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«Abuso di posizione dominante»: il Consiglio di Stato si rivolge alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea

La Sesta Sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 4646 del 20 luglio 2020[1] si è occupata della questione, piuttosto controversa e dibattuta in dottrina, della nozione di «abuso di posizione dominante». Il Collegio, ai sensi dell’art. 267 TFUE, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’UE cinque quesiti interpretativi concernenti la corretta identificazione delle condotte che si sostanziano in abusi di posizione dominante.

I fatti all’origine dell’ordinanza di rimessione

L’ordinanza di rimessione trae origine dal ricorso in appello proposto dalle società Enel S.p.a. (Enel), Servizio Elettrico Nazionale S.p.a. (SEN) e Enel Energia S.p.a. (EE) avverso tre sentenze del TAR Lazio con cui, pur prevedendo un ricalcolo della sanzione, nei fatti avevano confermato la legittimità del provvedimento sanzionatorio emesso dall’AGCM con cui le tre società del gruppo Enel, in solido tra loro, erano state condannate ad una sanzione piuttosto ingente.

Detto provvedimento sanzionatorio era stato emesso a seguito dell’accertamento da parte di AGCM che SEN e EE, con il coordinamento della capogruppo Enel, avevano posto in essere un abuso di posizione dominante in violazione dell’art. 102 TFUE.

Nozione preliminare: l’«abuso di posizione dominante»

L’articolo 102 del TFUE vieta, «nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo».

L’art. 3 della Legge n. 287 del 1990 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato) ricalca il contenuto della norma comunitaria, stabilendo che «è vietato l’abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante […]».

Occorre sottolineare che tali disposizioni non sanzionano la posizione dominante in quanto tale, ma il suo abuso. In via preliminare appare utile un riferimento all’art. 1 Legge n. 287/1990 il quale dispone l’interpretazione in senso comunitario delle disposizioni antitrust; pertanto, le nozioni di «posizione dominante» e di «abuso» non potranno prescindere, sul piano della normativa interna, dalla individuazione delle medesime nozioni da parte del legislatore e della giurisprudenza UE. L’art. 1 è stato conseguentemente interpretato quale vincolo di continuità del diritto antitrust nazionale rispetto alle scelte del diritto dell’Unione vigente[2].

Proprio la giurisprudenza europea e le comunicazioni della Commissione hanno più volte sottolineato che non è di per sé illegale che un’impresa sia in posizione dominante e che tale impresa dominante ha il diritto (e il dovere) di competere sulla base dei propri meriti. Il divieto concorrenziale trova invece fondamento nella «speciale responsabilità» delle imprese private dotate di un forte potere economico di mercato di non permettere che il suo comportamento ostacoli una concorrenza realmente competitiva e priva di distorsioni nel mercato comune.

L’illecito dell’abuso di posizione dominante appare integrato da tre elementi di fattispecie: la posizione dominante (individuale o collettiva), lo sfruttamento abusivo della stessa, nonché l’assenza di giustificazioni obiettive preminenti sugli effetti restrittivi della concorrenza.

Per quanto riguarda il primo elemento di fattispecie, la definizione di posizione dominante, così come elaborata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia a partire dalla nota pronuncia «Hoffmann-La Roche», è quella di «situazione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato di cui trattasi ed ha la possibilità di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti e, in ultima analisi, dei consumatori»[3].

Più problematica è apparsa invece la definizione di «abuso di posizione dominante» poiché l’art. 102 del TFUE, pur contenendo l’esemplificazione di alcune delle principali pratiche abusive (frutto per lo più della stratificata elaborazione giurisprudenziale), non ne esaurisce la casistica, cosicché l’incertezza definitoria emerge in tutta la sua complessità in presenza di abusi “atipici”, rispetto ai quali la disposizione non offre parametri di definizione esauriente.

Ecco dunque che è apparso opportuno ai Giudici della Sesta Sezione del Consiglio di Stato rivolgersi alla Corte di Giustizia dell’UE per la risoluzioni di alcuni nodi interpretativi problematici.

