venerdì, Aprile 19, 2024
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I beni futuri ed i beni altrui possono essere donati?

L’intento del donante di arricchire con l’atto di liberalità il donatario può concretizzarsi sostanzialmente in tre modi: 1) con il trasferimento o la costituzione di un diritto in capo al donatario 2) con la liberazione del donatario da un’obbligazione 3) con l’assunzione da parte del donante di un’obbligazione che rende il donatario creditore del donante.

Ma in relazione ai beni futuri o ai beni altrui: se ne può disporre? in che modo?

A norma dell’art. 1348 c.c. (rubricato “cose future”) nei contratti può essere dedotta la prestazione di cose future, salvo divieti particolari previsti ex lege.

Cosi se si rinvengono gli artt. 1472 e 1478 c.c. che dettano la disciplina della vendita che abbia ad oggetto cose non ancora esistenti o cose altrui, dall’altro canto l’art. 711 c.c., statuisce che “la donazione non può che comprendere che i beni presenti del donante”.

Pertanto in tema di donazione vige il divieto di disporre di beni futuri, potendo il donante trasferire validamente solo un bene già facente parte del suo patrimonio.

Secondo molti interpreti, tale divieto trova fondamento nel principio di generale tutela della persona dal compimento atti di prodigalità, atti che potrebbero ripercuotersi negativamente sulla sfera economica del donante, che in questi casi potrebbe non aver formato consapevolmente la sua volontà nella conclusione dell’atto di liberalità.

Uniche eccezioni previste dalla norma hanno ad oggetto le donazioni dei frutti (naturali e civili) non ancora separati nonché quelle delle universalità di cose, relativamente ai beni che eventualmente vi si aggiungono in epoca successiva alla disposizione[1].

Per la donazione di beni altrui invece, pur non rinvenendosi un espresso divieto, si sono susseguiti nel tempo diversi orientamenti dottrinari e giurisprudenziali tendenti ad escluderne la validità o l’efficacia.

Una risalente sentenza della Corte di Cassazione[2] aveva inquadrato la donazione di beni altrui come “preliminare di donazione”, figura incompatibile con l’elemento fondamentale dell’animus donandi e quindi affetta da nullità.

In seguito i giudici di legittimità, partendo dall’interpretazione analogica dell’art. 771 c.c., ritennero la disciplina dettata in tema di beni futuri applicabile anche alle donazioni di beni altrui. Rilevato il carattere dell’immediatezza dell’arricchimento del donatario, tale indirizzo richiedeva la necessaria presenza del diritto/bene oggetto di liberalità nella sfera giuridica del donante, ribadendo pertanto la radicale invalidità della donazione di cosa altrui.

Successivamente si è poi fatta strada una diversa corrente che, pur sancendo la nullità dell’atto, faceva in ogni caso discendere alcune conseguenze dal compimento dello stesso. In particolare si era affermato che “la donazione di cosa altrui, benché non espressamente disciplinata, deve ritenersi nulla alla luce della disciplina complessiva della donazione e, in particolare, dell’art. 771 c.c., poiché il divieto di donazione di beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante; tale donazione tuttavia, è idonea ai fini dell’usucapione decennale prevista dall’art. 1159 c.c.”[3]

Quindi, partendo dalla considerazione che l’atto di donazione è “astrattamente” idoneo a determinare il trasferimento del diritto, in caso ricorra la buona fede del donatario lo stesso usufruisce del termine breve per il concretarsi dell’usucapione dell’acquisto fatto a non domino.

Tale impostazione confermata da pronunce successive[4], non costituiva però un orientamento unanime della giurisprudenza. Altre sentenze, infatti, contestavano la sanzione della nullità dell’atto rilevandone al contrario la mera inefficacia “la donazione dei beni altrui non può essere ricompresa nella donazione di beni futuri, nulla ex art. 771 c.c., ma è semplicemente inefficace[5], giungendo in ogni caso ad affermarne l’idoneità ai fini dell’usucapione abbreviata.

Il contrasto giurisprudenziale aveva quindi ad oggetto la fondamentale qualificazione della donazione di cosa altrui come atto invalido e quindi nullo o come atto inefficace.

