venerdì, Marzo 29, 2024
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Aspetti problematici delle liberalità: la donazione indiretta di cosa futura

A cura del Dott. Vittorio Aloi

 

Introduzione

Le donazioni indirette rappresentano tutt’oggi un importante istituto e la normativa che le disciplina, non ne delinea i tratti caratteristici comportando una grave frammentarietà dell’intera materia.

La ragione principale per la quale tali liberalità sono ampiamente utilizzate, la si può dedurre dalla deroga al rigido formalismo richiesto per le donazioni dirette; infatti, per quest’ultime è richiesto l’atto pubblico a pena di nullità alla presenza di due testimoni, mentre per le prime è sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per lo scopo di liberalità.

Il Supremo Consesso di Legittimità, con la Sentenza del 27 luglio 2017 n. 18725, ha cercato di ottemperare a tale carenza normativa ma, dalle pronunce dei giudici di merito successive a tale sentenza, non si evince quel riscontro positivo auspicato dalla Suprema Corte di Cassazione.

Le SS. UU. hanno operato una ricognizione delle ipotesi più significative che la giurisprudenza ha ricondotto nell’alveo delle donazioni indirette nonché di quelle che hanno richiesto il ricorso alle forme solenni. La linea di demarcazione che i Giudici di Piazza Cavour hanno cercato di delineare trova fondamento sulla causa del negozio. Qualora la liberalità ne costituisce la causa, ci troveremo dinnanzi ad una donazione diretta, nell’ipotesi in cui invece ne costituisce l’effetto saremo dinnanzi ad una donazione indiretta. Si pensi al contratto in favore di terzo, trattasi di donazioni indiretta in quanto la liberalità (arricchimento e contestuale depauperamento) accede al negozio pur non integrandone la causa (nell’ipotesi di vendita in favore di terzo, la causa propria del negozio è certamente il trasferimento del diritto verso il prezzo e non anche l’arricchimento del terzo), sicché detta liberalità ne rappresenta meramente un effetto ed in quanto tale indiretta.

Nonostante tale pronuncia, la dottrina, insoddisfatta, continua a sollevare questioni che necessitano ulteriori interventi in materia. Il minimo comune denominatore di tali critiche verte su tre aspetti:

In primo luogo, sul fatto che Gli Ermellini avrebbero dovuto sottolineare che è necessaria un’analisi rigorosa intorno all’intento donativo, per quei negozi che, appunto, generalmente vengono utilizzati per il perseguimento di finalità diverse (rispetto a quella liberale);

In secondo luogo, sul fatto che i Giudici di Piazza Cavour avrebbero potuto cogliere l’occasione di porre in essere indicazioni più precise sull’interpretazione e applicazione dell’art. 809 c.c. (visto l’ampio margine della normativa);

In terzo luogo, sul fatto che i Giudici di Legittimità avrebbero dovuto delineare se la deroga al rigoroso formalismo richiesto per le donazioni dirette, disciplinato dall’art. 782 c.c., possa trovare giustificazione nel contesto o nelle caratteristiche del negozio utilizzato.

Il vuoto legislativo de quo, oltre a non garantire indicazioni precise sull’interpretazione e applicazione dell’art. 809 c.c., rilascia molteplici dubbi su quali norme, riguardanti le donazioni dirette, possono essere applicate anche a quelle indirette.

Tra le diverse norme che disciplinano la donazione tipica, rilevante nell’analisi è l’art.771 c.c. che sancisce la nullità della donazione (diretta) avente ad oggetto cosa futura.

Per comprendere se tale articolo possa essere applicato alle donazioni indirette è necessario focalizzarsi su due aspetti fondamentali: l’interpretazione dell’art. 809 c.c. e l’oggetto delle donazioni indirette.

  1. Interpretazione restrittiva o estensiva dell’articolo 809 c.c.

La dottrina si distingue tra coloro che all’art. 809 c.c. assegnano il carattere di norma di stretta interpretazione, ritenendo, quindi, che alle donazioni indirette si applichino solo le norme che espressamente richiamano a tale negozio[1]; e chi invece, al contrario, ritiene che l’art. 809 c.c. sia applicabile mediante un’interpretazione estensiva, riconducendo così a tale negozio anche norme (come l’art. 771 c.c.) che espressamente non ne facciano un richiamo[2].

Il primo orientamento si giustifica dal fatto che l’animus donandi può comportare un possibile pregiudizio nei confronti del donante o nei confronti dei terzi.

