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Accordi Italia – Libia: il rinnovo del memorandum

Lo scorso 2 novembre 2019 si è rinnovato automaticamente il Memorandum of understanding (MoU), siglato il 2 febbraio 2017 dall’allora Premier italiano Paolo Gentiloni e dal Primo ministro libico Fayez Al-Sarraj[1]. L’accordo con la Libia, di durata triennale, interviene in tre fondamentali settori: (i) cooperazione nel campo dello sviluppo; (ii) contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani e al contrabbando; (iii) rafforzamento della sicurezza alle frontiere.

I rapporti bilaterali tra Italia e Libia, però, sono ben più risalenti. Un primo abbozzo di accordo, siglato nel 1998 (il c.d. Comunicato Congiunto Dini-Mountasser[2]) durante il primo governo Prodi, prevedeva finanziamenti per la realizzazione di progetti in Libia da parte di società italiane a capitale misto. L’intesa, non ratificata in Parlamento, mirava a riparare alle sofferenze provocate al popolo libico in seguito al colonialismo italiano: istituiva, infatti, corsi di formazione per unità speciali finalizzate alla rimozione delle mine, installate durante tale periodo in Libia, finanziando al contempo la costruzione di un ospedale specializzato per le persone danneggiate dalle mine.

Nonostante il comunicato congiunto, così come i successivi accordi del 2000 e 2002[3], fossero sbilanciati verso un impegno perlopiù italiano, Mu’ammar Gheddafi, alla guida dello Stato libico, manifestò l’esigenza di un vero “grande gesto” da parte dell’Italia per riparare alle offese.

Solo con il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione, sottoscritto il 30 agosto 2008 tra la Repubblica italiana e la Giamahiriya libica (c.d. “Trattato di Bengasi”), si ritenne sancita formalmente la fine delle ostilità intercorse tra i due paesi negli anni successivi al colonialismo. La chiusura del “doloroso capitolo del passato” – così si legge nel preambolo – è però costata (e costa tuttora) all’Italia 5 miliardi di dollari, erogati per lo sviluppo di infrastrutture libiche, più di 203 milioni di euro indirizzati a “iniziative speciali” (costruzione di unità abitative, borse di studio, cure mediche e spese previdenziali, ai sensi dell’art. 10 del trattato), e 150 milioni di euro  come “ulteriore indennizzo ai soggetti titolari di beni, diritti e interessi sottoposti in Libia a misure limitative”, da erogarsi fino al 2029[4]. Il Trattato sostituiva integralmente i precedenti accordi del 1998 e 2002 e, dopo aver ampiamente ribadito il fondamentale rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani, stabiliva le regole per il nuovo partenariato tra i due paesi, instaurando una collaborazione stretta con le autorità libiche. In tema di contrasto all’immigrazione clandestina, però, il trattato si limitava al richiamo dei precedenti accordi e protocolli[5], contestualmente affidando a società italiane il controllo delle frontiere terrestri libiche, finanziato per metà dal Governo italiano e per metà dall’Unione Europea.

Ben più esaustiva in materia era invece la disciplina improntata dai successivi accordi bilaterali del 2012, tra cui la c.d. Dichiarazione di Tripoli del 21 gennaio 2012 e l’intesa derivante dalla riunione tra gli allora ministri dell’Interno italiani e libici, Annamaria Cancellieri e Fawzi Altaher Abdulali, tenutasi il 3 aprile dello stesso anno. L’accordo rafforzava la collaborazione tra Italia e Libia, intervenendo su 4 fronti principali:

1) la formazione e l’addestramento delle forze di sicurezza e del personale della polizia di frontiera (marittima e terrestre) tramite l’invio di esperti in materia;

2) la costruzione del centro sanitario di Kufra, al confine meridionale libico, destinato a fornire servizi sanitari di primo soccorso agli immigrati, nonché la richiesta alla Commissione Europea di ripristinare i centri di accoglienza presenti in Libia;

3) il rafforzamento del monitoraggio dei confini libici (già precedentemente avviato nell’ambito del progetto Sah-Med[6]), al fine di contrastare le partenze dei migranti, e la fornitura di mezzi tecnici ed attrezzature idonee all’attività di sorveglianza;

4) l’avvio di procedure che agevolassero il rientro volontario (ossia il ritorno in patria dietro il pagamento di un’indennità) degli immigrati irregolari e, di concerto con l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, il loro rimpatrio.

