martedì, Dicembre 3, 2024
Criminal & Compliance

Apologia al fascismo e saluto romano

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 8108 del 14.12.2017, ha escluso la configurabilità del delitto di cui all’art. 5 della legge del 20 giugno 1952 n. 64, ovvero delle “manifestazioni fasciste”, facendo riferimento a condotte tipiche del partito ormai disciolto come la “chiamata del presente” ed il “saluto romano”. Tale sentenza rimette in discussione il dibattito legato all’attualità delle disposizioni circa le manifestazioni fasciste e l’apologia del fascismo (art. 4 e 5 della legge del 20 giugno 1952 n.645).

Al fine di comprendere l’evoluzione e la ratio sottesa all’inserimento di questo reato all’interno del nostro sistema legislativo è necessario un excursus storico, in virtù del quale verranno esaminate le leggi dedicate ad esso.

La legge del 20 giugno 1952, n. 645, dedicata alle “norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale, comma primo, della Costituzione”, ovvero la legge Scelba, ha vietato la riorganizzazione del disciolto partito fascista e previsto i reati di apologia di fascismo, di istigazione e reiterazione delle pratiche tipiche e proprie del partito e del regime cessati. Tali disposizioni normative intendevano punire i fenomeni di discriminazione e le idee razziste proprie del movimento fascista, le quali erano ormai contrarie ai principi consacrati nella Carta Costituzionale.

La legge Scelba costituisce l’architrave di altre leggi, che sono state emanate successivamente, attraverso le quali si puniva ogni tipo di discriminazione, etica e razziale comune ai regimi costituitesi nel primo dopoguerra: la legge Mancino e la legge Reale.

La legge Reale,  legge n. 654 del 13 Ottobre 1975, risulta essere una legge di ratifica della Convenzione di New York[1] attraverso la quale vengono eliminate tutte le forme di discriminazioni razziali; la legge Mancino ha -invece- ampliato le ipotesi nelle quali fosse possibile inquadrare il delitto per la repressione delle condotte di propaganda delle idee fondate sulla superiorità della “razza” e di istigazione a commettere violenza per motivi meramente razziali, etnici e religiosi.

Le disposizioni di cui all’art. 3 della l. n. 654/1975 ed all’art. 3 del d.l. n. 122/199 sono state integralmente trasfuse nel decreto legislativo n. 21 del 1 marzo 2018, in attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale prevista dall’articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103, nelle nuove fattispecie incriminatrici di cui agli artt. 604-bis e 604-ter del codice penale, disponendo la contestuale abrogazione delle norme originarie (art. 7). La scelta normativa risponde ad esigenze di riordino della materia penalistica, inserisce le suddette ipotesi incriminatrici nell’ambito dei delitti contro la libertà individuale (Titolo XII, Capo III) ed in particolare dei delitti contro la personalità individuale (Sezione I), confermando così l’oggettività giuridica individuata nella tutela dell’interesse dello Stato alla salvaguardia della personalità dell’individuo, nelle sue espressioni di appartenenza ad un gruppo nel quale vengono condivise storia, etnia, religione ed ideologia culturale[2].

Nello specifico il decreto legislativo del 2018, in attuazione della delega di codificazione penale, ha sintetizzato il contenuto di questo insieme di leggi trasponendolo negli artt. 604-bis e 604- ter del codice penale abrogando le stesse : l’articolo 604- bis comma 1 è quello dedicato alla propaganda, incitamento anche tutti quei comportamenti mirati alla discriminazione razziale dell’individuo; mentre l’articolo 604-ter ne definisce le circostanze aggravanti.

Dopo aver analizzato il quadro normativo dedicato al reato di Apologia del Fascismo, passiamo, dunque, alla sentenza numero 8108 del 2017 attraverso la quale la Corte di Cassazione esclude il reato di manifestazione fascista, già contestato dalla Corte di Appello di Milano, inerente ad una manifestazione di un partito politico avente le medesime ideologie del movimento formatosi in Italia nel primo Dopoguerra. La manifestazione oggetto di esame riproduceva fedelmente ciò che usualmente avveniva tra i componenti del partito fascista, ovvero la chiamata del presente, il cd. saluto romano, a cui si accompagna l’esposizione di uno striscione inneggiante ai camerati caduti e di numerose bandiere con croci celtiche. La questione, sollevata dinanzi al giudice, partiva dall’errato presupposto della mancata autorizzazione dello svolgimento della manifestazione da parte della Questura di Milano, la quale, invece, aveva autorizzato il corteo notificando agli organizzatori una diffida ad eliminare ciò che potesse, in qualche modo, inneggiare il fascismo, come tamburi e le bandiere con le croci celtiche.

Ciò che però viene considerato il vero punto cardine della sentenza, su cui si è voluta pronunciare la Corte di Cassazione, è la legittimità del “saluto romano”, il quale integrava il reato di cui all’art. 5 della legge n. 645 del 1952, modificato successivamente dalla legge n.152 del 22 maggio 1975, per la connotazione di pubblicità che qualifica le espressioni evocative del partito fascista lesive per l’ordinamento democratico[3] e l’ordine pubblico.

La Corte, rendendo inammissibile il ricorso, ha motivato la sua decisione facendo leva su altre due pronunce della Corte Costituzionale (nn. 74 del 06/12/1958 e 15 del 27/02/1973) in cui sono contestate solo quelle manifestazioni che possono determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste[4], ovvero di quelle manifestazioni che siano idonee a provocare consenso della massa nei confronti del partito disciolto. Nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che vi fosse una mera commemorazione del corteo, del quale avevano già concordato le modalità: silenzio, privo di inno, canti o slogan evocativi dell’ideologia fascista e l’assenza di comportamenti aggressivi, armi o altri strumenti.

