Assegno divorzile – Perché – come – quanto
“…io con te non ci sto più… ciao amore ciao…”
Ognuno per la sua strada… ma se c’era un vincolo matrimoniale non è sempre tutto così semplice e scontato.
Con la pronuncia di divorzio viene dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio ma i soggetti coinvolti mantengono e/o acquisiscono alcuni diritti pur avendo perso lo status di coniuge.
Tra questi quello che desta molte perplessità nell’uomo comune ed in parte della dottrina è il diritto dell’ex coniuge all’assegno divorzile.
Vediamo in breve la ratio e le modalità di determinazione dello stesso.
Un primo orientamento identificava il fondamento del diritto in parola nel principio di solidarietà tra coniugi (anche se ex), principio che regge il diritto all’assegno di mantenimento o agli alimenti in caso di separazione.
Tale impostazione è stata contestata da più parti, in quanto non sarebbe corretto assimilare i due tipi di contributi, anche in considerazione del fatto che con la separazione, diversamente dal divorzio, si instaura una situazione temporanea tra i coniugi, in cui il vincolo matrimoniale permane e da cui discende la predetta solidarietà. Invocare la sussistenza di tale obbligo anche in fase successiva sarebbe una forzatura, presumendo un’ingiustificata ultrattività del vincolo matrimoniale alla dichiarazione di divorzio.
Sul punto è intervenuta la giurisprudenza che, chiamata a rispondere della natura e della funzione dell’assegno divorzile, ha qualificato lo stesso come uno strumento per riequilibrare la situazione di stato di difficoltà dell’ex coniuge (intesa come inferiorità economica).
Presupposto indefettibile per la sussistenza del diritto è “l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente”. Il giudice chiamato a valutare la richiesta analizza la condizione del predetto soggetto rapportandola al tenore di vita goduto durante il matrimonio, o al tenore “che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto” (Cass. Civ. Sez. VI – ord. 2343/2016).
Tale affermazione è stata ribadita dalla Suprema Corte, con la recente sentenza 2224 del 30.01.17, nella quale viene altresì indicato il percorso che il giudice deve compiere al fine di individuare il tenore di vita di riferimento e così determinare e liquidare l’assegno spettante al coniuge richiedente.
Lo standard di vita da considerare è quello che emerge dal “complesso delle risorse reddituali e patrimoniali di cui ciascuno dei coniugi poteva disporre e di quelle da entrambi effettivamente destinate al soddisfacimento dei bisogni personali e familiari”.
Al fine di valutare quanto abbia inciso sulla situazione del singolo l’interruzione del vincolo matrimoniale occorre prendere in considerazione le potenzialità economiche dei coniugi, non solo quali “disponibilità attuali di beni ed introiti, ma anche come attitudini a procurarsene di grado ulteriore”.
Entrano poi nella valutazione complessiva tutti gli ulteriori apporti, anche personali, che hanno contribuito alla formazione del patrimonio comune e del singolo.
Appurata l’esistenza dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, il giudice procede alla determinazione dell’assegno, esaminando diversi elementi: la durata del matrimonio, i motivi dell’interruzione della relazione e, in ultimo, le effettive consistenze economiche di entrambi i coniugi.
La breve durata del vincolo non comporta l’automatica esclusione del diritto all’assegno; in una recente pronuncia ad esempio, di fronte al rigetto da parte dei giudici di merito della richiesta di assegno perché la durata del matrimonio era stata di soli 15 mesi, la Corte di Cassazione ha ribadito la sussistenza del diritto in considerazione del fatto che nel caso di specie, il rapporto era terminato a causa del comportamento infedele dell’altro coniuge, dalla cui relazione extraconiugale era altresì nato un figlio, incidendo in modo insanabile sulla prosecuzione del coniùgio.
Tale condotta, ha osservato la Corte, unitamente al rilevante reddito del coniuge fedigrafo, fa sorgere in favore del coniuge debole il riconoscimento all’assegno divorzile, stante il suo legittimo affidamento nel vincolo matrimoniale, nella potenzialità della sua prosecuzione e nell’acquisizione del superiore tenore di vita familiare.
Pertanto la lunghezza dei rapporti può incidere sul quantum del contributo ma non sull’an.
Da ultimo va ricordato che, in presenza di un certo tenore di vita ed in mancanza di riscontri concreti sulle effettive risorse economiche del coniuge tenuto alla corresponsione dell’assegno, il giudice deve disporre indagini tributarie per i necessari accertamenti patrimoniali.
La consistenza dell’assegno ovviamente può essere rivista in caso di variazione delle situazioni personali ed economiche degli ex coniugi, fino ad arrivare alla relativa revoca in caso di instaurazione di una nuova relazione coniugale da parte dell’ex avente diritto.
Avvocato civilista specializzato in contrattualistica commerciale, real estate, diritto di famiglia e delle successioni, diritto fallimentare, contenzioso civile e procedure espropriative.
Conseguita la laurea in Giurisprudenza, ha collaborato con la II cattedra di Storia del Diritto Italiano dell’ateneo federiciano, dedicandosi poi alla professione forense.
Ha esercitato prima a Napoli e poi nel foro di Milano, fornendo assistenza e consulenza a società e primari gruppi assicurativi/bancari italiani.
Attualmente è il responsabile dell’ufficio legale di un’azienda elvetica leader nella vendita di metalli preziosi, occupandosi della compliance, fornendo assistenza per la governance e garantendo supporto legale alle diverse aree aziendali.
Email: paola.minopoli@iusinitinere.it