Una simile cooperazione interstatale ha però sollevato dubbi e critiche quanto al rispetto della normativa internazionale e dei diritti umani, pur richiamata dallo stesso punto III del processo verbale. Organizzazioni come Amnesty International hanno innanzitutto denunciato come il centro di Kufra non fosse da considerarsi un centro sanitario ma, più debitamente, un “centro di detenzione” non ufficiale, teatro di numerosi scontri armati e di maltrattamenti di ogni sorta[7]. Oggetto di dibattito sono state altresì le disposizioni favorevoli al rientro volontario e al rimpatrio. Nonostante l’Italia fosse da poco stata condannata dalla Corte di Strasburgo, nel caso Hirsi[8], per l’adozione di politiche di respingimento collettivo arbitrario, l’accordo non esitava ad incoraggiare tali pratiche, nonostante queste fossero in aperta violazione di diritti umani fondamentali quali il divieto di espulsioni collettive e il divieto di non respingimento – c.d. principio di non-refoulement.

Il memorandum del 2017

Il 2 febbraio 2017 Paolo Gentiloni, allora Presidente del Consiglio, e Fayez Al-Sarraj, a capo del Governo di Unità Nazionale (GNA) libico, hanno confermato gli impegni (in particolare, quelli finanziari) precedentemente assunti con il Trattato di Bengasi del 2008 e la Dichiarazione di Tripoli del 2012 sottoscrivendo un nuovo memorandum d’intesa bilaterale. Tale accordo si fonda su una forte collaborazione con le autorità libiche: in particolare, la Guardia costiera, la polizia di frontiera e i funzionari del Ministero dell’interno. Sulla base di questa intesa, il nostro paese si impegna ad addestrare il personale di sicurezza libico, a fornire mezzi ed attrezzature ai fini di controllo delle frontiere, finanziare i centri di accoglienza e ad incentivare i ritorni volontari e i rimpatri, il tutto tramite fondi anche europei. È quindi chiara la linea di continuità con i precedenti rapporti bilaterali.

Gli accordi del 2017 assegnano però un ruolo centrale e una fiducia quasi incondizionata al Governo libico nella gestione del flusso migratorio; tuttavia, l’affidabilità di alcuni attori libici è da ritenersi quantomeno discutibile. Numerosi rapporti[9] denunciano infatti come i trafficanti e le milizie, noti per le violazioni dei diritti umani perpetrate a danno dei migranti, siano ormai integrati in ogni livello istituzionale e governativo, ivi comprese la Guardia costiera e di frontiera. Recentemente, l’inchiesta di Nello Scavo[10], giornalista di Avvenire, e l’intervista di Francesca Mannocchi, per L’Espresso[11], hanno provato l’esistenza di una trattativa parallela a quella istituzionale tra le autorità italiane e libiche, già oggetto di indagini dal 2017, mirata specificamente a bloccare le partenze dirette dalla Libia verso l’Italia. Nella trattativa, in particolare, sarebbe stato coinvolto anche Abd al Rahman al Milad, conosciuto come Bija, noto trafficante a capo della Guardia costiera di Zawiya.

Ancor più incomprensibile risulta la scelta di affidare la gestione del flusso a un paese – quale quello libico – che non è firmatario di importanti convenzioni internazionali sul rispetto dei diritti umani (tra cui la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951) e che, come di recente riconfermato dalla portavoce della Commissione Europea Mina Andreeva, “non può essere considerato un porto sicuro[12], a causa delle sistematiche ed accertate violazioni dei diritti dei migranti.

