venerdì, Ottobre 4, 2024
Uncategorized

Adunanza Plenaria e Cassazione: un passo a due tra beni culturali ed eccesso di potere giuridizionale

L’Adunanza Plenaria con l’ord. n. 2838/2017 della IV Sez. del Consiglio di Stato è stata chiamata a dirimere la seguente questione “se, a mente del combinato disposto degli articoli 140, 141 e 157, co. 2 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 – come modificati dapprima con il d.lgs. 24 marzo 2006 n. 157, e poi, con il d.lgs. 26 marzo 2008 n. 63 – le proposte di vincolo formulate prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto legislativo, e per le quali non vi sia stata conclusione del relativo procedimento con l’adozione del decreto ministeriale recante la dichiarazione di notevole interesse pubblico, cessino di avere effetto”.

Prima del d.lgs. n. 42 del 2004 la tutela paesaggistica dispiegava la propria efficacia a partire dalla pubblicazione della proposta di dichiarazione di notevole interesse nell’albo del Comune interessato e, non essendo previsto un termine di efficacia della misura ovvero di consumazione del potere vincolistico, l’adozione del provvedimento finale poteva intervenire anche a notevole distanza di tempo.

L’efficacia sine die della suddetta proposta derivava dall’interpretazione della legge n. 1497 del 1939, in particolare del combinato disposto degli artt. 2 e 91 – trasfusa poi nel d.lgs. 190 del 1999 (cfr. art. 140 commi 5 e 6; art. 151, commi 1 e 2) – e pertanto, benché non vi fosse un’esplicita previsione in tal senso, dal momento della pubblicazione della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico (rectius elenco di località d’interesse) le aree interessante si ritenevano assoggettate a vincolo.

Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio ha recepito quest’impostazione agli artt. 146 e 1382 prevedendo un’efficacia preliminare della proposta di dichiarazione di notevole interesse, successivamente rimodulata dal d.lgs. n. 63 del 2008 che comunque lasciava immutate le sue caratteristiche.

Infatti l’art. 139, nel testo vigente, stabilisce: la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico di cui all’articolo 138, corredata di planimetria redatta in scala idonea alla puntuale individuazione degli immobili e delle aree che ne costituiscono oggetto, è pubblicata per novanta giorni all’albo pretorio e depositata a disposizione del pubblico presso gli uffici dei comuni interessati. La proposta è altresì comunicata alla città metropolitana e alla provincia interessate. […] Dal primo giorno di pubblicazione decorrono gli effetti di cui all’articolo 146, comma 1”.

L’assenza d’una disciplina sulla decadenza degli effetti della proposta all’infruttuoso spirare del termine di conclusione del procedimento è stata colmata nel Codice prima con le modifiche intervenute tramite il d.lgs. 157 del 2006 e poi con quelle del d.lgs. n. 63 del 2008: dal combinato disposto degli artt. 140, comma 1 e 139, comma 5 il termine per l’adozione del provvedimento ministeriale di dichiarazione è di 180 giorni dalla pubblicazione della proposta; inoltre l’art. 157, comma 2, ab initio prevede che le disposizioni della presente Parte si applicano anche agli immobili ed alle aree in ordine ai quali, alla data di entrata in vigore del presente Codice, sia stata formulata la proposta ovvero definita la perimetrazione ai fini della dichiarazione di notevole interesse pubblico o del riconoscimento quali zone di interesse archeologico”.

Pertanto nel corpo normativo della materia presenta una norma transitoria che sembra conservare l’efficacia limitativa delle proposte di vincolo anteriori all’entrata in vigore del Codice ed una disciplina che invece stabilisce espressamente la cessazione degli effetti limitativi derivanti dalla proposta di vincolo allo scadere del termine per la conclusione del procedimento.