Le 5 questioni rimesse alla Corte di Giustizia dell’UE e i risvolti applicativi

1) La prima questione rimessa alla CGUE dai Giudici del Consiglio di Stato riguarda la nozione stessa di «sfruttamento abusivo».

Si fronteggiano sulla questione due chiavi interpretative.

a) Secondo una prima impostazione le condotte che sostanziano lo sfruttamento abusivo di per sé possono essere lecite e assumono la qualificazione di “abusive” unicamente in ragione dell’effetto potenzialmente restrittivo ingenerato nel mercato di riferimento.

Questa opzione ermeneutica, che ben si può accostare alla categoria dell’abuso del diritto, implicherebbe che, al fine di configurare l’abuso di posizione dominante, sia sufficiente il mero discostamento rispetto al comportamento normalmente tenuto dai soggetti sottoposti a pressione concorrenziale.

b) Una seconda chiave interpretativa, che avvicina invece l’abuso di posizione dominante al concetto di concorrenza sleale, ritiene che le condotte, affinché si sostanzino in sfruttamento abusivo, debbano essere necessariamente contrassegnate anche da una specifica componente di antigiuridicità oggettiva, costituita dal ricorso a «metodi (o mezzi) concorrenziali diversi» da quelli «normali»[4]. Qualora fosse accolta questa chiave interpretativa occorrerebbe inoltre una specificazione dei criteri sulla cui base si possa stabilire il confine tra la concorrenza «normale» e quella «falsata».

2) La seconda questione rimessa alla Corte di Giustizia dell’UE riguarda il bene giuridico protetto e dunque l’effetto economico censurato dal divieto di sfruttamento abusivo.

a) A tal proposito una prima impostazione ermeneutica ritiene che la nozione di abuso abbia la funzione di massimizzare il benessere totale e, in particolare, quello dei consumatori[5].

La ricaduta applicativa è che il giudice sarebbe dunque chiamato a misurare l’avvenuta (o il pericolo di) diminuzione di tale benessere in conseguenza del comportamento illecito, comparando il benessere ex ante ed ex post.

b) Una seconda chiave interpretativa assegna all’illecito concorrenziale soltanto il compito di preservare la struttura concorrenziale del mercato, indipendentemente dal danno cagionato al consumatore[6].

Se si accogliesse questa impostazione il giudice dovrebbe astenersi dall’accertare se il comportamento dell’impresa dominante abbia causato un danno ai consumatori, limitandosi più semplicemente a verificare se il comportamento possa avere conseguenze sulla struttura, sulla varietà, la qualità o l’innovazione.

3) Alla base della terza questione rimessa alla CGUE c’è la premessa secondo cui costituisce abuso di posizione dominante qualsiasi comportamento consistente, non solo nell’impedire effettivamente, ma anche soltanto nel tentare di impedire che permanga il livello di concorrenza ancora esistente o il suo sviluppo. Ciò significa che l’atto idoneo a pregiudicare i concorrenti per un operatore in posizione dominante è di per sé sufficiente a permettere l’accertamento della violazione e l’applicazione dell’apparato sanzionatorio.

Il dubbio interpretativo riguarda la possibilità per l’impresa dominante di provare che, nonostante l’astratta idoneità dell’effetto restrittivo, la condotta è risultata priva di concreta offensività. Nel caso in cui tale possibilità fosse ammessa, in termini applicativi ci si trova di fronte ad ulteriore quesito: se, ai fini della valutazione in ordine alla sussistenza di un abuso escludente atipico, l’art. 102 TFUE deve essere interpretato nel senso di ritenere sussistente in capo all’Autorità antitrust l’obbligo di esaminare in maniera puntuale le analisi economiche prodotte dalla parte sulla concreta capacità della condotta oggetto di istruttoria di escludere dal mercato i propri concorrenti.

