giovedì, Aprile 18, 2024
Criminal & Compliance

Abbandono di minori e omicidio colposo plurimo nel caso Concordia

Il reato di abbandono di persone minori o incapaci

Il reato di abbandono di minori è previsto all’articolo 591 del codice penale. Tale reato di sostanzia “nell’abbandono di una persona minore di anni 14, ovvero di una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa di provvedere a se stessa e della quale abbia la custodia o debba avere cura.” Per la configurabilità di tale delitto si ritiene necessaria la sussistenza di un rapporto tra l’agente e il soggetto passivo da cui scaturisca in capo al primo il dovere di assistenza. È stato sostenuto che nel caso del minore di 14 anni il rapporto può anche consistere semplicemente in una situazione di mero fatto, a seguito della quale il minore possa considerarsi nella sfera di sorveglianza del soggetto agente[1]. La fonte di tale rapporto può essere di qualsiasi tipo [2], “la norma dell’art. 591 cod. pen. tutela il valore etico-sociale della sicurezza della persona fisica contro determinate situazioni di pericolo. In questa prospettiva, nessun limite si pone nella individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di custodia e di assistenza che realizzano la protezione di quel bene e che si desumono dalle norme giuridiche di qualsivoglia natura, da convenzioni di natura pubblica o privata, da regolamenti o legittimi ordini di servizio, rivolti alla tutela della persona umana, in ogni condizione ed in ogni segmento del percorso che va dalla nascita alla morte”[3]

Bisogna precisare altresì che l’“incapacità” non va intesa in senso assoluto ma bisogna ritenere che il legislatore abbia voluto ricomprendere qualsiasi ipotesi in cui il soggetto venga a trovarsi in una situazione anche di mero fatto che gli renda impossibile, o estremamente difficile, uscire da una situazione pericolosa.

Nel noto caso Concordia, dall’esame dibattimentale emergeva chiaramente (con stessa ammissione dello Schettino) che nonostante fosse già stato dato l’ordine di abbandonare la nave, l’imputato non era rimasto in contatto con gli ufficiali impegnati nelle operazioni di ammaino delle lance di salvataggio, ravvisando in tale situazione una ammissione di colpa omissiva. L’imputato, in sede dibattimentale, ha ripetutamente preso le distanze dall’ordine impartito da altri ufficiali di spostarsi dal lato sinistro fino al lato dritto per lasciare la nave. Ed è proprio da ciò che il Collegio, deduce che una sua eventuale estraneità rispetto a quella decisione finirebbe coll’aggravare la responsabilità del comandante anziché escluderla o attenuarla, giacchè dimostrerebbe che l’imputato ometteva colposamente di occuparsi del destino delle persone rimaste bloccate a bordo. L’estraneità del comandante alle operazioni di soccorso permane anche successivamente quando, dallo scoglio della Gabbianara dava false informazioni al comandante della Capitaneria di Porto De Falco e disattendeva agli ordini dello stesso che gli intimava di risalire a bordo.

Da quanto detto sin ora già emerge che lo Schettino era a conoscenza della presenza di altre persone a bordo, ma la sentenza si sofferma minuziosamente sulla questione concludendo che sicuramente l’imputato non aveva la certezza dell’assenza di altre persone a bordo, requisito indispensabile per l’esclusione della configurazione del dolo nella forma del dolo eventuale; la sentenza del Tribunale di Grosseto ha infatti richiamato, nell’affermare la possibilità di concretizzazione del dolo eventuale in relazione ai presupposti del reato, un precedente orientamento della Cassazione in relazione al reato di ricettazione: “se si ritiene che il dolo sia costituito dalla rappresentazione e volizione del fatto antigiuridico o anche, nel caso di dubbio, dalla sua accettazione, alla quale si collega secondo la giurisprudenza il dolo eventuale, non c’è ragione di distinguere il caso in cui il dubbio cade sulla verificazione dell’evento, che viene accettato, da quello in cui cade su un presupposto. In un caso e nell’altro l’agente si rappresenta la possibilità di commettere un delitto e ne accetta la realizzazione: egli non si astiene dal tenere una condotta ben sapendo che può dar luogo a un illecito, anche se questo non viene direttamente voluto.”[4].

 

L’omicidio colposo plurimo nel caso Concordia

Nella sentenza relativa al caso Concordia le condotte contestate in relazione al delitto di omicidio sono divise in due parti principali: nella prima parte viene contestata l’azzardata manovra di accostata all’isola del giglio, nella seconda parte l’imperita gestione dell’emergenza.