L’Adunanza Plenaria nel rispondere al quesito riportato in premessa ha risolto il contrasto ermeneutico sorto tra l’allora prevalente c.d. tesi della continuità (secondo cui le proposte di vincolo avanzate prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 42 del 2004 conservavano efficacia, ancorché i relativi procedimenti non si fossero conclusi nel termine legale, in linea di continuità con la tradizionale interpretazione secondo la quale la tutela paesaggistica si esplicava fin dal momento in cui la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico era pubblicata nell’albo del Comune interessato e perdurava sine die, non essendo previsto un termine di efficacia della misura ovvero di consumazione del potere vincolistico, sicché l’adozione del provvedimento finale poteva intervenire anche a notevole distanza di tempo, senza che venisse meno l’effetto preliminare del vincolo), e la c.d. tesi della discontinuità, postulante la cessazione degli effetti delle “antiche proposte”, sulla base di un’interpretazione che conduceva ad escludere la possibilità di assicurare a tali proposte una sopravvivenza sine die, pur in assenza di una qualche prospettiva di conclusione del procedimento che con esse si era avviato.

L’Alto Consesso con la pronuncia n. 13/2017 ha aderito al minoritario orientamento della “discontinuità” affermando la cessazione degli effetti sulla base di un dato logico-sistematico poiché “l’effetto preliminare è dal legislatore ricollegato alle proposte non in virtù di un’equiparazione con gli atti che definitivamente accertano le qualità del bene, ma a titolo cautelare” e “posto che l’art. 157, comma 2 rinvia tanto all’art. 141, comma 5 quanto all’art. 146, comma 1, per evitare l’assurdo logico che esso implichi allo stesso tempo che l’effetto preliminare delle proposte anteriori al Codice cessi (art. 141, comma 5) e persista (art. 146, comma 1), l’unica soluzione possibile è interpretarlo nel senso che esso intenda da un lato conservare l’efficacia delle proposte anteriori al Codice, dall’altro assoggettarne l’effetto preliminare di vincolo alla disciplina vigente”.

Inoltre la chiave di lettura prescelta non inficia in alcun modo il principio di irretroattività della legge poiché “la tesi della discontinuità non si fonda sulla retroattività della nuova disciplina, ma sulla non ultrattività della vecchia”.

La normativa in questione infatti è intervenuta non sulle “proposte” di vincolo ma sull’estrinsecazione del potere ministeriale di provvedere sulle medesime “conformandolo nel senso di far conseguire al suo mancato esercizio nel termine di 180 giorni, non la decadenza della proposta, ma la semplice cessazione degli effetti di salvaguardianel tentativo di indurre “l’amministrazione ad un più tempestivo intervento, eliminando la possibilità di premiare, attraverso la permanenza degli effetti della proposta, l’inerzia dell’amministrazione medesima, senza precludere, pur dopo i 180 giorni, la possibilità di un suo intervento.”3

La lettura ermeneutica prescelta permette altresì una corretta applicazione del tempus regit actum poiché la nuova disciplina viene applicata alla fase del procedimento (valutazione della proposta ai fini dell’assunzione del provvedimento definitivo) ancora in corso, permanendo l’efficacia della proposta e cessando solo l’efficacia preliminare del vincolo decorso il termine di 180 giorni.

Pertanto la cessazione del vincolo sarebbe intervenuta per le proposte anteriori al Codice, “decorsi 180 giorni dall’entrata in vigore – ad opera del d.Igs. 63/2008 – dell’attuale testo dell’art. 141, comma 5, che tale decadenza commina, ovvero, ancor prima, per effetto del d. Igs. 157/2006, che l’ha introdotta”. Epperò, visto il quadro di incertezza normativa in materia e considerando come la possibilità di modulare la portata temporale delle decisioni giurisdizionali sia “un principio affermato dalla Corte di Giustizia UE (e, meno incisivamente, dalla giurisprudenza costituzionale), che trova terreno fertile nel processo amministrativo” l’Adunanza Plenaria ha stabilito che “il termine di efficacia di 180 giorni del vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 decorre dalla pubblicazione della presente sentenza.”

