martedì, Marzo 19, 2024
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Abuso di posizione dominante: Google vs Commissione

Nel trattato sul funzionamento dell’Unione europea, si riscontrano diverse norme atte a salvaguardare la leale concorrenza, evitando che le imprese possano accordarsi o attuare strategie idonee a falsarne il corretto svolgimento.

Le condotte che si ritengono lesive della concorrenza, possono così essere elencate:

  1. Le intese illecite
  2. Abuso di posizione dominante
  3.  Le concentrazioni[1]

trovando esatta disciplina nell’articolo 101, 102 e 103 del TFUE; in particolare l’articolo 101 TFUE recita :

Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno

La ratiodella norma è chiaramente quella di individuare i molteplici comportamenti che deviano la concorrenza; per cui se due o più imprese dovessero accordarsi al fine di attuare una determinato disegno strategico a svantaggio degli altri concorrenti, questo comportamento rientrerebbe nel divieto di cui all’articolo 101 TFUE e quindi da ritenersi assolutamente dannoso e illegittimo.

Così posto l’articolo suddetto, potrebbe far presumere una interpretazione eccessivamente restrittiva, non permettendo alle imprese di poter operare nel mercato economico liberamente. Motivo per cui il medesimo articolo,  prevede una c.d. “clausola di salvezza”, in particolare il paragrafo 3 individua tutte quelle condotte che  non rientrano nel divieto di cui sopra e che contrariamente risultano utili al progresso tecnico o economico.

Non meno importante è un ulteriore tipologia di abuso idonea a falsare la concorrenza, quest’ultima disciplinata dall’articolo 102 TFUE:

È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo.

Si precisa che la condotta lesiva o meglio abusiva, può verificarsi unicamente quando l’impresa detiene nel mercato rilevante una posizione di dominanza rispetto le altre imprese. In tal senso per  accertare lo statusdetenuto dall’impresa , sono stati individuati una serie di indici, rintracciabili in primis nella sentenza United Brands[2] e successivamente da alcuni orientamenti della Commissione. I fattori da considerare sono:

  • La posizione di mercato nell’impresa
  • La presenza di barriere all’ingresso
  • Potere contrattuale dell’acquirente.[3]

Si precisa che la Commissione rappresenta l’istituzione competente nel settore della concorrenza, dovendo accertare il corretto svolgimento.

A tal proposito, giova sicuramente ricordare la gravosa sanzione irrogata dalla Commissione al noto colosso Google, per denuncia di abuso di posizione dominante, reputata tra le più ingenti mai emesse (la cifra si aggira intorno ai 2 miliardi di Euro).

  • Le indagini

Le indagini contro Google iniziano nel 2008 sotto la guida di Margrethe Vestager, che fermamente convinta del rispetto della leale concorrenza, avvia una serie di controlli idonei ad accertarne la regolarità della concorrenza.

Nel 2004 Google si inserisce nel mercato dei servizi di acquisti comparativi, con il motore di ricerca noto con il nome di “Froogle”, mutato poi nel 2013 e conosciuto come “Google Shopping”.
Nei primi anni dell’operato di Froogle, quest’ultimo si ritrovò a competere con altri siti che offrivano il medesimo servizio, tuttavia nell’analizzare i profitti di Froogle e successivamente di Google Shopping non si raggiunsero i risultati sperati, a differenza degli avversari che riuscivano ad ottenere maggiori introiti.

Google decide quindi di mutare il modus agendi, sfruttando la sua posizione di dominanza come motore di ricerca cercando di esaltare il proprio servizio di shopping online.

La strategia attuata dal colosso consisteva nello sponsorizzare i propri siti online di shopping, comparendo difatti tra i primi risultati nel motore di ricerca, “dirottando” i consumatori ad acquistare dai propri siti, danneggiando, palesemente gli altri concorrenti.(Fig. 1)

Le statistiche mostrano che i soggetti che effettuano ricerche su internet saranno indotti a “cliccare” nel primo risultato ottenuto, piuttosto che accedere ai siti più remoti.
In tal senso la condotta posta in essere da Google risulta molto fruttuosa aumentando difatti i profitti del grande colosso.

Se da un lato la tecnica risulta più ingegnosa, non può negarsi che la condotta attuata lede le norme antitrust della concorrenza.

