venerdì, Aprile 19, 2024
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Big data e Antitrust: l’importanza dei dati nelle acquisizioni, il caso Facebook/WhatsApp

Nota di redazione: questo articolo è parte di una serie che si occupa di big data dal punto di vista giuridico. Si consiglia la lettura di I Big data e la rivoluzione digitale del diritto  per avere un’introduzione sul tema big data.

Nel 2014 la società di Menlo Park ha deciso di acquisire il controllo di WhatsApp Inc. dando origine a ciò che l’articolo 3 (1) (b) del Regolamento 103/2004 sulle Concentrazioni definisce come una concentrazione.

La fusione tra Facebook e Whatsapp ha attirato l’attenzione da parte dei media sia per la notorietà delle parti coinvolte nella transazione, sia per il prezzo di 19 miliardi di dollari pagato da Facebook per una società con un fatturato di soli dieci milioni di euro. Quest’ultimo dettaglio, in particolare, ha messo in dubbio il fatto che fosse esclusivamente il fatturato a rendere l’azienda di comunicazioni online attraente, a favore di una possibile ulteriore ragione sottostante la fusione, vale a dire l’uso dei dati degli utenti di WhatsApp da parte di Facebook.

La Commissione Europea, sulla base di quanto affermato dall’art. 2 del Regolamento sulle Concentrazioni, ha analizzato la fusione e, in data 3 ottobre 2014, ha approvato l’acquisizione ai sensi dell’art. 6 (1) (b) del regolamento[1]. Nella parte per noi rilevante, ossia la valutazione relativa all’utilizzo dei dati, la Commissione ha osservato innanzitutto che Facebook fornisce servizi pubblicitari mirati grazie all’analisi dei dati raccolti dai propri utenti, mentre WhatsApp non raccoglie alcun dato che sia utile per scopi pubblicitari. La Commissione è poi passata a valutare se, dopo la fusione, Facebook sarebbe stata in grado di raccogliere ed utilizzare i dati di WhatsApp.

La conclusione è stata basata anche sulla dichiarazione rilasciata da Facebook, secondo cui la raccolta e l’utilizzo dei dati degli utenti dell’applicazione di comunicazione istantanea sarebbe stato tecnicamente irrealizzabile e che la politica di WhatsApp sui dati dell’utente non sarebbe stata modificata. La Commissione, dunque, ha sostenuto che la fusione non avrebbe sollevato alcun problema nell’ambito della concorrenza, poiché grandi quantità di dati sarebbero state, ad ogni modo, disponibili per le società concorrenti. Di conseguenza, la concentrazione è stata dichiarata compatibile con il mercato interno.

Tuttavia, come qualcuno aveva sospettato, nel 2016 WhatsApp ha modificato i suoi Termini e Condizioni aggiungendo l’opzione di condividere i dati degli utenti con Facebook a scopi di profilazione con finalità commerciali e pubblicitarie. Infatti, nella sua informativa sulla privacy, nella sezione “società affiliate”, la società dichiara: “Facebook e le altre società del gruppo Facebook possono utilizzare le informazioni di WhatsApp per migliorare le esperienze degli utenti all’interno dei loro servizi come per fornire suggerimenti sul prodotto (ad esempio, suggerimenti relativi ad amici o collegamenti oppure a contenuti interessanti) e per mostrare offerte e inserzioni pertinenti”[2].

Tale condotta è stata altresì presa in considerazione dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato italiana, l’AGCM, in quanto WhatsApp ha introdotto la nuova clausola di utilizzo dei dati senza dare un’agevole possibilità all’utente di negare il consenso a tale trattamento, e prospettando l’impossibilità di continuare ad utilizzare l’applicazione in caso di rifiuto[3].

