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Attentato di Beslan del 2004: la CEDU condanna la Russia

Il 13 aprile 2017 la Corte Europea dei diritti dell’uomo (“CEDU”) ha condannato la Federazione Russa al risarcimento di 3 milioni di euro a favore dei parenti delle vittime civili che hanno perso la vita durante il famigerato attentato di Belsan nel 2004.
Ripercorriamo i fatti di quella terribile vicenda, prima di analizzare le motivazione che, in fatto e in diritto, hanno spinto la Corte a censurare il comportamento delle autorità russe.

Le tensioni nel 2004 fra russi e ceceni si erano concretizzate in una nuova serie di attentati da parte dei separatisti, che rivendicavano l’indipendenza della propria patria, di popolazione prevalentemente islamica, dalla Russia, a cui puntualmente erano seguiti interventi repressivi da parte del governo russo.
Il 1 settembre, 32 separatisti ceceni, appartenenti ad un gruppo di fondamentalisti islamici, sequestrarono circa 1200 persone che si trovavano nella “scuola numero uno” di Beslan, Ossezia del Nord, repubblica autonoma della regione del Caucaso.
La scuola era così affollata in quel giorno a causa del ricorrere del “giorno della conoscenza”, nel quale, in Russia, si celebra l’apertura dell’anno scolastico.
Gli ostaggi, per lo più minori, erano stati ammassati nella palestra dell’istituto, che era stato, secondo le ricostruzioni, minato dai terroristi, nel tentativo di impedire l’accesso alle forze militari russe.
Poche ore dopo il sequestro, iniziarono le trattative, condotte attraverso biglietti di carta, e che vedevano i terroristi chiedere il ritiro immediato dell’esercito russo dal territorio ceceno e il riconoscimento ufficiale da parte del presidente Putin dell’indipendenza della Cecenia.
Il 2 settembre, le trattative erano, ormai, arenate.
Nessuna parte sembrava disposta a concedere alcunché all’altra e le principali vittime di questa situazione erano gli ostaggi che videro irrigidirsi le condizioni della loro prigionia, con privazione di acqua, cibo e medicine.
Il 3 settembre, alle ore 13:04, iniziò l’inferno.
I separatisti ceceni permisero l’ingresso a 4 medici, dopo lunghe trattative, ma, improvvisamente, vi furono delle esplosioni seguite da un conflitto a fuoco e dall’irruzione delle forze speciali russe.
Non vi è concordia fra indagini e ricostruzioni sull’origine del conflitto a fuoco: secondo il governo e la commissione parlamentare d’inchiesta “Torsin” il conflitto si accese a causa dei terroristi, mentre secondo membri dissidenti della stessa vi sarebbero state prove, non tenute in conto dalle inchieste ufficiali, per cui lo stesso andava ascritto, al contrario, alle forze russe.
L’unica certezza fu la morte di 300 persone, principalmente bambini, e il ferimento di circa 700 ostaggi, a causa della guerra che si scatenò all’interno della scuola, con esplosioni e uso di armi pesanti da parte delle forze speciali russe.

La vicenda innescò numerose inchieste e procedimenti giudiziari nazionali che sfociarono in molteplici sconfitte per i parenti delle vittime che chiedevano, invano, un risarcimento alle autorità, a loro avviso dovuto per le gravi negligenze del governo russo nella gestione delle operazioni di salvataggio.
Nel 2007 i parenti delle vittime adirono la Corte EDU, lamentando una violazione della convenzione europea dei diritti dell’uomo (“CEDU”) dovuta: all’inadeguatezza e all’inefficienza delle misure preventive anti-terrorismo, della pianificazione e del controllo delle operazioni di salvataggio; all’uso sproporzionato ed indiscriminato di armi letali; alle numerose contraddizioni presenti nelle indagini che, in particolare, non erano riuscite a dissipare i dubbi relativi alla giustificazione dell’uso di quel tipo di armi.
In particolare, tali comportamenti si sarebbero risolti, per le parti, in una violazione dell’art.2 della CEDU (“Diritto alla vita”), in cui le stesse rinvenivano un’obbligazione positiva, a carico degli stati nazionali, non solo di proteggere la vita degli individui, ma anche di indagare in maniera adeguata sulla morte degli stessi, in particolare in situazioni controverse.
Secondo la parte attrice, queste violazioni sarebbe confermate dalle numerose prove prodotte in giudizio, fra cui la mancanza di misure preventive speciali per la scuola, nonostante l’alto rischio di pericolo dovuto ai precedenti attentati e all’apertura dell’anno scolastico.