La violazione imputata alla Google riguarda quindi, l’abuso di posizione dominante sul mercato del motore di ricerca, che abbia comportato un’alterazione della concorrenza a discapito degli altri siti online.

A seguito delle indagini effettuate congiuntamente alle prove raccolte quali: diversi documenti che indicavano dati finanziari, fatturato ed esperimenti utili per valutare la condotta di google; la Commissione annuncia la sanzione di due miliardi di euro, invitando la Google a cessare il proprio comportamento nel termine di 90 giorni.
Considerata la gravosità della multa, non tarda ad arrivare la risposta dei legali del “gigante Google”  che negano espressamente le accuse rivolte, ed impugnano la sanzione della Commissione dinanzi ai giudici della Corte di Giustizia dell’UE, di contro la Commissione ha asserito che continuerà ad indagare circa le altre attività sospette poste in essere da Google, ribadendo che qualsiasi condotta lesiva della concorrenza sarà severamente punita.

Non è la prima volta che Google si ritrova nel “mirino”, difatti già nel 2016 la Commissione aveva accusato Google di abusare della propria posizione dominate “imponendo restrizioni ai fabbricanti di dispositivi Android e agli operatori di reti mobili” [4]. La questione sembrava richiamare, per alcune somiglianze  l’emblematico caso Microsoft.[5]

Si comprende che il complesso sistema di norme antitrust hanno la principale funzione di evitare abusi da parte di imprese e contemporaneamente di assicurare  il rispetto della leale concorrenza.

[1] Per un miglior approfondimento si veda http://www.treccani.it/enciclopedia/concentrazioni-dir-comm_%28Diritto-on-line%29/

[2] A tal proposito si veda la Sentenza della Corte del 14 febbraio 1978, United Brands Company e United Brands Continentaal BV contro Commissione delle Comunità europee, disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A61976CJ0027

[3] B. Cortese, F. Ferraro, P. Manzini, Il diritto antitrust dell’Unione europea, Giappichelli, Torino, 2014

[4] Commissione Europea – Comunicato stampa, “Antitrust: Inviata a Google una comunicazione degli addebiti su sistema operativo e applicazioni Android“, Bruxelles, 20 aprile 2016, disponibile qui: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-16-1492_it.htm

[5] Il processo con protagonista Microsoft ha creato un vero e proprio precedente, dovuto sia alle travagliate vicende processuali, sia  all’entità della multa inflitta dalla Commissione. Le indagini iniziate nel 1998, si concludono con l’accusa per Microsoft per aver violato le norme antitrust. Ugualmente al caso Google, la Microsoft è colpevole di aver abusato della propria posizione dominante in particolare per aver violato gli obblighi di cui all’articolo 82 CE, constandole una multa di circa 497 milioni di Euro considerata tra le più elevate mai emesse dalla Commissione, prima della sanzione di due miliardi a Google. Il caso in questione rappresenta sicuramente un episodio significativo, ma non è isolato. Anche altri “colossi” sono stati ritenuti colpevoli di aver attuato delle strategie tali da alterare la leale concorrenza, a tal proposito può menzionarsi l’accusa rivolta ad Amazon per abuso di posizione dominante o a Facebook per molteplici condotte scorrette. Per un approfondimento Causa T‑201/04- Microsoft Corp. Contro Commissione delle Comunità europee, disponibile qui: http://curia.europa.eu/juris/liste.jsf?language=it&num=t-201/04

Tayla Jolanda Mirò D'Aniello

Tayla Jolanda Mirò D'aniello nata ad Aversa il 4/12/1993. Attualmente iscritta al V anno della facoltà di Giurisprudenza, presso la Federico II di Napoli. Durante il suo percorso univeristario ha maturato un forte interesse per le materie penalistiche, motivo per cui ha deciso di concludere la sua carriera con una tesi di procedura penale, seguita dalla prof. Maffeo Vania. Da sempre amante del sistema americano, decide di orientarsi nello studio del diritto processuale comparato, analizzando e confrontando i diversi sistemi in vigore. Nel privato lavora in uno studio legale associato occupandosi di piccole mansioni ed è inoltre socia di ELSA "the european law students association" una nota associazione composta da giovani giuristi. Frequenta un corso di lingua inlgese per perfezionarne la padronanza. Conseguita la laurea, intende effettuare un master sui temi dell'anticorruzione e dell'antimafia.

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