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Abusi di mercato: riflessioni sul principio del ne bis in idem nella dimensione convenzionale, comunitaria e interna

Il 6 giugno 2019 la Quinta Sezione della Corte EDU ha condannato la Francia per la violazione del divieto di bis in idem di cui all’art. 4 del Protocollo 7 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

E’ opportuna una breve premessa in punto di fatto. Nel caso di specie, il ricorrente era stato sottoposto dapprima a un procedimento sanzionatorio in materia di abusi di mercato da parte dell’Autrité des marchés financiers (AMF), conclusosi con l’irrogazione di una sanzione pecuniaria di 250.000 €, successivamente, a un processo penale per manipulation de cours (manipolazione di mercato), cui seguì la pronuncia di una pena detentiva di tre mesi.

Nel merito, la Quinta Sezione ha evidenziato che i meccanismi nazionali caratterizzati da un duplice binario sanzionatorio penale e amministrativo non sono di per sé contrari alla Convenzione, qualora, come già affermato nella sentenza A. e B. c. Norvegia[1], lo Stato garantisca la sussistenza di un lien matériel e temporel suffisamment étroit tra i procedimenti.

I criteri per individuare tale stretto legame materiale e temporale sono cumulativi e i giudici di Strasburgo operano un attento vaglio su ognuno di essi. In particolare, è necessario che i procedimenti abbiano finalità complementari e riguardino, in concreto, aspetti diversi del medesimo fatto illecito. Il doppio procedimento deve poi essere prevedibile al momento della commissione dei fatti e la duplicazione della raccolta degli elementi di prova deve essere evitata tramite la cooperazione tra le autorità. Inoltre, la sanzione complessiva finale non deve essere sproporzionata rispetto alla gravità dei fatti.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che si trattasse di un caso di bis in idem, poiché la sanzione amministrativa dell’AMF aveva natura penale. Inoltre, il procedimento penale e quello amministrativo, entrambi prevedibili al momento dei fatti, riguardavano fatti identici nella loro dimensione storico-fattuale[2].

Un elemento rilevante nel giudizio della Corte riguarda i fini perseguiti dai procedimenti dell’AMF e delle giurisdizioni penali. I giudici di Strasburgo hanno ritenuto che essi non coprissero né in astratto né in concreto aspetti differenti del fatto illecito[3]. Al riguardo, si può ricordare che, nella sentenza A. e B., in riferimento a una distinzione effettuata nel caso Jussila c. Finlandia in tema di diritto all’equo processo di cui all’art. 6 CEDU, la Corte EDU ha rilevato che il rischio di assenza di complementarietà degli obiettivi è meno elevato qualora il procedimento amministrativo riguardi illeciti estranei al “nucleo duro” dei reati coperti dal diritto penale, non associati ad un significativo stigma sociale. La violazione del principio di ne bis in idem è invece più facilmente ravvisabile se il procedimento amministrativo assume in concreto conseguenze stigmatizzanti, tipiche delle sanzioni penali[4].

Nel caso Nodet, la Corte EDU ha rilevato che, proprio rispetto a tale criterio della complementarietà dei fini perseguiti dalle sanzioni, già nel 2015, il Conseil Constitutionnel francese aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del delitto di abuso di informazioni privilegiate, in quanto il délit d’initié e il manquement d’initié presentavano la medesima natura, riguardavano i medesimi comportamenti e tendevano a reprimere i medesimi fatti e a proteggere gli stessi interessi sociali, tramite sanzioni che non avevano natura diversa[5].

Infine, la Quinta Sezione ha ravvisato una ripetizione della raccolta degli elementi di prova da parte delle autorità procedenti[6]. Esse avrebbero dovuto coordinare le loro attività investigative, senza duplicare le indagini per l’accertamento dell’illecito.

Tutto ciò considerato, i giudici di Strasburgo non hanno ritenuto soddisfatto il requisito del legame materiale.

La Corte non ha poi ravvisato la sussistenza di un nesso temporale sufficientemente stretto, poiché, una volta terminata la procedura dell’AMF, nel novembre 2009, il procedimento penale si era protratto per più di quattro anni e due mesi, ovvero fino al 22 gennaio 2014[7].

La dottrina ha evidenziato possibili riflessi di tale decisione nell’ordinamento italiano, avendo la Corte EDU confermato, con questa pronuncia,  la natura sostanziale al divieto del bis in idem[8].

