martedì, Aprile 23, 2024
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Autorità antitrust e concorrenza: il caso Avastin-Lucentis

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) è un’autorità amministrativa e indipendente che svolge la sua attività e prende decisioni in piena autonomia rispetto al potere esecutivo. È stata istituita con la legge n. 287 del 10 ottobre 1990, recante Norme per la tutela della concorrenza e del mercato”[1]La nascita dell’autorità antitrust si colloca in un periodo storico particolare, in quanto, dall’inizio degli anni ’90, in Italia cominciano a verificarsi le prime privatizzazioni degli enti pubblici economici dello Stato.

La creazione di un’autorità simile venne, quindi, accolta da sentimenti contrastanti: da una parte, la nascita di un nuovo soggetto che tutelasse i settori economici, la concorrenza e i consumatori, fu recepito con simpatia; dall’altra parte, si costituì un fronte molto importante di imprese che percepivano con scetticismo questa sorta di controllo pubblico, quindi un qualcosa che avrebbero potuto accettare solo gradualmente.

“L’Autorità è organo collegiale e le sue decisioni vengono assunte a maggioranza. Il Presidente e i componenti dell’Autorità sono nominati dai Presidenti di Camera e Senato e durano in carica 7 anni, non rinnovabili”.

Il collegio originario era composto da 5 membri: un presidente e 4 membri. In applicazione dell’articolo 23, comma 1, lettera d, del D.L. 6 dicembre 2011, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nell’ambito di un più ampio programma di “spending review” messo in atto dal Governo Monti, ha portato all’attuale composizione dove troviamo un collegio di 3 membri: il presidente e 2 componenti.

Competenza originaria era solo in materia di concorrenza. A questa, con il tempo, il legislatore ha voluto accompagnare ulteriori funzioni, denominati “strumenti di advocacy”, previsti dall’art. 21 bis, legge 287/90) a garanzia del «funzionamento corretto ed equilibrato del diritto di libertà economica» (CdS sent. n.2479/2015): funzioni consultive, previste dalla legge originaria solo per un ristretto numero di casi, con la possibilità di inviare segnalazioni indirizzate al governo e al parlamento; una recente modifica normativa (introdotta dal d.l. n. 201/2011 “Salva Italia”) ha attribuito all’antitrust il potere di agire in giudizio contro gli atti amministrativi della pubblica amministrazione e impugnarne le delibere che violano le norme a tutela della concorrenza e non si conformino al parere reso precedentemente dall’autorità antitrust; un sistema in cui regioni, province e comuni hanno la facoltà di chiedere un parere all’antitrust (introdotto con il D.L. 24 gennaio 2012, legge 24 marzo 2012, n. 27), e una volta recepito, possono conformarsi o meno. Se non si conformano, tuttavia, l’autorità antitrust può agire in giudizio davanti al TAR. Viene, inoltre, consentita la diretta applicabilità delle norme prodotte dal diritto comunitario.

Uno dei punti centrali di queste autorità è che presentano le caratteristiche di terzietà, indipendenza e autonomia. Di conseguenza, si pone il problema del “chi controlla i controllori”, chi è che vigila sulle autorità di settore? Esiste un controllo parlamentare, attraverso la valutazione della politica, che si sostanzia nella presentazione della relazione annuale al Parlamento.

La relazione annuale è un testo completo di tutta l’attività svolta, di cui il presidente dà lettura nelle aule parlamentari degli elementi principali.

È possibile consultare il testo integrale della relazione annuale dell’autorità da quando è stata istituita ad oggi, le singole tematiche come la concorrenza e tutela del consumatore o, addirittura, cercare qualsiasi decisione, poiché le decisioni dell’autorità sono pubbliche e disponibili su internet. L’autorità ha da sempre effettuato le sue pubblicazioni su un bollettino cartaceo, ora disponibile anche online.

Dal 1992 alle competenze originarie dell’antitrust, si sono accompagnate via via crescendo delle competenze che oggi diremmo a tutela del consumatore ma che all’inizio erano di pubblicità.

Che poteri ha l’autorità antitrust?

Una volta avviato il procedimento istruttorio, l’autorità acquisisce una serie di poteri, al termine del quale può ordinare di far cessare un’infrazione della concorrenza, dettando un vero e proprio ordine a cui le parti devono attenersi (art.15 Legge 287/90, modificato dalla legge 57/2001 e dal decreto-legge 223/2006, convertito dalla legge 248/2006).

Può erogare, al termine dei procedimenti istruttori, delle sanzioni pecuniarie che, in alcuni casi, possono raggiungere decine di milioni di euro. Il limite stabilito dall’articolo 15 della legge 287/90 è fino al 10% del fatturato totale dell’impresa.

Contro le decisioni dell’AGCM, le imprese possono appellarsi al Consiglio di Stato.

Alle sanzioni si accompagno anche delle prescrizioni, che hanno lo scopo di dettare il comportamento da tenere a seguito della sanzione erogata.