Nonostante le pressioni di diversi attori politici e non[13], il Governo ha comunque rigettato l’ipotesi di una sospensione dell’accordo, propendendo invece per una modifica del memorandum ai sensi dell’articolo 7 dello stesso. La Ministra degli Interni Luciana Lamorgese, sostenuta dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dal Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ha esposto, durante l’informativa urgente di mercoledì 6 novembre, un programma di modifica del memorandum articolato in quattro punti:

1) Il miglioramento dei centri di detenzione, con la prospettiva futura di una loro graduale chiusura e la loro sostituzione con centri gestiti direttamente dalle Nazioni Unite. Occorre però ricordare come in Libia solo 3 centri di accoglienza ufficiali, su un totale attuale di 19, siano sporadicamente accessibili ai funzionari di OIM e UNHCR.

2) Iniziative bilaterali volte ad attuare i corridoi umanitari europei e finalizzate ad alleggerire la pressione dei transiti migratori in Libia. Dall’avvio dei corridoi umanitari, tuttavia, ben poche persone hanno potuto beneficiarne: dalla fine del 2017 a marzo 2019, solo 415 persone sono state evacuate in sicurezza dalla Libia in Italia[14].

3) Il rafforzamento della sorveglianza alle frontiere terrestri meridionali della Libia, in collaborazione con l’OIM. Il memorandum, così come i precedenti accordi, è volto a finanziare progetti di sorveglianza da parte degli agenti di polizia di frontiera libici. Tuttavia, l’inchiesta di Lillo Montalto per Euronews mostra la difficoltà nel verificare l’effettivo impiego dei fondi a tal fine erogati. Alcuni report delle missioni di formazione in Libia – tra le quali Operation Sophia di Eunavfor Med – denunciano infatti come le condizioni di sicurezza in Libia non consentano di fatto le attività di monitoraggio sul personale addestrato[15].

4) Lo sviluppo di un nuovo piano di assistenza e sostegno che assicuri la distribuzione di apparecchiature mediche, materiale sanitario, automezzi di soccorso, materiale per scuole e farmaci e, più in generale, il rafforzamento della tutela dei diritti umani tramite una responsabilizzazione delle autorità libiche.

La Ministra Lamorgese afferma infine come, nonostante le condizioni dei migranti non siano migliorate in seguito all’entrata in vigore dell’accordo, il numero di morti sulla tratta mediterranea sia diminuito. Tuttavia, secondo i dati ufficiali dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR)[16], a una diminuzione del numero assoluto di morti, è corrisposto, dal 2017, un aumento del tasso di mortalità, che ha reso la rotta del Mediterraneo centrale la più pericolosa al mondo.

[1] Si veda: Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana, 2 febbraio 2017, online: http://www.governo.it/sites/governo.it/files/Libia.pdf

[2] Si veda: A. Lamanna, Le relazioni bilaterali tra Italia e Libia, in Geopolitical Review, 13 maggio 2015, online:

[3] In particolare, l’Accordo di Roma del 13 dicembre 2000 e il Processo verbale delle conclusioni operative del 28 ottobre 2002.

[4] Per gli esatti importi, si veda l’art. 4 della legge di ratifica del 6 febbraio 2009 n.7, online: https://web.archive.org/web/20090618082911/http://www.senato.it/parlam/leggi/09007l.htm

[5] In particolare, l’Accordo di Roma del 13 dicembre 2000 e i Protocolli di cooperazione firmati a Tripoli il 29 dicembre 2007 (articolo 19 del Trattato).

[6] Si trattava di un progetto finanziato per 10 mln di euro dall’UE, e per 600.000 euro dal Governo Italiano, avviato nel 2010 e terminato nel 2015. Esso si proponeva di fornire equipaggiamenti, e corsi di formazione per il personale di polizia libico (corsi per attività subacquea, search and rescue, gestione centri per migranti, responsabili dei servizi di immigrazione e frontiere). Il progetto prevedeva anche la ristrutturazione di alcuni Centri per migranti e lo svolgimento di operazioni di rimpatrio volontario assistito curate dall’OIM. Per ulteriori informazioni si veda: https://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/038/003t02_RS/00000002.pdf