Per il primo, sono previste tutele di prevenzione per proteggerlo da possibili donazioni precipitose, diversamente, nulla è previsto a tutela dei terzi e per tale ragione, l’unico rimedio possibile da adottare per tutti i negozi che indirettamente conducono ad un fine liberale, consiste nel limitare l’autonomia privata[3].

Il secondo orientamento, invece, muove dall’idea che il legislatore non abbia disciplinato a pieno le liberalità non donative e per tale ragione, l’unico rimedio per poter sopperire al vuoto legislativo, consiste nel conferire un’interpretazione estensiva.

1.2    L’oggetto delle donazioni indirette

Come detto in precedenza, per poter comprendere se l’art. 771 c.c. possa essere applicato anche alle donazioni indirette (visto il silenzio dell’art. 809 c.c.) è necessario individuare quale sia l’oggetto di tale negozio.

L’esempio classico che può essere fatto è: l’intestazione di un bene immobile in nome altrui, mediante il quale, quindi, il donante conferisce gratuitamente la proprietà del bene che un terzo pone in vendita al beneficiario.

Tale fattispecie può attuarsi in modi differenti: il donante stipula un contratto in nome e per conto del beneficiario, eseguendo la prestazione con il proprio denaro; oppure può procurare il denaro al beneficiario che, di conseguenza, conclude direttamente il contratto, o quest’ultimo esegue la prestazione (con il denaro procurato dal donante) del contratto stipulato tra donante e terzo proprietario, o può accollarselo; oppure, infine, il donatario utilizza il contratto a favore di terzo o per persona da nominare[4].

Ritornando al contratto in favore di terzo, la problematica rilevante è proprio l’identificazione dell’oggetto della liberalità[5], questo in quanto: se l’oggetto viene identificato nell’immobile si configura una donazione indiretta; se invece l’oggetto viene identificato nel denaro, si configura una donazione diretta.

Inizialmente, dottrina e Giurisprudenza[6] consideravano oggetto della donazione indiretta il denaro del donante, questo, in quanto nel definire il bene da conferire in collazione in tema di assicurazione, il legislatore all’art. 1923 comma 2 c.c. aveva definito il denaro poiché questo era ciò che realmente era uscito dal patrimonio del de cuius (assicurato).

Altra dottrina[7], invece, partendo dall’art. 737 c.c. che obbliga il donatario di trasmettere ogni bene ricevuto (direttamente o indirettamente) dal defunto in donazione, riteneva che la liberalità non doveva essere raffrontata con il depauperamento del donante, bensì con l’arricchimento del beneficiario.

Il problema delle tesi appena esposte è che da un lato si argomenta con un articolo (1923 c.c.) di carattere eccezionale, del quale, quindi, non si può evincere un principio generale; dall’altro lato, la dottrina argomenta con un articolo (737 c.c.) nel quale l’avverbio “indirettamente” induce ad un mezzo tecnico di attuazione della liberalità, e non l’oggetto della stessa. Sicché le tesi esposte non sembrano accettabili[8].

Visti i contrasti dottrinali ed i discutibili orientamenti (come sopra esposto), è stato necessario l’intervento della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza 5 agosto 1992, n. 9282[9], con la quale ha affermato che oggetto della donazione indiretta in caso di intestazione di beni in nome altrui (ai fini della collazione) è il bene e non il denaro.

Quando l’orientamento prevalente riteneva oggetto della donazione indiretta il denaro, si considerava inapplicabile l’art. 771 c.c., in quanto l’oggetto sopracitato è ben distante dalle nozioni di futurità, essendo cosa generica[10].

Da quando, invece, l’orientamento prevalente si è discostato dal precedente, prevedendo oggetto della donazione indiretta il bene del quale il beneficiario si è arricchito, si è ritenuto che tale tipo di liberalità costituisce l’unico strumento lecito per realizzare una donazione avente ad oggetto cosa futura.

Nella donazione indiretta, a differenza della donazione diretta, spicca la distinzione tra arricchimento e trasferimento (nel senso che non sempre in questo tipo di liberalità l’arricchimento è il risultato del trasferimento dal donante al beneficiario, potendo il primo arricchire il secondo mediante il trasferimento da parte del terzo).