La decisione dell’AGCM è fondamentale per comprendere la data-strategy alla base della fusione. Infatti, durante la fase investigativa, Facebook ha dichiarato all’Agenzia che i dati che la società raccoglie da WhatsApp riguardano i numeri di telefono, della rubrica dell’utente, alcune informazioni sul dispositivo, l’ultimo accesso alla piattaforma e la data di registrazione all’app. Gli scopi della raccolta, sempre in base alle dichiarazioni della società di Menlo Park, sono la pubblicità e il miglioramento dei prodotti, e genererebbero entrate direttamente a Facebook. L’Agenzia ha concluso, dunque, che i dati degli utenti di WhatsApp assumono una evindete importanza economica per la società madre. L’AGCM ha quindi concluso che la condotta relativa al consenso costituisce una pratica commerciale sleale, infliggendo a Facebook una multa di quattro milioni di euro.

La condotta della società di Mark Zuckerberg non è certamente passata inosservata alla Commissione Europea. La Commissione, infatti, ha scoperto che, nonostante le dichiarazioni di Facebook durante il processo di merger control, la possibilità tecnica di associare automaticamente identità di Facebook e WhatsApp era già esistente al momento della fusione e che lo staff di Facebook ne era a totale conoscenza[4].

Tutti questi elementi evidenziano la reale motivazione che ha fatto sì che Facebook acquisisse WhatsApp per una tale cifra.

Il caso della fusione Facebok/Whatsapp dimostra che per trarre il massimo profitto dal fenomeno big data, le aziende hanno già avviato la cosiddetta “battaglia per i dati”[5], ossia hanno attuato strategie per ottenere il maggiore volume possibile di dati, talvolta a discapito dei concorrenti. Una delle strategie, e specificamente quella emersa nel caso in esame, è l’acquisizione di una società che, a prescindere dal fatturato, possiede grandi quantità di data sets. L’acquisizione di WhatsApp, infatti, non è che una delle molteplici fusioni che si ritengono motivate da data strategies[6].

Le fusioni guidate da strategie collegate ai big data comportano svatriate problematiche, nonché difficoltà in capo alla Commissione Europea. Innanzitutto, possono avere come conseguenza un accesso differenziato ai dati e l’aumento della loro concentrazione in capo ad un numero limitato di aziende. In aggiunta, la Commissione, nel controllo delle acquisizioni, si interfaccia con l’incertezza circa la possibilità di considerare l’esistenza di un mercato dei dati personali o meno, soprattutto nel caso in cui l’azienda sotto osservazione non venda specificamente dati a terzi, ma li utilizzi come input per fornire i propri servizi in modo mirato (come accade appunto nel mercato dell’online advertisement).

La mancanza di un mercato dei dati, infatti, rende ancor più complesso per la Commissione valutare la sussistenza di probabili lesioni al mercato europeo in termini di concorrenza.

A fronte delle peculiarità apportate dal fenomeno big data anche in ambito anti-trust, è necessario che il legislatore e i professionisti intervengano creando regole ad hoc? In aggiunta, è vero che raccogliere una gran quantità di dati comporta necessariamente un vantaggio competitivo sui concorrenti che non hanno accesso agli stessi dati? E ancora, i big data in sé considerati, possono essere considerati la chiave del successo di un’azienda?

Giustamente è stato sottolineato che non sono i dati in quanto tali, piuttosto le risorse, siano esse materiali o finanziari, che un’azienda investe nello sviluppo dell’analisi dei dati che fanno la differenza. Quindi, più correttamente, le aziende hanno un vantaggio quando riescono a sviluppare prodotti o servizi migliori, dando significato ai dati raccolti, tramite i data analytics[7].

Sono molte e differenti le opinioni circa i big data legati all’anti-trust, professionisti e ricercatori non sono d’accordo sul loro significato competitivo, poiché vengono considerati da taluni onnipresenti e disponibili, da altri l’opposto[8]. E ancora, le incertezze riguardano altresì il soppesare le difficoltà con i benefici sociali e per i consumatori, tali che mai prima d’ora erano stati raggiunti, come la fornitura di servizi gratuiti, il miglioramento di prodotto e dei servizi, sempre più personalizzabili.