[7] Si veda, a tal proposito, il Rapporto di Amnesty International “5. Diritti di rifugiati, richiedenti asilo e migranti [in Libia]”, online:

[8] Cfr. Hirsi Jamaa e altri c. Italia, Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Grande Camera, ricorso n. 27765/09; online: https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid%22:[%22001-109231%22]}

[9] Si veda, ad esempio, il Rapporto delle Nazioni Unite “Desperate and Dangerous: Report on the human rights situation of migrants and refugees in Libya” del 20 dicembre 2018, online: https://www.ohchr.org/Documents/Countries/LY/LibyaMigrationReport.pdf

[10] Cfr. N. Scavo, La trattativa nascosta. Dalla Libia a Mineo, il negoziato tra l’Italia e il boss, Avvenire, 4 ottobre 2019, online: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/dalla-libia-al-mineo-negoziato-boss-libico. Si veda anche: N. Scavo, Trattativa nascosta. Il viaggio del boss in Italia: Bija visitò altri centri migranti, Avvenire, 5 ottobre 2019, online: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/il-giallo-del-negoziato-segreto-migranti-libia-trafficanti

[11] L’intervista è disponibile online: https://www.la7.it/propagandalive/video/esclusivo-lintervista-di-francesca-mannocchi-a-bija-25-10-2019-289737

[12] Cfr. L’Ue: la Libia non è un porto sicuro, ANSA, 11 novembre 2019, online: http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2019/11/11/lue-la-libia-non-e-un-porto-sicuro_930e0fbb-3761-4842-b1a3-9bbcf06b0904.html. Per la definizione di “porto sicuro”, si veda inoltre: F. Tumminello, Il soccorso in mare: i concetti di “porto sicuro” e “porto vicino” nel diritto internazionale, in Ius in itinere, 10 agosto 2019, online: https://www.iusinitinere.it/il-soccorso-in-mare-i-concetti-di-porto-sicuro-e-porto-vicino-nel-diritto-internazionale-22358

[13] Cfr. F. Chiesa, Migranti, lettera delle Ong al governo: “No al rinnovo del patto con la Libia”, Il Corriere della Sera, 30 ottobre 2019, online: https://www.corriere.it/buone-notizie/19_ottobre_30/migranti-lettera-ong-governo-no-rinnovo-patto-la-libia-fe8a0bba-fb24-11e9-b1c6-a381abba5d9f.shtml

[14] Per un ulteriore approfondimento, si veda: Oltre il mare. Primo rapporto sui Corridoi Umanitari in Italia e altre vie legali e sicure d’ingresso, a cura di Caritas Italia, online: http://inmigration.caritas.it/sites/default/files/2019-05/corridoi%20definitivo%2015052019.pdf

[15] Si veda, per un approfondimento, l’inchiesta di L. Montalto, Diamo milioni di euro alla guardia costiera libica. Chi la monitora? Praticamente nessuno, Euronews, 13 novembre 2019, online: https://it.euronews.com/2019/10/30/diamo-milioni-di-euro-alla-guardia-costiera-libica-chi-la-monitora-praticamente-nessuno

[16] Cfr. Con il calo degli sbarchi, i morti in mare sono aumentati o calati?, agi, 1 febbraio 2019, online:

Silvia Casu

Silvia Casu, nata a Varese nel 1995, ha conseguito il diploma di maturità in lingue straniere nel 2014, che le ha permesso di avere buona padronanza della lingua inglese, francese e spagnola. Iscritta al quinto anno preso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano Statale, ha sviluppato un vivo interesse per la materia internazionale pubblicistica e privatistica, nonché per la cooperazione legale comunitaria, interessi che l'hanno portata nel 2017 ad aprirsi al mondo della collaborazione nella redazione di articoli di divulgazione giuridica per l'area di diritto internazionale di Ius in Itinere. Attiva da anni nel volontariato e nell'associazionismo, è stata dal 2014 al 2018 segretaria e co-fondatrice di un'associazione O.N.L.U.S. in provincia di Varese; è inoltre socio ordinario dell' Associazione Europea di Studenti di Legge "ELSA" , nella sezione locale - Milano.

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