Difatti in base all’art. 1 del Codice sul processo amministrativo la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo” talché ricorrendone le condizioni4, in coerenza con la la giurisprudenza comunitaria – secondo cui anche la Corte di giustizia UE ha il potere di precisare che l’annullamento degli atti delle istituzioni comunitarie potrebbe non incidere sugli effetti dell’atto annullato (che seppure in casi eccezionali, potrebbero considerarsi definitivi) – e con la regola anche nazionale del prospective overruling5 , nell’ordinamento interno la portata retroattiva dell’annullamento, non sarebbe assoluta, ma può esser derogata.

Quindi il giudice amministrativo, seppur in via eccezionale, può emettere sentenze interpretative che modulino l’efficacia delle decisioni di annullamento dell’atto amministrativo, attraverso una parziale limitazione della retroattività degli effetti o della loro decorrenza ex nunc, così limitando la “possibilità per gli interessati di far valere la norma giuridica come interpretata”.

Ebbene, la suddetta pronuncia è stata impugnata innanzi la Suprema Corte di Cassazione da parte dell’originaria ricorrente nel giudizio a quo poiché il Consiglio di Stato in sede d’Adunanza Plenaria avrebbe sconfinato nelle attribuzioni riservate al legislatore superando i limiti esterni della giurisdizione amministrativa.

In particolare sarebbe stata esercitata una potestas iudicandi, consistente nella modulazione degli effetti sostanziali della sentenza, “non riconosciutale dall’ordinamento, con l’effetto di avere deliberatamente creato ex novo una norma transitoria con efficacia erga omnes, disapplicando il principio di diritto pure astrattamente enunciato in senso ad essa favorevole.”

La Corte di Cassazione SS.UU. con la sentenza n. 27842/2019 non ha verificato la sussistenza in capo all’Adunanza Plenaria della suddetta potestas poiché essendo diretto contro una sentenza priva di carattere decisorio, il ricorso è invero inammissibile.

Infatti la sent. n. 13/2017 è stata emanata ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a., che riconosce all’Adunanza Plenaria la scelta tra la definizione integrale o parziale della controversia e la sola enunciazione di un principio di diritto con restituzione del giudizio “per il resto alla sezione remittente”.

Versandosi nella seconda ipotesi il giudizio d’appello è ancora in fieri e pertanto spetta alla sezione remittente la contestualizzazione e la sussunzione del principio enunciato dalla Plenaria, nonché la decisione sui restanti motivi d’appello.

L’assenza del carattere decisorio della sentenza impugnata risulta “evidente se si considera che, nella specie, lo stesso interesse della società ricorrente all’impugnazione potrebbe venir meno nel caso in cui il vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico venga (o sia venuto) a cessare qualora il relativo procedimento non si concluda neppure nel termine di 180 giorni decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza dell’Adunanza Plenaria.”

Il vincolo del giudicato può formarsi unicamente sui capi delle sentenze dell’Adunanza plenaria che definiscono – sia pure parzialmente – una controversia, mentre tale vincolo non può dirsi sussistente a fronte della sola enunciazione di principi di diritto la quale richiede – al contrario – un’ulteriore attività di contestualizzazione in relazione alle peculiarità della vicenda di causa che non può non essere demandata alla Sezione remittente, “assolvendo l’interpretazione della norma ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione, e non sui principi di diritto autonomamente considerati “(Cass. 20 ottobre 2010, n. 21561).

Sul tema non è possibile obiettare nemmeno opponendo come il giudicato non costituisca un elemento imprescindibile ai fini dell’impugnabilità del provvedimento giurisdizionale vista l’esistenza di provvedimenti insuscettibili di giudicato e purtuttavia impugnabili. Infatti secondo la granitica interpretazione dell’art. 111, comma 7, Cost. “sono ricorribili per cassazione soltanto i provvedimenti aventi contenuto sostanziale di sentenza, in quanto, non solo, definitivi (rispetto ai quali non siano disponibili altri rimedi di tipo impugnatorio o oppositorio), ma anche effettivamente decisori, cioè idonei a definire una controversia su diritti soggettivi e status.”