4) La quarta questione rimessa ai Giudici di Lussemburgo riguarda invece la valutazione del movente soggettivo dell’agente.

a) Una prima chiave interpretativa afferma che l’abuso di posizione dominante sia illecito rilevante esclusivamente sul terreno “oggettivo”, dunque sarebbe da valutarsi soltanto per i suoi effetti (anche solo potenziali) sul mercato, senza alcun riguardo al movente soggettivo dell’agente.

b) Una seconda interpretazione prevede che la prova dell’intento restrittivo costituisce un parametro utilizzabile (anche in via esclusiva) per valutare l’abusività del comportamento dell’impresa dominante.

c) Un’ulteriore chiave ermeneutica invece sostiene che la dimostrazione dell’elemento soggettivo vale soltanto a ribaltare l’onere della prova in capo all’impresa dominante (la quale sarebbe onerata, a questo punto, di fornire la prova che l’effetto escludente è mancato).

5) L’ultima questione interpretativa rimessa ai Giudici della Corte di Giustizia concerne l’ipotesi di posizione dominante riferita a una pluralità di imprese appartenenti al medesimo gruppo societario, tale ipotesi è alla base di due indirizzi interpretativi.

a) Secondo un primo indirizzo l’appartenenza al medesimo gruppo è sufficiente per presumere che anche le imprese che non hanno posto in essere la condotta abusiva abbiano concorso nell’illecito.

b) Un secondo indirizzo interpretativo invece ritiene che, al pari di quanto accade per il divieto di intese, occorre comunque fornire la prova, anche indiretta, di una situazione concreta di coordinamento e strumentalità tra le varie imprese del gruppo in posizione dominante, in particolare al fine di dimostrare il coinvolgimento della casa madre.

Rilevanza delle questioni sottoposte al vaglio della CGUE

Le questioni interpretative rimesse alla Corte di Lussemburgo appaiono di notevole importanza non solo per il caso in questione, ma soprattutto perché una corretta e univoca interpretazione della nozione di abuso di posizione dominante avrebbe dei risvolti anche sui contenziosi che si instaureranno in futuro. Tale importanza è determinata dalle diverse conseguenze in termini di applicazione pratica, dell’accoglimento dell’una piuttosto che dell’altra interpretazione: un esempio tra tutti, l’onere probatorio che incomberebbe sull’impresa dominante.

[1] Per il testo completo dell’ordinanza di rimessione v. www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/dcsnprr?p_p_id=GaSearch_INSTANCE_2NDgCF3zWBwk&p_p_state=normal&p_p_mode=view&_GaSearch_INSTANCE_2NDgCF3zWBwk_javax.portlet.action=searchProvvedimenti&p_auth=es9wYEXj&p_p_lifecycle=0.

[2] Cfr. Cardi E., Mercati e istituzioni in Italia. Diritto pubblico dell’economia, Giappichelli Editore, IV ed., 2018, p. 92.

[3] Cfr. ex multis, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 14 febbraio 1978, C – 27/76, United Brands.

[4] In tal senso ex plurimis: CGUE, 6 dicembre 2012 in C-457/10; 27 marzo 2012, in C-209/10.

[5] In tal senso v. Comunicazione 2009/C 45/02.

[6] In questo senso CGUE, 15 marzo 2007, causa C-95/04, “British Airways”; 6 ottobre 2009, C-501/06 P, C-513/06 P, C-515/06 P e C-519/06, in “GlaxoSmithKline”; 2 aprile 2009, causa C-202/07, “France Télécom”.

Cristina Piccolo

Cristina Piccolo nasce a Foggia il 20 giugno 1994.  Nel 2018 si laurea in Giurisprudenza presso l'Università Lumsa di Roma con una tesi in diritto costituzionale dal titolo "Tutela giurisdizionale alla libera manifestazione del pensiero ai sensi dell’articolo 21 della Costituzione” con la votazione di 110/110 e lode.  Da ottobre 2018 svolge il tirocinio formativo ex art. 73 D.L. 69/2013 presso la Terza Sezione del Consiglio di Stato. Da questa esperienza ha sviluppato l'interesse per il diritto amministrativo.  Ha inoltre svolto la pratica forense presso il Coordinamento Regionale INPS Lazio. 

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