venerdì, Marzo 29, 2024
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Assegno di mantenimento a seguito della mancata dichiarazione dei redditi

La separazione personale è una situazione provvisoria che comporta una modificazione dei rapporti tra i coniugi e che può sfociare nella riconciliazione ovvero nel divorzio.

Il modello della separazione si basa su una mera constatazione dell’intollerabilità della convivenza e si articola nelle due forme della separazione consensuale o giudiziale[1] .

In questo secondo caso è possibile che il giudice, pronunciando la separazione, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, dichiari a quale dei due coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio[2].
Il giudice, inoltre, pronunciando la separazione, stabilisce, a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, il diritto di ricevere dall’altro quanto è necessario al suo mantenimento – qualora egli non abbia adeguati redditi propri[3] – con l’obiettivo di consentirgli la conservazione di un tenore di vita analogo a quello goduto precedentemente[4].

L’entità dell’assegno è determinata tenendo conto non solo dei redditi dell’obbligato ma anche di altre circostanze « non indicate specificatamente, né determinabili “a priori”, ma da individuarsi in tutti quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito ed idonei ad incidere sulle condizioni economiche delle parti, la cui valutazione, peraltro, non richiede necessariamente l’accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi ».

È questo l’indirizzo affermato da Cass., 11/07/2013, n. 17199 e Cass., 12/01/2017, n. 605 e confermato nel 2018 dalla Cass. Civ. Sez. VI, il 15/02/18, n.3709[5].

In particolare, la Cassazione nel 2018 arriva ad affermare che, ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento, il giudice di merito fa riferimento a presunzioni semplici[6], senza che ciò si concretizzi in un’indebita sostituzione dell’iniziativa d’ufficio a quella della parte cui fa carico l’onere della prova.

Nel caso di specie, in un giudizio di determinazione dell’assegno di mantenimento in sede di separazione personale del marito, Ottorino Lonardi, e  della moglie, Loredana Zardini, il giudice di primo grado, con sentenza n.2537/2015, aveva respinto la domanda della moglie di corresponsione di un assegno di mantenimento da porsi a carico del coniuge O. Lonardi.
Così, la parte soccombente propose appello e la Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n.2076/2016, riformava parzialmente il disposto del giudice di prime cure, disponendo l’assegno di mantenimento in 300,00 €. Avverso tale decisione, il marito ricorre in Cassazione, adducendo come primo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 156, comma 2, c.c. e dell’art. 116 c.p.c. (per non aver la Corte d’Appello in sede di determinazione dell’ammontare dell’assegno, tenuto conto della percezione da parte della moglie di redditi propri e per aver fondato la pronuncia esclusivamente sulla mancata produzione delle dichiarazioni dei redditi da parte del Lonardi); come secondo motivo, l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per la controversia, ossia gli elementi di prova documentale allegati agli atti.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e sostiene che la Corte d’Appello di Venezia ha effettuato un’adeguata comparazione dei redditi delle parti poiché ha accertato che la Zardini percepiva una somma di 1.000,00 € mensili inidonea ad assicurarle il mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e che la stessa possiede solo un terreno agricolo a dispetto del signor Lonardi che, nonostante avesse dichiarato di essere disoccupato e nullatenente, è di fatto proprietario di una casa di abitazione. Per di più egli aveva dichiarato di percepire redditi maggiori rispetto alla consistenza patrimoniale precedentemente dichiarata.

Dunque, la Corte d’Appello ha correttamente valorizzato la mancata produzione delle dichiarazioni dei redditi aggiornate, da parte dell’appellato.

Alla luce di questi fatti, il primo motivo di ricorso si trasforma in una domanda di rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un non consentito terzo grado di merito; il secondo motivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n.5 c.p.c., è ritenuto inammissibile giacché è deducibile come vizio della sentenza soltanto la totale omissione e non più l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione[7].

 

[1] BOCCHINI-QUADRI, Diritto privato, 2014, pag. 395 ss. . La separazione consensuale si fonda su un accordo dei coniugi circa l’intenzione di separarsi e di regolamentare i futuri rapporti reciproci e con i figli e produce effetti solo con l’omologazione giudiziale. La separazione giudiziale costituisce l’esito di una richiesta proveniente da ciascuno dei coniugi in seguito a circostanze che rendono intollerabile la prosecuzione della convivenza o che recano grave pregiudizio all’educazione della prole.

[2] Art. 151, comma 2, c.c. .

[3] Art. 156, comma 1, c.c. .

[4] Il criterio del tenore di vita goduto dai coniugi durante il vincolo matrimoniale al fine della determinazione del quantum dell’assegno è stato messo in discussione solo con riferimento al divorzio dalla sentenza della Cass., Sez. Un. n.11504/2017, permanendo quale parametro per la valutazione e per la determinazione del mantenimento da corrispondere al coniuge separato.

[5]http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20180215/snciv@s61@a2018@n03709@tO.clean.pdf

[6] Art. 2729, comma 1, c.c. : “Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice [c.p.c. 116], il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti”.

[7] Modifica introdotta ex art. 54, comma 1, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134. La ratio di tale scelta legislativa è da ricercarsi nell’esigenza di evitare quei ricorsi per cassazione basati su vizi motivazionali non necessitati dai precetti costituzionali, e, dunque, nell’esigenza di circoscrivere il vizio di motivazione ai soli casi di violazione di legge.

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