Amanda Knox: la Corte EDU condanna l’Italia
Lo scorso 24 gennaio, la prima sezione della Corte di Strasburgo si è pronunciata su un ricorso presentato dai legali di Amanda Knox, nota per il suo coinvolgimento nella vicenda di Meredith Kercher, studentessa uccisa a Perugia la notte del 1° novembre 2007.
Si rammenta che la vicenda giudiziaria interna, particolarmente intricata, ha visto Amanda Knox e l’allora fidanzato, Raffaele Sollecito, condannati in primo grado per l’omicidio della Kercher, ma tale sentenza venne cassata in appello; la sentenza di assoluzione venne poi censurata dalla Corte di Cassazione, che annullò con rinvio la pronuncia. La Corte di Appello, investita nuovamente del caso, condannò nuovamente la coppia; tuttavia tale pronuncia venne, questa volta definitivamente, annullata senza rinvio dalla Cassazione, che rilevò come vi fossero stati notevoli errori e ritardi nelle indagini e non ci fossero elementi sufficienti per provare la colpevolezza di Raffaele Sollecito e Amanda Knox. Quest’ultima, comunque, fu condannata a tre anni di carcere per diffamazione per aver inizialmente accusato dell’omicidio Patrick Lumumba, il titolare e gestore del bar dove lavorava Meredith. La vicenda si è conclusa con la condanna in rito abbreviato di Rudy Guede, ritenuto colpevole dell’omicidio della studentessa inglese
Dopo la conclusione del procedimento a suo carico ed anni di trafile giudiziarie, la Knox ha cercato di riabilitarsi[1] e di ottenere dalle autorità italiane un risarcimento per i danni morali, lamentando i trattamenti subiti nel corso delle indagini e dei vari procedimenti sostenuti. Per tali motivi, è ricorsa dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
In primo luogo, la ricorrente proponeva ricorso per violazione degli artt. 3 e 8 CEDU[2]. La Knox sosteneva infatti di essere stata colpita alla testa durante un interrogatorio con le autorità italiane e di aver subito pressioni psicologiche per ottenere una confessione o dettagli potenzialmente incriminanti sull’omicidio. Inoltre, come evidenziato anche dalla Corte in sentenza, le autorità non avrebbero tenuto in considerazione lo stato di profondo choc emotivo e di confusione in cui la ricorrente si trovava nei momenti immediatamente precedenti all’omicidio e nei giorni successivi, sicché diventava difficile, per la stessa, ricordare elementi utili alle indagini[3]. Alla luce di tali eventi, la Corte, in accoglimento parziale delle doglianze sollevate, condanna l’Italia per violazione dell’art. 3 sotto il profilo procedurale, poichè il Governo non avrebbe adempiuto all’obbligo positivo di indagare su possibili trattamenti disumani o degradanti o atti di tortura commessi a danno della ricorrente. [4]. Invece rigetta le doglianze sotto il profilo sostanziale dell’art. 3 per mancanza di prove sufficienti a sostegno della violazione.
In aggiunta, la Corte constata la violazione dell’articolo 6 CEDU §1 e §3 a causa della mancanza di assistenza legale (lett. c) e di un traduttore durante alcune fasi del procedimento (lett. e). In particolare, la ricorrente lamentava di non essere stata assistita dall’avvocato nel corso dell’interrogatorio del 6 novembre 2007 (ossia il primo interrogatorio svolto dagli inquirenti). Come riconosciuto dagli stessi giudici, le legislazioni nazionali possono prevedere dei limiti all’accesso ad un legale da parte degli imputati, a patto che tali limiti siano temporanei e legati a particolari circostanze individuali e del caso di specie[5]. Su questo punto, la Corte ravvisa come le autorità italiane non siano state in grado di fornire spiegazioni adeguate sulla mancanza di assistenza legale per l’imputata, integrando violazione della norma convenzionale. Tuttavia, i giudici specificano che la violazione processuale, per quanto grave, non abbia violato l’equità complessiva del procedimento[6].
La Corte EDU rileva una violazione dell’art. 6 anche per mancanza di un traduttore nel corso del processo, avendo reso impossibile, per la ricorrente, capire e comprendere le accuse che le venivano rivolte. Ai sensi della Convenzione, infatti, tra i diritti fondamentali degli individui rientra anche il diritto ad essere assistito da un interprete in maniera gratuita – oltre al diritto al valutare l’efficacia e il valore della traduzione effettuata; in altre parole, la traduzione deve essere capace di garantire, in maniera effettiva[7], la comprensione dell’andamento della procedura da parte dell’imputato[8]. Anche in questo caso, qualora vi sia stata una compressione di questo diritto, le autorità devono dimostrare l’esistenza di ragioni imperative che hanno limitato l’accesso dell’imputato a questo fondamentale servizio[9].
La sentenza, con cui i giudici hanno accordato un risarcimento di appena 18mila euro in favore della Knox, è stata accolta in maniera non particolarmente positiva dall’opinione pubblica, in particolare a causa dell’impatto mediatico avuto dal caso Kercher e per il “personaggio” di Amanda Knox, invisa a molti e considerata fin dall’inizio colpevole dell’omicidio, indipendentemente dalle risultanze processuali. In realtà questa pronuncia, anche se non certamente fondamentale nella storia della giurisprudenza di Strasburgo, è sicuramene utile per fare luce, almeno in parte, su una vicenda giudiziaria intricata e dai numerosi lati oscuri, in particolare per quanto concerne la condotta delle autorità nel portare avanti le indagini nei confronti della Knox.
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[1] In un tweet del 30 settembre 2011, l’attuale presidente americano affermo “Everyone should boycott Italy if Amanda Knox is not freed—she is totally innocent.”
[2] La doglianza è stata poi assorbita e valutata solamente dal punto di vista dell’articolo 3 CEDU, Corte EDU, Knox c. Italia, ricorso n. 76577/13, sentenza 24 gennaio 2019.
[3] Ibid., §§125 – 134.
[4] Ibid., §§135 – 137.
[5] Corte EDU, Beuze c. Belgio, ricorso n. 71409/10, sentenza 9 novembre 2018.
[6] Corte EDU, Knox c. Italia, cit., §§166 – 167.
[7] Sull’effettività, la Corte ha evidenziato come l’interprete non deve essere parte dell’autorità inquirente e deve agire nel rispetto degli interessi dell’imputato, senza attentare all’equità del procedimento, Corte EDU, Ucak c. Regno Unito, ricorso n. 44234/98, decisione 24 gennaio 1998.
[8] Ex multis, Corte EDU, Hermi c. Italia, ricorso n. 18114/02, sentenza 18 ottobre 2006, §80.
[9] Corte EDU, Saman c. Turchia, ricorso n. 35292/05, sentenza 5 aprile 2011, §30.
[10] Corte EDU, Knox c. Italia, cit., §187.
30 anni, attualmente attivo nel ramo assicurativo, abilitato all’esercizio della professione forense, laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Torino con tesi sulla responsabilità medico-sanitaria nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e vincitore del Premio Sperduti 2017.
Vice-responsabile della sezione di diritto internazionale di Ius in itinere, con particolare interesse per diritto internazionale, diritti umani e diritto dell’Unione Europea.
Già autore per M.S.O.I. ThePost e per il periodico giuridico Nomodos – Il Cantore delle Leggi, ha collaborato alla stesura di una raccolta di sentenze ed opinioni del Giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo Paulo Pinto de Albuquerque (“I diritti umani in una prospettiva europea. Opinioni dissenzienti e concorrenti 2016 – 2020”).