Il concetto di decisorietà racchiude in sé la riconduzione della regula iuris al caso concreto in esito all’attività interpretativa spettante al giudice rimettente: l’assenza del carattere di decisorietà “è evidentemente connaturata alla stessa scelta legislativa di ammettere che l’Adunanza plenaria non definisca il ricorso ma si limiti a dettare la regula iuris che presiederà alla sua definizione” (Ad. Pl. n. 2 del 2018).6

Ancora, la conclusione cui perviene la Suprema Corte di Cassazione non è aggirabile nemmeno in un’ottica di valorizzazione dell’interesse ad impugnare della parte che si veda lesa, seppur in astratto ed in via meramente potenziale, dal principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria in vista della successiva definizione del giudizio di appello da parte della sezione remittente.

L’interesse all’impugnazione, articolazione dell’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., è esercitabile solo nelle forme e nei modi regolati dalla legge, in coerenza con quanto disposto dall’art. 111, comma 1, Cost.: da ciò, unitamente alla peculiarità del ricorso per eccesso di potere giurisdizionale – afferente alla contestazione del modo d’esercizio della giurisdizione amministrativa – emerge ictu oculi come quest’ultima fattispecie sia ravvisabile solo “ rispetto alle sentenze dell’organo di vertice della giurisdizione amministrativa che, definendo il giudizio di appello mediante accoglimento o rigetto dell’impugnazione e dettando la regola del caso concreto, siano per questo in concreto suscettibili di arrecare un vulnus all’integrità delle attribuzioni di altri poteri.”

Pertanto, le censure avanzate rispetto alla sentenza n. 13/2017 dell’Adunanza Plenaria sono inammissibili fermo restando che, laddove la ricorrente lo ritenga, potranno essere indirizzate verso la sentenza della sezione remittente.

1L’art. 2 ultimo comma stabiliva che “L’elenco delle località, così compilato, e ogni variante, di mano in mano che vi s’introduca sono pubblicati per un periodo di tre mesi all’albo di tutti i Comuni interessati della Provincia, e depositati oltreché nelle segreterie dei Comuni stessi …”.

Il successivo art. 7 stabiliva:

I proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, dell’immobile, il quale sia stato oggetto nei pubblicati elenchi delle località, non possono distruggerlo né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio a quel suo esteriore aspetto che è protetto dalla presente legge. Essi, pertanto, debbono presentare i progetti dei lavori che vogliano intraprendere alla competente regia Soprintendenza e astenersi dal mettervi mano sino a tanto che non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione”.

2L’art. 146 prevedeva che: “I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili e aree oggetto degli atti e dei provvedimenti elencati all’articolo 157, oggetto di proposta formulata ai sensi degli articoli 138 e 141, tutelati ai sensi dell’articolo 142, ovvero sottoposti a tutela dalle disposizioni del piano paesaggistico, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione.

I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo dei beni indicati al comma 1, hanno l’obbligo di sottoporle alla regione o all’ente locale al quale la regione ha affidato la relativa competenza i progetti delle opere che intendano eseguire, corredati della documentazione prevista, al fine di ottenere la preventiva autorizzazione.”

L’art. 138 prevedeva che: “ Su iniziativa del direttore regionale, della regione o degli altri enti pubblici territoriali interessati, la commissione indicata all’articolo 137, acquisisce le necessarie informazioni attraverso le soprintendenze e gli uffici regionali e provinciali, valuta la sussistenza del notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all’articolo 136, e propone la dichiarazione di notevole interesse pubblico. La proposta è motivata con riferimento alle caratteristiche storiche, culturali, naturali, morfologiche ed estetiche proprie degli immobili o delle aree che abbiano significato e valore identitario del territorio in cui ricadono o che siano percepite come tali dalle popolazioni e contiene le prescrizioni, le misure ed i criteri di gestione indicati all’articolo 143, comma 3.