Ciò che rende, però, davvero interessante il corpus di questa sentenza è la lettura del reato di apologia del fascismo in virtù delle libertà garantite dall’art. 21 della Carta Costituzionale.

Atteso che nella Costituzione vi sia – per l’appunto- un articolo dedicato alla libertà di espressione e di pensiero, sarebbe opportuno sanzionare, secondo l’orientamento assunto dalla Corte di Cassazione, attraverso un combinato disposto con la legge Scelba e tutte le leggi e sentenze successive che hanno modificato quest’ultima, “solo quei comportamenti che siano in grado di suggestionare concretamente le folle inducendo degli astanti sentimenti nostalgici in cui ravvisare un serio pericolo di organizzazione del partito fascista”[5]. Nello specifico, deve essere il giudice di merito a valutare le condizioni ambientali e psichiche nelle quali il “saluto romano” sia in grado di creare consenso ed una base solida affinchè si possa ricostruire il partito fascista. Dalla sentenza in esame, si evince che il mero utilizzo di simboli propri del regime fascista non integri un reato ex se, qualora non venga rilevato una reale offensività. Ciò nonostante è necessario esaminare tale rapporto non soltanto in virtù delle libertà costituzionali ma anche alla luce dell’art. 10 della Convenzione EDU, il quale, parimenti all’art.21 Cost, garantisce all’individuo la libertà di manifestazione del pensiero e di stampa. Tale articolo consente, però, la limitazione della predetta libertà in tre casi: quando tale restrizione sia espressamente prevista per legge; che la conseguente interferenza col diritto di espressione persegua i fini previsti dal medesimo articolo 10; l’interferenza si concretizzi in misure necessarie e proporzionali sia allo scopo perseguito, sia al fatto al quale s’intende reagire[6]. Anche in questo caso non sarebbe dunque necessario limitare la libertà di pensiero in quanto, il mero corteo, così come si evince dalla sentenza n.8101 del 2017, non si predispone lo scopo di far “risorgere” il regime fascista ma ha uno scopo meramente commemorativo, nel quale vengono ricordati tre camerati che in passato si sono resi protagonisti di alcune vicissitudini politiche.

[1]La Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale è stata conclusa a New York il 21 dicembre 1965 ed ivi aperta alla firma il 7 marzo 1966

[2]

[3] E’ utile ricordare come la Corte di Cassazione avesse dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge n.645 del 1952 con la sentenza n.37577 del 25/03/2014 durante una manifestazione commemorativa delle vittime delle Foibe, in conformità dell’art. 10 della Convenzione Europea per i Diritti Umani avente ad oggetto la libertà di espressione.

[4] Corte Cost., sent. n.74 del 06/12/1958.

[5] Cass., sent. n. 8101 del 14/12/2017.

[6] VIGANÒ, Diritto penale sostanziale e Convenzione europea dei diritti dell’uomo,  in Riv. it. dir. e proc. pen., 1/2007, p. 42

Maria Elena Orlandini

Avvocato, finalista della II edizione della 4cLegal Academy, responsabile dell'area Fashion Law e vice responsabile dell'area di Diritto Penale di Ius in itinere. Maria Elena Orlandini nasce a Napoli il 2 Luglio 1993. Grazie all’esperienza di suo padre, fin da piccola si appassiona a tutto ciò che riguarda il diritto penale, così, conseguita la maturità scientifica, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza presso l'Università degli Studi del Sannio. Si laurea con 110 e lode il 20 Marzo 2018 con una tesi dal titolo "Mass Media e criminalità" seguita dai Proff. Carlo Longobardo e Prof. Felice Casucci, in cui approfondisce il modus attraverso il quale i social media e la tv siano in grado di mutare la percezione del crimine nella società. Nel 2019 ha conseguito con il massimo dei voti il Master di II livello in Giurista Internazionale d'Impresa presso l'Università degli Studi di Padova - sede di Treviso, specializzandosi in diritto penale dell'economia, con una tesi dal titolo "Il reato di bancarotta e le misure premiali previste dal nuovo Codice della Crisi di Impresa", sotto la supervisione del Prof. Rocco Alagna. Nel giugno 2020 ha superato il corso di diritto penale dell'economia tenuto dal Prof. Adelmo Manna, professore ordinario presso l'Università degli Studi di Foggia, già componente della commissione che ha varato il d.lgs. 231/2001. All'età di 27 anni consegue l'abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte d'Appello di Venezia. Dal 2019 segue plurimi progetti legati al Fashion Law e alla proprietà intellettuale, prediligendone gli aspetti digital in tema di Influencer Marketing. Nel 2020 viene selezionata tra i cinque giovani talenti del mercato legale e partecipa alla seconda edizione della 4cLegal Academy, legal talent organizzato dalla 4cLegal, visibile sul canale BFC di Forbes Italia, su Sky. Nel 2022 si iscrive al corso di aggiornamento professionale in Fashion Law organizzato dall'Università degli Studi di Firenze. Passione, curiosità, empatia, capacità di visione e self control costituiscono i suoi punti di forza. Collabora per le aree di Diritto Penale e Fashion Law & Influencer marketing di Ius in itinere. email: mariaelena.orlandini@iusinitinere.it

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