venerdì, Aprile 19, 2024
Criminal & Compliance

Amministrazione giudiziaria del codice antimafia e controllo giudiziario. La novella del 2017.

L’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche è una misura di “salvataggio” delle imprese contaminate dall’ambiente mafioso. La riforma del 2017 e il nuovo controllo giudiziario.

 

Nella lotta alla corruzione uno strumento senz’altro interessante, specie dal punto di vista funzionale, si è rivelato essere l’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche di cui all’art. 34 dlgs. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia e misure di prevenzione).

Si tratta di un istituto che, a ben vedere, trova le sue origini nella sospensione temporanea dell’amministrazione dei beni di cui agli artt. 3 quater e 3 quinquies della legge 575/1965 – oggi abrogata – , introdotti con legge 356/1992 a seguito delle stragi di Capaci e via d’Amelio. Le norme citate disciplinavano, difatti, delle forme di sospensione temporanea dell’amministrazione dei beni, di confisca e sequestro a carico di chi, pur non essendo indiziato di determinati reati, svolgesse attività economiche, anche imprenditoriali, rispetto alle quali vi fossero sufficienti indizi per ritenere che il loro esercizio fosse, direttamente o indirettamente, “sottoposto alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento previste dall’art. 416 bis c.p. o che possa comunque agevolare l’attività delle persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata una delle misure di prevenzione di cui all’art. 2, ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per taluno dei delitti previsti dagli art. 416 bis, 629, 630, 648 bis e 648 ter del codice penale e non ricorrono i presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione di cui all’art. 2”.

Gli articoli 3 quater e 3 quinquies, invero, ebbero una scarsa applicazione pratica perché raramente si verificavano nella realtà concreta i presupposti previsti dalla legge. L’istituto introdotto col Codice delle leggi antimafia, al contrario, sembra raccogliere con maggiore consapevolezza le esigenze poste dall’attuale momento storico, anche in ragione dei mutamenti che hanno interessato la società economica.

L’obiettivo dell’articolo 34 è, in particolare, non tanto e non solo quello di sanzionare, quindi punire, gli enti imprenditoriali rimasti invischiati nell’ambiente mafioso, né di preparare il terreno per una futura confisca – che è comunque un possibile approdo della procedura –, quanto piuttosto quello di “curarli”, di “salvarli”. “La finalità dell’istituto non è”, stando alla pronuncia del Tribunale di Milano del 2016, “repressiva quanto preventiva, volta cioè non a punire l’imprenditore che sia intraneo all’associazione criminale, quanto a contrastare la contaminazione mafiosa di imprese sane, sottoponendole a controllo giudiziario con lo scopo di sottrarle, il più rapidamente possibile, all’infiltrazione criminale e restituirle al libero mercato una volta depurate dagli elementi inquinanti”[1]. La relazione tra l’attività aziendale e gli interessi criminali a sfondo mafioso emerge, secondo il Tribunale, “esclusivamente sul piano del rapporto colposo, che riguardi, cioè, la violazione di normali regole di prudenza e buona amministrazione imprenditoriale che la stessa società si sia data o che costituiscano norme di comportamento esigibili sul piano della legalità da un soggetto che opera ad un livello medio-alto nel settore degli appalti di opere e/o servizi”[2].

Difatti, in base all’art. 34 co. 2 il tribunale dispone l’amministrazione giudiziaria dei beni utilizzabili, anche indirettamente, per lo svolgimento di attività economiche, anche imprenditoriali, quando ricorrono sufficienti elementi di fatto per ritenere che il libero esercizio di attività economiche, comprese quelle imprenditoriali, agevoli l’attività delle persone nei cui confronti sia stata proposta o applicata una misura di prevenzione ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per uno dei delitti di cui agli artt. 416 bis, 629, 630, 648 bis e 648 ter c.p.

Dunque, è evidente che ai fini dell’amministrazione giudiziaria non rileva tanto la natura, criminale o meno, dell’attività economica in questione, quanto piuttosto che oggettivamente essa sia coinvolta in un disegno criminoso mafioso. Non a caso il co. 1 dell’art. 34 espressamente richiede che non debbano ricorrere i presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione nei confronti dei soggetti titolari di tali attività.

Sulla materia è intervenuta una recentissima riforma con legge 17 ottobre 2017 n. 161, che ha esteso la portata applicativa dell’art. 34, prevedendosi ora che la misura può essere disposta dal tribunale competente per l’applicazione della misura di prevenzione anche a seguito degli accertamenti ordinati dall’ANAC ai sensi dell’art. 133 del codice degli appalti, nonché quando si rinviene che l’esercizio dell’attività di impresa è idonea ad agevolare l’attività di persone sottoposte a procedimento penale per taluno dei delitti di cui all’art. 4 co. 1 lett. a), b) e i-bis) del codice antimafia.

La riforma ha inciso anche sulla durata dell’amministrazione giudiziaria, che è quindi una misura temporanea: essa può avere una durata non superiore a sei mesi e può essere rinnovata per un periodo non superiore complessivamente – prima a dodici mesi – ora a due anni, se permangono le condizioni che hanno giustificato la sua applicazione.

Col provvedimento con cui il tribunale dispone l’amministrazione giudiziaria viene nominato il giudice delegato e l’amministratore giudiziario. Su quest’ultimo ricadono obblighi di relazione e segnalazione previsti dall’art. 36 co. 2 del medesimo decreto legislativo. La novella ha, poi, facoltizzato la nomina da parte del tribunale di un amministratore giudiziario che eserciti i poteri spettanti agli organi di amministrazione e agli altri organi, secondo le modalità stabilite dal tribunale medesimo, qualora si tratti di società.