Le condotte contestate in relazione all’accostata sono le stesse contestate in relazione al delitto di naufragio , mentre invece le condotte successive sono principalmente di tipo omissivo, per questo motivo alla ricostruzione degli eventi è stata affiancata una analisi dei comportamenti doverosi per verificare se, attenendosi a tali norme comportamentali, i trentadue decessi si sarebbero verificati oppure no.

Il collegio ha ritenuto di vitale importanza stabilire il tempo necessario per le attività di raccolta dei passeggeri e di approntamento dei mezzi di salvataggio, e non essendo ciò desumibile dalla normativa “solas”, dalla quale si evince solo che “tutti i mezzi collettivi di salvataggio richiesti per l’effettuazione dell’abbandono nave da parte di tutte le persone a bordo devono essere idonei ad essere messi a mare, al completo di dotazioni e persone, entro trenta minuti da quando viene dato il segnale di abbandono nave”[5],ha esaminato vari periti, concludendo che il tempo necessario per concludere le operazioni di raccolta dei passeggeri è di circa trenta minuti.

I legali dell’imputato hanno anche contestato la regola solas sopra riportata in quanto era impossibile abbandonare la nave in trenta minuti, ma l’obbiezione non è stata accolta dal Tribunale per un duplice ordine di ragioni: in primo luogo lo stesso Schettino nelle esercitazioni di sbarco non aveva mai contestato la possibilità di abbandono in trenta minuti, e in secondo luogo se la notte tra il 12 e 13 gennaio non è stato possibile abbandonare la nave in trenta minuti è proprio perché il segnale è stato dato in ritardo, con la nave già inclinata.

Dopo i vari approfondimenti relativi agli eventi, il Tribunale si è soffermato sull’accertamento controfattuale, concludendo che “nonostante la gravità del danneggiamento riportato dalla nave a seguito dell’impatto con il basso fondale scoglioso (causato principalmente dalla condotta del Comandante in cooperazione colposa con altri soggetti giudicati separatamente), i trentadue decessi delle persone a bordo della Concordia non si sarebbero verificati se l’imputato avesse gestito l’emergenza con perizia e diligenza, attenendosi alla condotta che la normativa specifica, la SOLAS, le Procedure aziendali e il Ruolo di appello indicavano come doverosa nella situazione concreta in cui lo stesso si trovava ad operare. Risulta dunque dimostrato che la responsabilità dell’imputato in ordine al reato di omicidio colposo plurimo discende sia dalla condotta (principalmente commissiva) posta in essere, in cooperazione colposa con altri soggetti giudicati separatamente, nella fase precedente all’impatto, sia dalla condotta (principalmente omissiva) tenuta nel corso della gestione dell’emergenza.”[6]

Dopo aver affrontato il profilo della tipicità del reato evidenziando le condotte contestate, l’evento dannoso, il nesso di causalità, e la colpevolezza dell’imputato, la sentenza si è soffermata sulla possibilità di configurazione delle aggravanti di colpa cosciente (art 61 n. 3 c.p.) e quella prevista dall’art 589 comma 2 c.p. Nel primo caso, i giudici, non hanno ritenuto sussistente nemmeno l’aggravante della colpa cosciente, in quanto l’imputato subito dopo l’impatto cadde in una fase di “fuga dalla realtà” che non gli ha permesso di realizzarsi la gravità della situazione; lo Schettino non dava prontamente l’allarme non perché si rappresentava l’evento morte ma era convinto di poterlo evitare, ma semplicemente perché a causa di profonda negligenza non si rendeva conto della possibile morte di alcuni passeggeri. È stata invece ritenuta sussistente l’aggravante relativa alla violazione di norme antinfortunistiche.

Le stesse valutazioni relative alle condotte contestate e al profilo di colpevolezza sono state fatte anche in relazione al reato di lesioni colpose plurime.

[1]Cass. Pen. Sez V, sentenza n. 6885 del 9 aprile 1999

[2]Tibunale di Grosseto, sentenza n. 115 del 2015

[3]Cass. Pen. Sez. 5, sentenza n. 290 del 30 novembre 1993

[4]Cass. Pen., Sez. Unite, sentenza n. 12433 del 2010

[5]Regola III/21. 1 .4 della SOLAS, convenzione internazionale per la salvaguardia delle vita in mare.

[6]Tribuanale di Grosseto, sentenza n. 115 del 2015

Fonte immagine: http://www.robindesbois.org/en/du-titanic-au-costa-concordia/

Davide Carannante

Davide Carannante, 23 anni, laureato in giurisprudenza alla Federico II di Napoli con una tesi in diritto penale dal titolo "omissioni e colpe nel diritto penale marittimo".

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