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Beni confiscati e terzo settore: il bando sperimentale per l’assegnazione diretta

Sommario: 1. Il crescente ruolo del terzo settore da dimensione sociologica a sistema giuridico –– 2. La gestione dei beni confiscati alle mafie – 2.1 (segue): il bando sperimentale per l’assegnazione diretta – 3. Considerazioni conclusive.

  1. Il crescente ruolo del terzo settore da dimensione sociologica a sistema giuridico 

Il termine “terzo settore”, in origine, veniva ricondotto ad una dimensione prettamente sociologica, a metà strada tra interventi dello Stato-apparato e logiche di mercato delle imprese.[1] Si tratta di un neologismo, frutto dell’incontro tra due diversi filoni di pensiero: la matrice nord-americana dello «State of market failure» e quella europea delle «comunità intermedie».[2] Mentre la prima si riferisce ad una allocazione inefficiente di beni e servizi nel libero mercato, la seconda fa riferimento all’ambito di garanzia e di effettivo esercizio dei diritti essenziali della persona, nell’ottica della comunità quale “necessario e insostituibile” luogo di sviluppo dell’uomo in tutte le sue dimensioni, sia pubbliche sia private.[3]

La locuzione, dunque, nasce da una descrizione sociologica che la colloca nella via intermedia tra il c.d. primo e il c.d. secondo settore, date sia le finalità proprie dello Stato (si pensi allo svolgimento di attività socialmente rilevanti, come l’assistenza e la cura del tempo libero), sia le caratteristiche proprie delle imprese (organizzazione, sostenibilità economica)[4].

All’alba degli anni 2000, si registra un notevole incremento di queste organizzazioni, tale da accelerare – in un certo qual modo – il processo di riconoscimento del c.d. terzo settore nelle fonti del diritto. Bisogna attendere il D.P.C.M. 30 marzo 2001 perché si abbia una nozione univoca di “terzo settore”. Al fine di dare attuazione alla disposizione prevista nella legge-quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, l’art. 2 del presente D.P.C.M. stabilisce che «si considerano soggetti del terzo settore: le organizzazioni di volontariato, le associazioni e gli enti di promozione sociale, gli organismi della cooperazione, le cooperative sociali, le fondazioni, gli enti di patronato, altri soggetti privati non a scopo di lucro».

È così che si passa, progressivamente, da una dimensione prettamente sociologica ad un sistema giuridico, d’altronde in costante crescita.

In attuazione della legge-delega n. 106 del 2016, all’interno di un più ampio contesto di riforma, viene emanato il d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, c.d. codice del terzo settore (integrato dal d.lgs. n. 105 del 2018), nell’ottica di realizzazione di un progetto di innovazione sociale volto, oltre che a fissarne limiti e paletti, a dare impulso alla crescita di un settore “radicato nelle comunità e capace di affrontare sfide ambiziose”[5]. Quella contenuta nel d.lgs. n. 117 è una disciplina generale per tutti gli enti del terzo settore, ma speciale rispetto a quella del Codice civile che continua ad applicarsi in via residuale. Analogamente alla tecnica utilizzata nella stesura del d.lgs. n. 175 del 2016, c.d. Testo Unico delle Società Pubbliche, viene dettata una disciplina talvolta derogatoria[6] rispetto al diritto comune, talaltra semplicemente aggiuntiva rispetto alle “ordinarie” regole civilistiche. Cioè, per quanto non previsto dal d.lgs. n. 117, agli enti del terzo settore si applicano, in quanto compatibili, le norme del Codice civile e le relative disposizioni di attuazione.

L’individuazione del sistema giuridico del terzo settore costituisce la premessa necessaria per comprendere il crescente ruolo che tali enti hanno nella gestione dei beni confiscati alle mafie, soprattutto alla luce del nuovo bando per l’assegnazione diretta.

  1. La gestione dei beni confiscati alle mafie

La natura degli enti del terzo settore li rende facilmente adattabili alle più varie esigenze sociali. Secondo i dati ISTAT 2019[7], cultura, sport e ricreazione sono gli ambiti di attività che vedono coinvolti il più alto numero di addetti del non-profit, seguiti da assistenza sociale e protezione civile. Anche nella situazione emergenziale causata dalla pandemia da Covid-19, tali enti hanno fornito servizi indispensabili ed essenziali confermando la loro centrale funzione all’interno delle diverse comunità.