Al termine del periodo dell’amministrazione giudiziaria, tre sono i possibili esiti: il tribunale può, entro quindici giorni prima della sua scadenza, disporre il rinnovo del provvedimento ovvero la revoca della misura stessa ovvero la confisca dei beni che siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Col provvedimento con cui dispone la revoca della misura, il tribunale può disporre il controllo giudiziario.

La novella del 2017 ha introdotto anche un art. 34 bis relativo proprio al controllo giudiziario, disciplinandolo come una sorta di “tutoraggio” all’impresa laddove vi siano indizi di fatto rilevatori di pericoli concreti di infiltrazione e condizionamento “occasionale” o “non stabile”[3]. Il controllo ha una durata minima di un anno e massima di tre anni e consiste nell’imporre obblighi di trasparenza e comunicazione, il monitoraggio periodico del giudice delegato e dell’amministratore giudiziario, con facoltà di imporre all’ente anche ulteriori obblighi, quali, tra i tanti, quello di non mutare sede, denominazione e ragione sociale, nonché l’oggetto sociale, la composizione degli organi di amministrazione, direzione e vigilanza e il divieto di compiere fusioni o altre trasformazioni, senza l’autorizzazione del giudice delegato.

Altra novità importantissima introdotta dalla riforma è il potere del tribunale di autorizzare ufficiali e agenti di polizia giudiziaria ad accedere presso gli uffici dell’impresa, studi professionali, società, banche e intermediari mobiliari al fine di ottenere informazioni ed estrarre copia delle documentazioni che ritengono utile.

Laddove durante l’attività di controllo e monitoraggio si rinvengano violazioni di una o più prescrizioni o il sopravvenire dei presupposti di cui all’art. 34 co.1, il tribunale può disporre l’amministrazione giudiziaria dell’impresa.

Novità interessante è l’introduzione della possibilità che la medesima parte interessata possa proporre istanza al tribunale competente per le misure di prevenzione di applicazione del controllo giudiziario ex art. 34 bis.

Non resta, a questo punto, che verificare quali saranno le applicazioni pratiche della novella del 2017.

[1] Trib. Milano, Sez misure di prevenzione, decr. 24 giugno 2016, Pres. Roia, Est. Tallarida

[2] Ibidem.

[3] La riforma del d.lgs. n. 159/2011. Antimafia, corruzione e nuovi mezzi di contrasto, del 5 dicembre 2017 su Fondazione Nazionale dei Commercialisti, http://www.fondazionenazionalecommercialisti.it/system/files/imce/inf-per/informativa-periodica_20171205.pdf.

fonte immagine:http://www.antimafiaduemila.com/home/opinioni/235-politica/67156-approvato-codice-antimafia-risultato-straordinario-che-rafforza-la-lotta-contro-mafie-e-corruzione.html

Laura De Rosa

Raccontarsi in poche righe non è mai semplice, specialmente laddove si intende evitare l’effetto “lista della spesa”. Cosa dire di me, dunque, in questa piccola presentazione per i lettori di “Ius in itinere”? Una cosa è certa: come insegnano le regole di civiltà e buona educazione, a partire dal nome non si sbaglia mai. Mi chiamo Laura De Rosa e sono nata nella ridente città di Napoli nel 1994. Fin da bambina ho coltivato la mia passione per la scrittura, che mi ha portato a conseguire col massimo dei voti nel 2012 il diploma classico presso il liceo Adolfo Pansini. Per lungo tempo, così, greco e latino sono stati per me delle seconde lingue, tanto che al liceo rimproveravo scherzosamente la mia professoressa di greco accusandola del fatto che a causa sua parlassi meglio delle “lingue morte” piuttosto che l’inglese. Tuttavia, ciò non ha impedito che anche io perdessi la mia ignoranza in proposito e oggi posso vantare un livello B2 Cambridge ed una forte aspirazione al C1. Parlo anche un po’ di spagnolo e, grazie al programma Erasmus Plus che mi ha portato nella splendida Lisbona, ora posso dire con fierezza che il portoghese non è più per me un mistero. Sono cresciuta in un ambiente in cui il diritto è il pane quotidiano ed ho sempre guardato a questo mondo come a qualcosa di familiare e allo stesso tempo estraneo, perché talvolta faticavo a comprenderlo. Approcciata agli studi legali, invece, la mia visione delle cose è cambiata e mi sono accorta come termini che prima mi apparivano incomprensibili e lontani invece rappresentano la realtà di tutti giorni, anzi ci permettono di vedere e capire questa realtà. Ho affrontato, nel mio percorso universitario, lo studio del diritto penale con uno spirito critico mosso da queste considerazioni e sono giunta alla conclusione che questo ramo è quello che, probabilmente, più di tutti gli altri rappresenta l’uomo. Oggi sono iscritta all’ultimo anno della laurea magistrale presso l’Università Federico II di Napoli e, nonostante non ci sia branca del diritto che manchi di destare la mia curiosità, sono sempre più convinta di voler dare il mio contributo all’area penalistica. L'esser diventata socia di ELSA sicuramente ha rappresentato per me un'ottima opportunità in questo senso. Scrivere per un giornale non è, per me, un’esperienza nuova. La mia collaborazione con “Ius in itinere” ha però un sapore diverso: nasce dal desiderio di mettermi in gioco come giurista, scrittrice e membro della società. Il diritto infatti, come l’uomo, vive e si sviluppa. E come l’uomo ha un animo, aspetto da tenere sempre presente quando ci si approccia a studi giuridici. Mia volontà è dare un contributo a questo sviluppo nell’intento e nella speranza di collaborare ad un diritto più “giusto” e più “umano”. Oggi nelle vesti di scrittrice, un domani in un ruolo ancor più attivo. Mail: laura.derosa@iusinitinere.it

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