In particolare, si ravvisano possibili profili di incompatibilità convenzionale del sistema interno relativo agli abusi di mercato. Infatti, la giurisprudenza italiana, costituzionale e di legittimità[9], tende a ridimensionare la portata del principio di cui all’art. 4 Prot. 7 CEDU, quale garanzia della sola proporzionalità complessiva delle sanzioni irrogate in sede penale e amministrativa[10]. Ciò anche in virtù dell’art. 187-terdecies Tuf, che stabilisce che l’autorità giudiziaria o la CONSOB tengono conto, al momento dell’irrogazione delle sanzioni di propria competenza, delle pene già irrogate.

Si è poi osservato che tale approccio interpretativo in tema di abusi di mercato sembra coerente con la giurisprudenza della Corte di Giustizia[11], che attribuisce rilevanza alla proporzione della pena per valutare il rispetto dell’art. 50 della Carta di Nizza.

In seguito alla pronuncia Nodet, tuttavia, la dottrina ha sottolineato come il criterio della proporzione della complessiva risposta sanzionatoria non sia il solo dirimente, dal momento che i giudici di Strasburgo valorizzano anche il nesso temporale tra i procedimenti e gli altri elementi indicativi del nesso materiale, come la complementarietà degli scopi perseguiti e il coordinamento tra le attività delle autorità procedenti [12].

L’insufficienza del criterio della proporzionalità della pena sembra infatti trovare conferma nella recente pronuncia Armannsson c. Islanda, in materia tributaria, in cui l’Islanda è stata condannata per violazione del divieto di bis in idem[13]. In quell’occasione, la Corte ha rilevato l’assenza di una sufficiente connessione temporale. I procedimenti, la cui durata complessiva era di quattro anni e dieci mesi, furono condotti in parallelo solo tra marzo e agosto 2012 e quello penale terminò un anno e cinque mesi dopo quello amministrativo. Inoltre, mancò un coordinamento nell’acquisizione del materiale probatorio da parte delle autorità giudiziarie che condussero un’indagine autonoma, nonostante potessero aver accesso alle prove acquisite in sede amministrativa.

In ambito interno, rispetto al requisito del coordinamento tra le autorità, occorre ricordare che l’art.187-decies Tuf prevede che la CONSOB trasmetta al pubblico ministero la documentazione raccolta nello svolgimento dell’attività di accertamento, nel caso in cui emergano elementi che facciano presumere l’esistenza di un reato. Inoltre, la CONSOB e l’autorità giudiziaria collaborano tra loro, anche mediante scambio di informazioni, al fine di agevolare l’accertamento delle violazioni.

Più problematico pare il criterio di connessione temporale tra i procedimenti, data la tendenziale maggior durata del processo penale rispetto all’accertamento amministrativo. Nella sentenza A. e B., la Corte non richiede che i procedimenti vengano condotti in parallelo. Tuttavia, più il nesso cronologico è tenue, più lo Stato dovrà giustificare le lungaggini procedurali, che possono essere causa in incertezza per la persona oggetto dei procedimenti e quindi censurabili da parte della Corte EDU[14].

 

[1] Corte EDU, A. e B. c. Norvegia, c-24130/11 e 29758/11, 15 novembre 2016. Francesco Viganò, La Grande Camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio, Dirittopenalecontemporaneo, 18 novembre 2016.

[2] Nel caso Zolotukhin c. Russia, la Corte EDU ha chiarito che per verificare la sussistenza dell’idem factum è necessario far riferimento al fatto materiale e non alla descrizione contenuta nelle fattispecie giuridiche astratte.

[3]Corte EDU, Nodet c. Francia, c-47342/14, 6 giugno 2019, §48.

[4] A. e B. c. Norvegia, cit., § 133.

[5] Nodet c. Francia, cit., § 48.

[6] Nodet c. Francia, cit., § 49.

[7] Nodet c. Francia, cit., §§ 51-53.

[8] Marco Scoletta, Il ne bis in idem “preso sul serio”: la Corte Edu sulla illegittimità del doppio binario francese in materia di abusi di mercato (e i possibili riflessi nell’ordinamento italiano), Dirittopenalecontemporaneo, 17 giugno 2019.

[9] Corte cost. 43/2018; Cass. n. 45829/2018.

[10] Marco Scoletta, op. cit.

[11] CGUE, Di Puma, cc-596/2016 e 597/2016, 20 marzo 2018. Marco Scoletta, op. cit.

[12] Marco Scoletta, op. cit. Alessandra Galluccio, Non solo proporzione della pena: la Corte Edu ancora sul bis in idem, Dirittopenalecontemporaneo, 7 maggio 2019.

[13] Corte EDU, Bjarni Armannsson c. Islanda, 16 aprile 2019. Alessandra Galluccio, op. cit.

[14] A. e B. c. Norvegia, cit., § 134.

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