Altrettanto fondamentale è il ruolo che il terzo settore assume nella gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, a partire dalla legge 7 marzo 1996, n. 109 che, recando disposizioni in materia di gestione e destinazione di beni sequestrati o confiscati, prevede per la prima volta nel nostro ordinamento il riutilizzo sociale di tali beni.

Tuttavia, prima che si arrivi alla destinazione per fini istituzionali o sociali e soprattutto prima che intervenga una realtà del terzo settore, il bene (mobile, immobile o azienda) è oggetto di un procedimento piuttosto lungo e complesso, che ha inizio con il sequestro preventivo dei beni che appartengono al proposto. Nel caso in cui venga confermata l’accusa in sede penale – ma prescindendo da una futura condanna – verrà pronunciata la confisca di primo grado, seguita eventualmente dalla confisca di secondo grado e in ultimo, sempre eventualmente e purché ne ricorrano i presupposti, la confisca definitiva con sentenza della Corte di cassazione.

Nell’ottica di un “utilizzo virtuoso[8] dei beni confiscati, l’art. 48, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011, c.d. codice antimafia, prevede che i beni confiscati siano in via alternativa mantenuti al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia e di ordine pubblico (ed è questa la prima valutazione da effettuare)[9], ovvero trasferiti per finalità istituzionali o sociali al patrimonio del comune, della provincia, della città metropolitana o della regione ove l’immobile è sito.

L’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (da ora, ANBSC), all’esito di un momento di consultazione attraverso un comitato di indirizzo, può destinare il bene, con decreto di destinazione, all’ente locale che ne faccia manifestazione d’interesse. Soltanto laddove il bene sia acquisito al patrimonio dell’ente locale, quest’ultimo potrà scegliere se impiegarlo per fini istituzionali o per fini sociali, assegnandolo con bando di gara ad una realtà del terzo settore. È a tal punto che l’ente del terzo settore, che sia associazione, organizzazione di volontariato o cooperativa sociale, ne diventa assegnatario con un contratto di comodato d’uso, generalmente gratuito.

L’elevato numero di tali enti che gestiscono beni confiscati alle mafie è il sintomo di una (relativamente) nuova esigenza delle comunità locali, che richiedono sempre maggiori spazi di condivisione della vita collettiva. Dalla Regione Siciliana alla Regione Lombardia, passando per tutte le altre regioni italiane, le esperienze sono le più varie e sono tutte virtuose. Tuttavia, come molte e diverse sono le buone pratiche, così molti sono anche i limiti che gli enti incontrano in sede applicativa: “ritardi, intoppi burocratici, disattenzioni istituzionali, ma anche paura dei territori”[10] hanno spesso rallentato o bloccato l’uso dei beni confiscati. E non è certamente una novità degli ultimi anni.

Da qui la necessità di un vero e proprio snellimento procedurale, che evita la mediazione degli enti di governo territoriali: l’assegnazione diretta ai soggetti del terzo settore.

2.1 (segue): il bando sperimentale per l’assegnazione diretta

Al fine di semplificare il riutilizzo dei beni confiscati da parte del terzo settore, nel 2017 il legislatore è intervenuto su un duplice versante: da un lato, all’art. 81 del d.lgs. n. 117 ha introdotto il c.d. social bonus[11], dall’altro, la legge n. 161, di riforma al codice antimafia, ha previsto il potere in capo all’ANBSC di affidare i beni confiscati direttamente agli enti del terzo settore.

In realtà, la possibilità di usufruire del social bonus è subordinata ad un decreto del Ministro delle Politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’interno, il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo.

Più di recente, il 26 maggio 2020, il Consiglio direttivo dell’ANBSC ha approvato i criteri redatti per il primo bando nazionale per l’assegnazione diretta di (tremila) beni immobili agli enti del terzo settore.

