

Tuttavia, secondo una diversa e più recente pronuncia[15] – la sentenza Cavazza –  che muove da un’ipotesi di colpa per imperizia nella concreta esecuzione di un intervento, la nuova disciplina sarebbe più favorevole, avendo previsto una causa di esclusione della punibilità dell’esercente la professione sanitaria «operante, ricorrendo le condizioni previste dalla disciplina normativa (rispetto delle linee guida  o, in mancanza, delle buone pratiche clinico assistenziali adeguate alla specificità del caso) nel solo caso di imperizia, indipendentemente dal grado della colpa».

Si palesa, dunque, un significativo contrasto nella giurisprudenza della Quarta Sezione che ha reso necessario l’intervento delle Sezioni Unite le quali – come risulta dall’informazione provvisoria della pronuncia resa all’udienza pubblica del 21 dicembre – hanno statuito il seguente principio di diritto: «L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica:
a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza;
b) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia: 1) nell’ipotesi di errore rimproverabile nell’esecuzione dell’atto medico quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o, in mancanza, dalle buone pratiche clinico-assistenziali; 2) nell’ipotesi di errore rimproverabile nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto, fermo restando l’obbligo del medico di disapplicarle quando la specificità del caso renda necessario lo scostamento da esse;
c) se l’evento si è verificato per colpa (soltanto “grave”) da imperizia nell’ipotesi di errore rimproverabile nell’esecuzione, quando il medico, in detta fase, abbia comunque scelto e rispettato le linee-guida o, in mancanza, le buone pratiche che risultano adeguate o adattate al caso concreto, tenuto conto altresì del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell’atto medico.»

Senza voler trarre una conclusione affrettata dalla lettura delle poche righe succitate, le S.U. sembrerebbero riproporre l’attenzione sulla gradualità della colpa, discostandosi dalla ratio della legge Gelli che rifuggiva da queste distinzioni di “lana caprina” che pare torneranno ad affacciarsi prepotentemente nelle aule di giustizia.

[1] Si noti subito, sul piano prettamente sistematico, che la novella colloca la nuova responsabilità penale del medico nell’alveo del codice penale e non in una legge speciale.

[2] G. IADECOLA, Qualche riflessione sulla nuova disciplina della colpa medica per imperizia nella legge 8 marzo 2017 n. 24 (legge c.d. Gelli-Bianco), 2017, in DPC.

[3] Secondo R. LUCEV, al verificarsi delle condizioni descritte dall’art. 590 sexies, comma 2, c.p. pare essere l’elemento soggettivo del reato quello che viene meno, e non la punibilità, cosi da configurare la causa di esclusione della punibilità medica come scusante legale da affiancare a quelle già presenti agli artt. 45 e 46 c.p.

[4] Cfr. A. BUZZONI, A., Responsabilità medica e sanitaria: la riforma Gelli, Edizioni FAG, Milano, 2017, 50.

[5] In questo senso si veda F. D’ALESSANDRO, La responsabilità penale del sanitario alla luce della riforma Gelli-Bianco, in Dir. pen. proc., 2017, 5, 575.

[6] Cass. Pen. Sez. IV, ud. 20 aprile 2017, dep. 07 maggio 2017, n. 28187, Tarabori, Rv. 270214 in CED.

[7] C. BRUSCO, Cassazione e responsabilità penale del medico. Tipicità e determinatezza nel nuovo art. 590 sexies, 2017, in DPC.

[8] P. PIRAS, La non punibilità dell’imperizia medica in executivis, 2017, in DPC. Se si vuole si può riassumere il principio con l’espressione latina imperitia in executivis non punitur.

[9] R. LUCEV, La responsabilità penale del medico dopo la legge Gelli – Bianco: riflessioni sull’art. 590 sexies c.p.,2017, 9, in Giurisprudenza Penale.

[10] F. BASILE, Un itinerario giurisprudenziale sulla responsabilità medica colposa tra art. 2236 c.c. e legge Balduzzi (aspettando la riforma della riforma), 2017, in DPC. Prima della legge Balduzzi il riferimento alla colpa grave segnava già il discrimen di liceità penale n relazione ad alcune fattispecie previste dalla legislazione penale complementare, come la bancarotta semplice ex art. 217 l. fall. o la contravvenzione riferita al consulente tecnico dall’art. 67 c.p.c.

[11] A. BUZZONI, op. cit., 51.

[12] M.L. MISSIAGGIA, La responsabilità sanitaria. Guida operativa alla riforma Gelli (L. 8 marzo 2017, n. 24), La Tribuna S.r.l., Piacenza, 2017, 23.

[13] Cass. Pen. S.U., ud. 21 dicembre 2017 (informazione provvisoria).

[14] Cass. Pen. SezIV, ud. 20 aprile 2017, dep. 07 maggio 2017, n. 28187, Tarabori, Rv. 270214 in CED.

[15] Cass. Pen. Sez. IV, ud. 19 ottobre 2017, dep. 31 ottobre 2017, n. 50078, Cavazza, Rv. 270985 in CED.

Piera Di Guida

Piera Di Guida nasce a Napoli nel 1994. Ha contribuito a fondare “Ius in itinere” e collabora sin dall’inizio con la redazione di articoli. Dopo la maturità scientifica si iscrive alla facoltà di giurisprudenza Federico II di Napoli e nel 2015 diviene socia ELSA Napoli (European Law Student Association). Ha partecipato alla redazione di un volume dal titolo "Cause di esclusione dell'antigiuridicità nella teoria del reato- fondamento politico criminale e inquadramento dogmatico", trattando nello specifico "Lo stato di necessità e il rifiuto di cure sanitarie" grazie ad un progetto ELSA con la collaborazione del prof. Giuseppe Amarelli ordinario della cattedra di diritto penale parte speciale presso l'università Federico II di Napoli. Seguita dallo stesso prof. Amarelli scrive la tesi in materia di colpa medica, ed approfondisce la tematica della responsabilità professionale in generale. Consegue nel 2017 il titolo di dottore magistrale in giurisprudenza con votazione 110/110. Nell’anno 2016 ha sostenuto uno stage di 3 mesi presso lo studio legale Troyer Bagliani & associati, con sede a Milano, affiancando quotidianamente professionisti del settore e imparando a lavorare in particolare su modelli di organizzazione e gestione ex d.lgs. n. 231/01 e white collar crimes. Attualmente collabora con lo Studio Legale Avv. Alfredo Guarino, sito in Napoli. Ha svolto con esito positivo il tirocinio ex art.73, comma 1 d.l. n.69/2013 presso la Corte d'Appello di Napoli, IV Sezione penale. Nell'ottobre 2020 consegue con votazione 399/450 l'abilitazione all'esercizio della professione forense. Dal 27 gennaio 2021 è iscritta all'Albo degli Avvocati presso il Tribunale di Napoli. Un forte spirito critico e grande senso della giustizia e del dovere la contraddistinguono nella vita e nel lavoro. Email: piera.diguida@iusinitinere.it

Lascia un commento