L’autorità non ha l’obbligo di aprire un procedimento istruttorio e di concluderlo accertando un’infrazione per poi erogare una sanzione. Il suo compito è di attuare un accertamento amministrativo, in cui l’infrazione può essere accertata o meno.

Può verificarsi anche una situazione intermedia, in cui l’infrazione è presente, le prove e le evidenze sono consistenti, però si ha un interesse a intervenire direttamente, facendo un intervento di moral suasion, che più concretamente vuol dire l’accettazione di particolari impegni da parte della società incriminata. L’accettazione impegni (articolo 14 ter, legge 287/90, inserito dall’articolo 14, comma 1, del decreto-legge 223/2006 convertito, con modifiche, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248) conclude la vita del procedimento.

Sono state mosse molte critiche verso questa modalità di agire dell’autorità, ma molto spesso l’accettazione impegni è l’unica soluzione per uscire da casi particolarmente complessi, dove l’evidenza della condotta scorretta è presente, ma ci sono anche delle prove non sempre a favore dell’ipotesi dell’accertamento,  per cui a volte le imprese offrono impegni molto rilevanti a vantaggio dei concorrenti e dei consumatori, quindi ci può essere un forte interesse di chiudere il contenzioso con l’accettazione impegni.

In ultimo, è prevista la possibilità per l’autorità, nei casi di particolare urgenza dovuta al rischio del verificarsi di un danno grave e irreparabile alla concorrenza (articolo 14 bis, legge 287/90, inserito dall’articolo 14, comma 1, del decreto-legge 223/2006 convertito, con modifiche, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), di adottare misure cautelari nell’attesa che venga completata l’istruttoria.

 

Analizziamo un che rappresenta un perfetto esempio di intesa orizzontale (il cosiddetto “cartello”) a danno del mercato, dei consumatori e dello Stato italiano, tra due grandi società in apparente concorrenza tra di loro: Novartis e Roche.

Il 15 luglio 2019 il Consiglio di Stato si è pronunciato in merito al ricorso presentato dalla società Novartis, contro l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, mettendo il punto definitivo sul più che decennale caso Avastin-Lucentis, con la sentenza[2]emessa dalla III Sez. del Consiglio.

La vicenda rappresenta un caso esemplare di violazione del diritto in materia di tutela della concorrenza, sul quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è prontamente intervenuta.

I fatti possono essere di seguito così riassunti.

Nel 2004 i ricercatori della Genentech scoprono una molecola efficace contro le cellule tumorali e così la Roche ottenne da quest’ultima una licenza per lo sviluppo e la commercializzazione di un farmaco oncologico, l’Avastin, basato proprio su tale principio attivo.

Successivamente, venne scoperto che le stesse molecole risultano efficaci anche per il trattamento della cosiddetta forma “umida” della degenerazione maculare correlata all’età.

La Roche non chiese l’autorizzazione alle agenzie governative per estendere l’utilizzo del proprio farmaco anche per questa nuova indicazione, fu così che la Novartis si accordò con la Genentech per lo sviluppo e la commercializzazione di un altro farmaco, il Lucentis, basato essenzialmente sulla medesima molecola dell’Avastin, ma per un’indicazione terapeutica completamente diversa, ossia la maculopatia.

Di particolare rilevanza ai fini dell’intera vicenda è il fatto che, a fronte di un principio attivo sostanzialmente equivalente, una dose di Avastin ha un prezzo che oscilla tra i 15 e gli 80 euro, contro gli oltre 900 euro necessari per il Lucentis (in precedenza il costo superava addirittura i 1700 euro).

L’Avastin fu approvato nel 2005 dalla Commissione Europea per il trattamento di diversi tipi di tumori, il Lucentis nel 2007 per le maculopatie.

Nel maggio 2007, sentito il parere della Commissione Tecnico Scientifica dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), l’Avastin viene inserito nella Lista 648, ossia dei farmaci rimborsabili dal SSN (Servizio Sanitario Nazionale), anche con una indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata, mentre al Lucentis venne riconosciuta la fascia “C”, ossia tra i farmaci non rimborsabili.

A seguito del ricorso della Novartis, la Commissione riesaminò la situazione, prevedendo il rimborso anche per il Lucentis.

Nel 2009, a causa delle segnalazioni dei numerosi effetti collaterali connessi all’utilizzo dell’Avastin, la Commissione Tecnico Scientifica ne deliberò l’esclusione dalla lista dei medicinali per la cura della degenerazione maculare legata all’età, in ragione del rimborso di Lucentis e Macugen, quest’ultimo aggiuntosi ai due per la cura della maculopatia.