Così, si intende (finalmente) dare attuazione alla lettera c-bis) dell’art. 48, comma 3, del codice antimafia che, introdotta dall’art. 18 della legge n. 161 del 2017, prevede che tali beni siano «assegnati, a titolo gratuito, direttamente dall’Agenzia agli enti o alle associazioni indicati alla lettera c), in deroga a quanto previsto dall’articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (c.d. legge finanziaria 2010), sulla base di apposita convenzione nel rispetto dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità e parità di trattamento, ove risulti evidente la loro destinazione sociale secondo criteri stabiliti dal Consiglio direttivo dell’Agenzia».

In realtà, non si tratta di tremila unità immobiliari, ma di particelle catastali riguardanti quei beni immobili (previamente individuati) che gli enti locali, per varie ragioni (legate alle condizioni dell’immobile, ad esempio), non hanno accettato in Conferenza di servizi.

Dunque, il bando intende aprire alla partecipazione di tutti gli enti del terzo settore che vorranno portare all’attenzione dell’Agenzia i loro progetti per la riabilitazione e la ri-funzionalizzazione di tali beni.[12] In ogni caso, sono state individuate cinque macro-aree tematiche entro cui far gravitare il proprio progetto: area sociale (si pensi a educazione, istruzione e lotta alla dispersione scolastica); salute e prevenzione (anche counselling psicologico); occupazione e ricerca (long life learning); cultura (comprende anche interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio); area sicurezza e legalità (che investe anche la protezione civile).[13]

Oltre alla compatibilità di contenuto, quale presupposto essenziale del progetto, è requisito indispensabile anche l’idoneità del progetto a generare, in termini di out-put e out-come, valore aggiunto per la comunità di riferimento. Tuttavia, non basta il “merito tecnico” del progetto (che in base ai dati riportati occupa l’80% della “torta” di valutazione), ma occorre anche che sia sostenibile sul piano economico-finanziario (il restante 20%).[14] Inoltre, si prevede che a parità di punteggio conseguito venga data priorità a quell’ente del terzo settore che, insieme alla proposta progettuale, produca una dichiarazione di intenti da parte di una delle Amministrazioni di cui all’art. 48, comma 3, del codice antimafia, che “attesti la condivisione del progetto e la volontà di acquisire la proprietà del bene al proprio patrimonio indisponibile”.[15]

Una vera e propria “svolta”, dettata dall’esigenza di valorizzare la capacità propositiva dei soggetti appartenenti al terzo settore, in un’ottica di solidarietà che, insieme alla sussidiarietà, è tra i valori ispiratori della normativa sui beni confiscati alle mafie.[16] D’altronde, lo stesso codice del terzo settore precisa (fin dall’art. 1) che il fine della riforma è di sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune favorendo la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona. Ciò, proprio in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, comma 4, della Costituzione: il pluralismo come valore – si legge in letteratura[17] – si declina in nuovi e molteplici aspetti, che si inquadrano nella cornice costituzionale e possono armonizzarsi con i principi previsti dai costituenti. Anche perché si tratta comunque di formazioni sociali ex art. 2 Cost. che, da un lato, consentono di realizzare la persona e di espletare i diritti fondamentali, dall’altro, di assolvere ai doveri inderogabili di solidarietà sociale.

  1. Considerazioni conclusive

Complessità del procedimento di assegnazione e destinazione, concreta mancanza di risorse umane ed economiche, sono i problemi[18] principali che affliggono la “vita dopo la confisca”, e che associazioni, fondazioni e cooperative contribuiscono a superare fornendo un vero e proprio ausilio agli enti locali. Anche per questo, non mancano giuristi, studiosi[19] e amministratori locali[20] che, nel sottolineare l’importanza delle esperienze in campo, stanno ponendo sempre più in evidenza le carenze e i vuoti dell’attuale sistema che – per quanto basato su una normativa unica e storicamente rilevante – non appare (più) del tutto adatto ai nuovi contesti, che necessitano a monte di pianificazione e programmazione. Non resta che attendere la reazione del terzo settore al nuovo bando ANBSC.