La corte inizia, quindi, a ragionare sulla fondatezza della domanda di parte.
Dopo aver riconosciuto la gravità del terrorismo in Russia, i giudici affermano la competenza della Convenzione a regolare anche queste situazioni, per l’inderogabilità dei diritti umani anche nelle operazioni anti-terrorismo.
Riguardo all’obbligazione positiva ex art.2 di prevenire i rischi alla vita apportati dagli atti criminali, la Corte conferma, seguendo giurisprudenza costante, l’esistenza di tale obbligo per gli stati firmatari della CEDU.
L’art.2, di conseguenza, sarebbe violato nel caso in cui le autorità conoscevano, o avrebbero dovuto conoscere secondo ordinaria diligenza, l’esistenza di rischi immediati alla vita della popolazione.
Nel caso concreto, secondo i giudici, informazioni sufficienti sarebbero state a disposizione del governo russo e ne consegue, quindi, la violazione dell’art.2 CEDU.
Riguardo all’obbligo procedurale di indagare ex art.2, la Corte, oltre a confermarne l’esistenza, afferma che una violazione dello stesso vi sarebbe in caso di mancanza di un’indagine ufficiale “effettiva” quando vi sono morti provocati dall’uso della forza da parte delle autorità.
I requisiti di un’indagine “effettiva”, sono dalla Corte rinvenuti: nell’indipendenza dagli organi implicati nell’evento; nell’occuparsi della giustificazione o meno dell’uso della forza; in conclusioni ragionevoli, obiettive ed imparziale sugli elementi più rilevanti; nell’accessibilità alla stessa da parte dei soggetti coinvolti dalla vicenda; nella ragionevolmente spedita chiusura.
Nel caso concreto, secondo i giudici, le indagini non sarebbero state effettive, a causa del non aver chiarito le motivazioni dell’uso di armi pesanti nella particolare circostanza.
Ulteriore violazione all’art.2 risulterebbe per la conduzione delle operazioni, visto che l’uso della forza sarebbe stato in astratto giustificato dalle cause di esclusione ex art.2 co.2 CEDU, ma che, nel concreto, sarebbe stato irragionevole e indiscriminato.
I giudici rigettano, infine, la violazione dell’art.13 CEDU (“Diritto al ricorso effettivo”), prospettato dalle parti, perché l’accesso alle procedure giudiziarie è stato sufficientemente garantito, come risulta dai numerosi ricorsi presentati dalla parte attrice ai giudici nazionali.
A conclusione del suo ragionamento, vista la violazione dell’art.2 CEDU e le prescrizioni degli artt.41 (“Equa soddisfazione della parte lesa”) e 46 (“Forza vincolante della sentenza CEDU”), la corte EDU condanna la Russia al risarcimento nei confronti dei parenti delle vittime.

La vicenda, però, non può dirsi per niente conclusa, a causa dell’attuale scontro fra corte EDU e Federazione Russa.
Nel 2015 il Parlamento Russo ha approvato una legge che permette all’esecutivo federale di sottoporre le decisioni della Corte EDU alla Corte Costituzionale russa, che ha, di conseguenza, il compito di chiarire se l’esecuzione di una sentenza internazionale possa essere ritenuta contraria a Costituzione e, nel caso, bloccarla.
L’orientamento giurisprudenziale che ha dato supporto teorico alla legge richiama espressamente, secondo molti autori impropriamente, la teoria dei controlimiti della giurisprudenza costituzionale italiana, volta a limitare l’ingresso nell’ordinamento di norme internazionali in evidente contrasto con i principi fondamentali della Costituzione.
Visti gli indennizzi miliardari a cui la Russia era stata condannata dalla Corte EDU, a seguito di reiterate violazioni della Convenzione, alla maggior parte dei commentatori sembra che, nel caso, la teoria dei controlimiti sia utilizzata più come espediente per giustificare i mancati risarcimenti, piuttosto che per una difesa genuina e sana dei principi inviolabili della Costituzione.

Simone D'Andrea

Studente di Giurisprudenza, classe 1994, tesista in Diritto del Mercato Finanziario, collaboratore area di Diritto Internazionale

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