I due farmaci furono così messi sotto la lente di ingrandimento dal National Eye Institute, negli Stati Uniti, e il 28 aprile 2011 furono pubblicati i risultati della comparazione[3]dei due farmaci (Avastin e Lucentis) per quanto riguarda il trattamento della maculopatia degenerativa correlata all’età. I quattro gruppi di studio in cui venne suddiviso il campione, ad un anno dall’applicazione dei due farmaci, portarono alla conclusione che i due farmaci erano perfettamente equivalenti clinicamente (intervallo di confidenza del 99,2%), sia quando essi venivano somministrati mensilmente, sia quando venivano somministrati in base alla necessità.

Tuttavia, nel 2012 perviene un’ordinanza del TAR Lazio del 18 aprile 2012, n. 1389, che portò a restrizioni ancora maggiori per l’uso dell’Avastin, che risultava ormai ammesso nella Lista 648 per un numero residuale di patologie.

Fu così che l’AGCM, a conclusione dell’istruttoria avviata nel 2013 dopo diverse segnalazioni ricevute da cliniche private, Aiudapds e la Società Oftalmologica Italiana, “nella riunione del 27 febbraio 2014, ha deliberato che i gruppi Roche e Novartis hanno posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza, contraria al diritto antitrust comunitario[4], nel mercato dei farmaci per la cura di gravi patologie vascolari della vista, sanzionando i due gruppi con oltre 180 milioni di euro”[5].

In particolare, dalla documentazione acquisita, “è emerso che le capogruppo Roche e Novartis, anche attraverso le filiali italiane, hanno concertato sin dal 2011 per operare una differenziazione artificiosa tra i due farmaci Avastin e Lucentis, presentando il primo come più pericoloso del secondo e condizionando così le scelte di medici e servizi sanitari”.

Quindi, in conclusione, a seguito dell’attività svolta dall’antitrust, è stato provato che i due gruppi hanno applicato un’intesa cosiddetta “orizzontale” al fine di contrastare la diffusione dell’utilizzo di un farmaco molto economico (l’Avastin, prodotto dalla Roche) a vantaggio di un secondo farmaco molto più costoso (il Lucentis, prodotto dalla Novartis), applicando una differenziazione artificiosa tra i prezzi dei due prodotti, in maniera tale da mantenere un differenziale di 10 a 1.

I medici, pur coscienti del fatto che il principio attivo presente su entrambi i prodotti fosse il medesimo, erano fortemente condizionati dalle pesanti avvertenze, controindicazioni e dal marketing particolarmente spinto messo in atto dalle società, generando in essi timori sulla sicurezza dell’Avastin per utilizzi diversi da quelli indicati.

La condotta operata da entrambi i gruppi trova spiegazione nei complessi rapporti economici esistenti tra la Roche, la Novartis e la Genentech, la società specializzata in biotecnologie che ha sviluppato entrambi i farmaci.

Dagli anni ’90 la Roche possiede l’azionariato di maggioranza della Genentech, fino al 26 marzo 2009, quando ottiene il controllo totale della società. La Novartis, invece, nel maggio 2001 acquisisce il 20% della Roche, per poi arrivare ad un terzo del capitale sociale nel 2003.

Riassumendo, la Novartis possiede il 33% della Roche e quest’ultima possiede il 100% della Genentech, la quale riceveva le imponenti quote di royalties pagate dalla Novartis per la vendita del suo farmaco più costoso, il Lucentis.

Da ciò, si evince chiaramente come le tre società avevano tutto l’interesse a spingere le vendite del farmaco più economicamente gravoso per le casse dello Stato italiano, lucrando a spese dei suoi contribuenti.

Per il Sistema Sanitario Nazionale l’intesa ha comportato un esborso aggiuntivo stimato in oltre 45 milioni di euro nel solo 2012, con possibili maggiori costi futuri fino a oltre 600 milioni di euro l’anno. A Novartis e Roche sono state imposte sanzioni rispettivamente di 92 e 90,5 milioni di euro”.

 

 

Image credit: Wanjiku Mathenge. Published in: Community Eye Health Journal Vol. 27 No. 87 2014 www.cehjournal.org

[1]https://www.agcm.it/chi-siamo/

[2]https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza?nodeRef=&schema=cds&nrg=201603308&nomeFile=201904967_11.html&subDir=Provvedimenti

[3]https://www.sedesoi.com/pdf/All01luc.pdf

[4]https://www.iusinitinere.it/il-diritto-antitrust-tra-stati-uniti-e-unione-europea-19829

[5]https://www.agcm.it/media/comunicati-stampa/2014/3/alias-6801

Matteo Capasso

Matteo Capasso nasce a Roma nel 1995. Consegue la maturità tecnica industriale in elettronica e telecomunicazioni nel 2014. Si laurea in Scienze Economiche nel 2017 presso la facoltà di economia dell’Università "La Sapienza" di Roma. Nello stesso anno inizia il corso di laurea magistrale in FINASS (Finanza e Assicurazioni), specializzandosi nel comparto assicurativo. Da settembre 2020 lavora presso Mediocredito Centrale, occupandosi dell'istruttoria delle domande di garanzia pervenute presso il Fondo di Garanzia per le PMI.

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