Tale contrasto è stato risolto nel 2016 dalle Sezioni Unite del Supremo Collegio[6]; che ha stabilito che la donazione di cosa altrui, o parzialmente altrui, è affetta da nullità ma non per l’applicazione estensiva della norma di cui all’art. 771 c.c. ma perché carente di un elemento fondamentale del contratto: la causa.

I Giudici di legittimità, partendo dall’analisi della definizione normativa del contratto di donazione, hanno riaffermato che gli elementi costitutivi dello stesso sono l’arricchimento del terzo, con il conseguente depauperamento del donante, e l’animus donandi individuato “nella consapevolezza dell’uno di attribuire all’altro un vantaggio patrimoniale in assenza di qualsivoglia costrizione, giuridica o morale”. Gli Ermellini hanno conseguentemente rilevato che, in presenza di beni non appartenenti al donante, verrebbe meno proprio lo spirito di liberalità in quanto “l’altruità del bene incide sulla possibilità stessa di ricondurre il trasferimento di un bene non appartenente al donante nello schema della donazione dispositiva e quindi sulla possibilità di realizzare la causa del contratto”.

Ribadendo che non sussiste un espresso divieto di legge alla conclusione di una donazione di cosa altrui, la Corte individua pertanto la nullità della stessa, non per applicazione analogica del divieto di cui all’art. 771 c.c., ma, in virtù della carenza della causa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1315 e 1418 c.c..

I Giudici nella medesima pronuncia arrivano però a diversa conclusione relativamente alle donazioni cd “obbligatorie”. Qualora infatti l’elemento dell’altruità del bene sia nota alle parti e sia espressamente indicato nell’atto, la donazione deve ritenersi valida ed efficace; ecco il principio espresso dalla Sezioni Unite  “se la cosa non appartiene al donante, questi deve assumere espressamente e formalmente nell’atto l’obbligazione di procurare l’acquisto dal terzo al donatario. La donazione di bene altrui vale, pertanto, come donazione obbligatoria di dare, purché l’altruità sia conosciuta dal donante, e tale consapevolezza risulti da un’apposita espressa affermazione nell’atto pubblico. Se invece, l’altruità del bene donato non risulti dal titolo e non sia nota alle parti, il contratto non potrà produrre effetti obbligatori, né potrà applicarsi la disciplina della vendita di cosa altrui”.

 

[1] Art. 771 c.c. – Donazione di beni futuri. La donazione non può comprendere che i beni presenti del donante. Se comprende beni futuri, è nulla rispetto a questi, salvo che si tratti di frutti non ancora separati.

Qualora oggetto della donazione sia una universalità di cose e il donante ne conservi il godimento trattenendola presso di sé, si considerano comprese nella donazione anche le cose che vi si aggiungono successivamente, salvo che dall’atto risulti una diversa volontà.

[2] Cassazione Civile, Sentenza n. 3315/1979

[3] Cassazione Civile Sentenza n. 10356/2009

[4] Cassazione Civile, Sez. II, sentenza n. 12782/2013

[5] Cassazione Civile, Sez. II, sentenza n. 1596/2001

[6] Cassazione Civile, Sez. Un., sentenza n. 5068/2016

Avv. Paola Minopoli

Avvocato civilista specializzato in contrattualistica commerciale, real estate, diritto di famiglia e delle successioni, diritto fallimentare, contenzioso civile e procedure espropriative. Conseguita la laurea in Giurisprudenza, ha collaborato con la II cattedra di Storia del Diritto Italiano dell'ateneo federiciano, dedicandosi poi alla professione forense. Ha esercitato prima a Napoli e poi nel foro di Milano, fornendo assistenza e consulenza a società e primari gruppi assicurativi/bancari italiani. Attualmente è il responsabile dell’ufficio legale di un’azienda elvetica leader nella vendita di metalli preziosi, occupandosi della compliance, fornendo assistenza per la governance e garantendo supporto legale alle diverse aree aziendali. Email: paola.minopoli@iusinitinere.it

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