Le numerose peculiarità legate al fenomeno non consentono di parlare di big data come di un unicum omogeneo, ma piuttosto di big data al plurale. Si tratta di un fenomeno fluido e dinamico, e, probabilmente, porre degli argini rigidi ora, ne implicherebbe la riduzione delle potenzialità. Nonostante le istituzioni stiano già lavorando sul tema, come dimostra l’elaborato dell’Autorité de la concurrence Francese e del Bundeskartellamt Tedesco[9], per quanto riguarda le acquisizioni e le fusioni, come ha sottolineato il commissario europeo per la concorrenza Vestager[10], al momento è opportuno che il cardine del controllo sulle acquisizioni rimanga la comunicazione di informazioni quanto più esaustive e veritiere da parte delle società (a differenza di quanto fatto dai vertici di Facebook), per consentire un’analisi approfondita sui rischi e benefici legati ai dati in ogni singolo caso.

 

[1] Caso M.7217 – FACEBOOK/WHATSAPP, 3 October 2014.

[2] Disponibile al seguente link: https://www.whatsapp.com/legal/?l=it#privacy-policy-affiliated-companies

[3] AGCM, PS10601, provvedimento n. 26597, WhatsApp – Trasferimento dati a Facebook, 11 may 2017, disponibile al seguente link:  http://www.agcm.it/consumatore–delibere/consumatore- provvedimenti/open/C12560D000291394/A94F4894B38FA7D7C12581220024AE63.html

[4] European Commission – press release, Mergers: Commission fines Facebook €110 million for providing misleading information about WhatsApp takeover, Brussels, 18 May 2017, disponibile al seguente link: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-1369_en.htm

[5] STUCKE – GRUNES, Debunking the Myths over Big Data and Antitrust, The University of Tennessee Knoxville, Research Paper 276, September 2015, disponibile al seguente link http://ssrn.com/abstract=2612562.

[6] Ex multis, Google/DoubleClick nel 2007, Microsoft/Yahoo nel 2010, TomTom/TeleAtlas nel 2010.

[7] COLANGELO – MAGGIOLINO, Big Data as Misleading Facilities, Bocconi Legal Studies Research Paper, disponibile al seguente link: https://ssrn.com/abstract=2978465.

[8] STUCKE – GRUNES, Debunking the Myths Over Big Data and Antitrust, CPI Antitrust Chronicle, May 2015, University of Tennessee Legal Studies Research Paper No. 276, disponibile al seguente link https://ssrn.com/abstract=2612562.

[9] FRENCH AUTORITÉ DE LA CONCURRENCE – GERMAN BUNDESKARTELLAMT, Competition Law and Data, 10th May 2016, disponibile al seguente link: http://www.autoritedelaconcurrence.fr/doc/reportcompetitionlawanddatafinal.pdf.

[10] VESTAGER, Refining the EU merger control system, Studienvereinigung Kartellrecht, Brussels, 10 March 2016, disponibile al seguente link:  https://ec.europa.eu/commission/commissioners/2014-2019/vestager/announcements/refining-eu-merger-control-system_en

Lucrezia Berto

Classe 1992, piemontese di nascita ma milanese d’adozione, si laurea nel 2016 in giurisprudenza alla School of Law dell’Università Bocconi. Dopo l'inizio della carriera professionale negli Stati Uniti e la pratica forense presso uno dei principali studi legali milanesi, decide di seguire le sue passioni iscrivendosi all’LL.M in Law of Internet Technology dell’Università Bocconi. Attualmente vive in Spagna, a Barcellona, dove si occupa di consulenza in materia IP, IT e Data Protection a startup ad alto livello tecnologico. Appassionata di nuove tecnologie, proprietà intellettuale e big data, è un’amante dei viaggi e dello sport. Contatto: lucrezia.berto@iusinitinere.it

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