.Le proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico sono dirette a stabilire una specifica disciplina di tutela e valorizzazione, che sia maggiormente rispondente agli elementi peculiari e al valore degli specifici ambiti paesaggistici e costituisca parte integrante di quella prevista dal piano paesaggistico”

3 “quindi la diversa conformazione del potere di provvedere a venire in discussione, e non, per così dire, la natura della proposta, se non altro sotto il profilo temporale: se cioè, antecedente o susseguente alla nuova disciplina. Non vi sono, in altri termini proposte dotate di una efficacia vincolante sine die, e proposte (successive alla novella) a regime di salvaguardia temporalmente limitato; vi è semplicemente un potere dell’amministrazione, che, dopo la novella è diversamente conformato in relazione al suo esercizio nel tempo, con conseguenze in ordine agli effetti di salvaguardia. E’ quindi la diversa conformazione del potere a rendere, a far data dell’entrata in vigore delle nuove norme, temporanea quell’efficacia di salvaguardia che in passato (a fronte di una conformazione del potere come privo di conseguenze in relazione al tempo di esercizio) appariva permanente.” (A.P. 13/2017)

4 a) un’obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni da interpretare;

b) l’esistenza di un orientamento prevalente contrario all’interpretazione adottata;

c) la necessità di tutelare uno o più principi costituzionali o, comunque, di evitare gravi ripercussioni socio-economiche

5 consistente “nella possibilità per il giudice di modificare un precedente, ritenuto inadeguato, per tutti i casi che si presenteranno in futuro, decidendo però il caso alla sua immediata cognizione in base alla regola superata («il principio di diritto affermato, in contrasto con l’orientamento prevalente in passato, non verrà applicato L.] alle situazioni anteriori alla data della decisione»)”

6 Ad ulteriore sostegno di ciò sovviene altresì l’art. dall’art. 360, comma 3, c.p.c. che, nel sistema processualcivilistico, esclude l’immediata proponibilità del ricorso per cassazione avverso le sentenze (e i provvedimenti diversi dalla sentenza)”che decidono di questioni insorte [di rito o di merito] senza definire, neppure parzialmente, il giudizio”.

Federica Gatta

Giovane professionista specializzata in diritto amministrativo formatasi presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Conseguito il titolo di Dottoressa Magistrale in Giurisprudenza a 23 anni il 18/10/2018 con un lavoro di tesi svolto con la guida del Professor Fiorenzo Liguori, sviluppando un elaborato sul Decreto Minniti (D.l. n. 14/2017) intitolato "Il potere di ordinanza delle autorità locali e la sicurezza urbana" , ha iniziato a collaborare con il Dipartimento di Diritto Amministrativo della rivista giuridica “Ius in Itinere” di cui, ad oggi, è anche Vicedirettrice. Dopo una proficua pratica forense presso lo Studio Legale Parisi Specializzato in Diritto Amministrativo e lo Studio Legale Lavorgna affiancata, parallelamente, al tirocinio presso il Consiglio di Stato dapprima presso la Sez. I con il Consigliere Luciana Lamorgese e poi presso la Sez. IV con il Consigliere Silvia Martino, all'età di 26 anni ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense, esercitando poi la professione da appartenente al COA Napoli. Da ultimo ha conseguito il Master Interuniversitario di secondo livello in Diritto Amministrativo – MIDA presso l’Università Luiss Carlo Guidi di Roma, conclusosi a Marzo 2023 con un elaborato intitolato “La revisione dei prezzi nei contratti pubblici: l’oscillazione tra norma imperativa ed istituto discrezionale”. Membro della GFE ha preso parte alla pubblicazione del volume “Europa: che fare? L’Unione Europea tra crisi, populismi e prospettive di rilancio federale”, Guida Editore; inoltre ha altresì collaborato con il Comitato di inchiesta “Le voci di dentro” del Comune di Napoli su Napoli Est. Da ultimo ha coordinato l'agenda della campagna elettorale per le elezioni suppletive al Senato per Napoli di febbraio 2020 con "Napoli con Ruotolo", per il candidato Sandro Ruotolo. federica.gatta@iusinitinere.it - gattafederica@libero.it

Lascia un commento