[1]              Cfr. M.A. QUIROZ VITALE, S. RICCI, (a cura di), Il Terzo settore tra continuità e riforma. Teorie, diritti, pratiche e strumenti per affrontare il cambiamento, Maggioli Editore, 2017, pag. 3

[2]              Cfr. G. TIBERI, La dimensione costituzionale del terzo settore, in Astrid, 2009.

[3]              Sul punto, ampiamente M. ROSBOCH, (a cura di), Le comunità intermedie e l’avventura costituzionale. Un percorso storico-istituzionale, e-book, Heritage, 2017, pagg. 16 e 21.

[4]              Cfr. A. PROPERSI, Lo svolgimento di funzioni pubbliche da parte degli enti non-profit, Maggioli Editore, si veda pag. 15; in realtà, la denominazione “terzo settore” deriva dal Rapporto Delors “Un progetto per l’Europa” redatto nel 1978 in sede comunitaria e fin dagli anni ’80 il nostro legislatore inizia a prevedere particolari norme promozionali volte alla valorizzazione di tali attività con incentivi pubblici, norme fiscali di favore e norme di coordinamento tra enti non lucrativi ed enti pubblici: in particolare, gli Autori ricordano la legge-quadro sul volontariato, l. n. 266 del 1991, la disciplina delle associazioni di promozione sociale, l. n. 383 del 2000, e la disciplina delle cooperative sociali, l. n. 381 del 1991.

[5]              Così, il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Giuliano Poletti, in lavoro.gov.it.

[6]              Sul punto ampiamente, B.G. MATTARELLA, Burocrazia e riforme. L’innovazione nella pubblica amministrazione, Il Mulino, Bologna, 2017.

[7]              Cfr. V. MELIS, Il non profit in crescita cerca servizi specializzati, in Il Sole 24 Ore, 1 novembre 2019.

[8]              Corte costituzionale, sentenza 15 febbraio 2012, n. 34.

[9]              Cfr. S. PELLEGRINI, op.cit., pag. 22.

[10]            T. MIRA, A. TURRISI, op.cit., si veda pag. 115.

[11]            Il social bonus non è altro che un credito d’imposta per erogazioni liberali in denaro effettuate da persone fisiche (ovvero da soggetti IRES) in favore degli enti del terzo settore (non commerciali) che hanno presentato al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali un progetto per sostenere il recupero degli immobili pubblici inutilizzati e dei beni mobili e immobili confiscati alla criminalità organizzata, cfr. parere Cons. St., comm. spec., 14 giugno 2017, n. 1405.

[12]            Cfr. www.benisequestraticonfiscati.it, sito ufficiale ANBSC, 27 maggio 2020.

[13]            Cfr. www.interno.gov.it, 3 giugno 2020.

[14]            Cfr. Ibidem.

[15]            Si veda www.opencoesione.gov.it; va detto che la legge di bilancio 2020 ha previsto, per il triennio 2020-2022, un supporto economico fino ad un massimo di 50 mila euro per alcune delle realtà del terzo settore che, nel rispetto dei requisiti richiesti, realizzino il progetto con cui hanno vinto il bando.

[16]            Cfr. www.interno.gov.it, 3 giugno 2020.

[17]            Cfr. M.A. QUIROZ VITALE, S. RICCI, (a cura di), op.cit., cit. pag. 26.

[18]            Tra gli altri, si veda S. PELLEGRINI, La vita dopo la confisca. Il riutilizzo dei beni sottratti alla mafia, Aracne editrice, Roma, 2017, pag. 25.

[19]            Tra gli altri, S. PELLEGRINI, op.cit.; T. MIRA, A. TURRISI, op.cit..

[20]            Tra gli altri, anche il Sindaco di Alcamo (TP) Domenico Surdi, in un’intervista informale condotta dallo scrivente nel mese di maggio 2020.

Carlo Pezzullo

È dottorando di ricerca in Diritto amministrativo nell'Università di Napoli Federico II, Dipartimento di Scienze sociali. È stato borsista dell’Associazione Nazionale dei funzionari dell’Amministrazione civile dell’Interno (Anfaci), in collaborazione con il Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche ‘Vittorio Bachelet’ della Luiss Guido Carli di Roma. Presso la School of Government del medesimo ateneo ha conseguito il Master di II livello in Amministrazione e governo del territorio.

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