Conclusioni

Aspettando un intervento legislativo o una pronuncia da parte dei Giudici di Legittimità che possa meglio colmare in toto il vuoto legislativo di un istituto, come già affermato, ampiamente utilizzato nel nostro ordinamento (si pensi ad esempio, per il caso in esame, la permuta di cosa presente con cosa futura), vista la non assoluta coincidenza tra arricchimento e depauperamento, possiamo affermare che non si può né negare e né affermare in toto l’applicazione dell’art. 771 c.c. (alle donazioni indirette), in quanto la prestazione avente ad oggetto cosa futura può riguardare solo l’arricchimento o solo il depauperamento[11], sicché bisognerà valutare, alla luce della fattispecie del caso concreto, la ratio dell’art. 771 c.c.

[1] Tale tesi è stata formulata con riferimento all’art. 782 c.c., che essendo una disposizione volta a realizzare la tutela del donante e non la tutela di terzi, non potrà estendersi a quei negozi che perseguono l’intento di liberalità con schemi negoziali previsti per il raggiungimento di finalità di altro genere.

[2] Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2015, pag. 1671; Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Padova, pag. 51; Trib. Torino, 15 luglio 2004, in Foro pad, 2006 che include espressamente l’art. 771 c.c. nell’elenco delle c.d. norme materiali applicabili alla donazione indiretta.

[3] In dottrina si veda: Biondi, Le donazioni, Torino, 961, pag 933: ” all’infuori della revoca, riduzione e collazione per cui abbiamo precise disposizioni, nessuno dei principi propri del contratto di donazione è applicabile alle liberalità atipiche, le quali sono regolate dalla disciplina propria di ciascun atto nel quadro generale degli atti e fatti giuridici”; In tal senso anche: Torrente, La donazione, In Trattato di Diritto Civile e Commerciale diretto da Cicu – Messineo, Milano, 1956, pag. 65 ss; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006, pag. 547; Balbi, Liberalità e donazione, in Riv. Dir. Comm., 1948, pag. 195.

[4] Tagliaferri, L’intestazione di immobile in nome altrui tramite contratto a favore di terzo, Liberalità non donative e attività notarile, in Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, 2008, pag 1.

[5] L’individuazione dell’oggetto della donazione indiretta acquista rilievo se solo si pensa che le norme relative a collazione, imputazione e riunione fittizia si applicano al valore del bene oggetto di donazione al momento dell’apertura della successione del donante. E’ di primario rilievo stabilire se, nel caso di intestazione di immobile in nome altrui mediante contratto a favore di terzo, con spirito di liberalità, l’oggetto debba considerarsi sempre il bene immobile o, in alcune situazioni possa essere considerato il denaro: infatti, il denaro, con il passare del tempo si svaluta, l’immobile nello stesso tempo, si rivaluta enormemente.

[6] Torrente, op., ult., cit., pag. 75 ss; Palazzo, Le donazioni indirette, in I grandi temi. La donazione, diretto da Bonilini, Torino, 2001, pag. 74. In giurisprudenza si veda: Cass. 19 ottobre 1978, n. 4711, in Massimario della giurisprudenza italiana, 1978; Cass, 28 febbraio 1987, in Vita notarile, 1987; Cass. 11 maggio 1973, n. 1255, in Massimario della Giurisprudenza italiana, 1973.

[7] Casulli, Donazioni indirette e rinunzie ad eredità e legati, Roma, 1950, pag. 105; Carraro, Il mandato ad alienare, Padova, 1947, pag. 139.

[8] Iaccarino, Circolazione dei beni: la Cassazione conferma che gli acquisti provenienti da donazioni indirette sono sicuri, in Notariato, 2010, pag.2.

[9] Cass. sez. un., 5 agosto 1992, n.9282: “Nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il soggetto medesimo intende in tal modo beneficiare con la sua adesione, la compravendita costituisce strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, e quindi integra una donazione indiretta del bene stesso e non del denaro. Pertanto, in caso di collazione, secondo la previsione dell’art. 737 c.c., il conferimento deve avere ad oggetto l’immobile non il denaro per il suo acquisto”.

[10] Capozzi, op., ult., cit., pag. 1546 e ss, che ricorda che la cosa generica non rientra nel concetto di cosa futura in quanto la futurità ha rilievo soltanto nella sfera della specificità, per cui di cosa futura può utilmente parlarsi solo nei confronti di cosa già individuata.

[11] Cass. 8 febbraio 1994, n. 1257, con  nota di De Lorenzo, Intestazione di bene in nome altrui: appunti in margine a una giurisprudenza recente, in Foro it., 1995. “La futurità, potrà ad esempio, riguardare solo l’arricchimento del beneficiario, mentre l’impoverimento del donante è contestuale all’atto di liberalità indiretta”.

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