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Blockchain e Bitcoin: aspetti definitori ed opportunità dell’economia digitale

Blockchain e Bitcoin: aspetti definitori ed opportunità dell’economia digitale

a cura di Tommaso Raucci, vincitore della Local Essay Competition di ELSA Catania

Con la crisi finanziaria del settembre 2008 si sono susseguiti diversi stravolgimenti non solo socio-economici ma anche culturali. In realtà questi mutamenti già persistevano, ma la crisi del 2008 li ha solo evidenziati e, via via, con il passare del tempo, accentuati; sono cambiati molti paradigmi e punti di riferimento da allora in quasi ogni ambito.

Tutto questo, poi, è stato accelerato dalla insorgenza della pandemia di Covid-19 che da marzo 2020 tiene gran parte delle nazioni in un rigido lockdown tuttora perdurante: le relazioni sociali e lavorative si svolgono perlopiù da allora su piattaforme video o con l’ausilio di canali digitali con il conseguente aumento dell’utilizzo delle PEC nella trasmissione di documenti prima tassativamente da richiedere o ritirare di persona.

In questo contesto si è ancora sempre più potenziata la trasformazione digitale tanto auspicata da tempo ed adesso divenuta quasi realtà.

La crisi finanziaria del 2008 è coincisa anche con la pubblicazione di un white paper da parte di un autore tutt’oggi sconosciuto che ripsonde al nome di Satoshi Nakamoto e dal titolo “Bitcoin: a Peer-to-Peer Electronic Cash System”. Queste poche pagine hanno destato una diffusa preoccupazione che ha colto nel pieno imbarazzo le ormai deboli strutture dei governi e degli istituti finanziari già fiaccati dalla grande crisi.

Il bitcoin nasce come una risposta che si propone essere efficace a tutti le imperfezioni manifestate allora da un sistema finanziario destabilizzato ed a cui gli investitori mostravano una sempre più evidente sfiducia.

Da quel momento si è intensificato un ingente dibattito incentrato ad evidenziare gli eventuali rischi della moneta virtuale senza mai mettere in risalto gli effettivi vantaggi che può apportare al settore finanziario e del credito.

Molti sono i paper prodotti da gruppi di studio e Banche Centrali che hanno cercato di definire la natura di questi scambi di valori digitali e della struttura che li supporta: la blockchain.

Tanti sono stati i governi che hanno cercato in tutti i modi di intervenire delineando una definizione regolamentare che molte volte è stata vista perlopiù avveniristica se non concretamente utile alla causa ed agli scopi che andava ad assolvere.

L’emergere del bitcoin prende consistenza all’interno dell’enviroment che si è sviluppando e che si sta consolidando nel mondo digitale, che per funzionare propriamente ha bisogno che i diversi “valori” che in esso si creano siano agevolmente trasferiti da una parte all’altra all’interno di questo nuovo ecosistema.

Appunto si può definire il bitcoin, come le altre cryptocurrencies che sono nate in questi anni, come la rappresentazione del valore scambiato sul web; ad adottarlo per primi sono stati gli hacker con lo scopo, appunto, di scambiare tra loro informazioni retribuite tramite questo mezzo virtuale.

Questa, ovviamente, è solo una definizione approssimativa ed operativa che tende a rappresentare in maniera succinta l’utilità delle criptovalute.

Ma ciò non basta.

Da tempo oramai è in corso un fitto dibattito relativo ad una definizione regolatoria del fenomeno. Il presunto lancio di Libra, la moneta virtuale ideata nei piani di Mark Zuckerberg ed i vari esperimenti e progetti pilota delle Banche Centrali di Cina e delle Bahamas pongono oramai la questione in stretta osservazione.

Molte sono le implicazioni dell’utilizzo e dello scambio di una moneta virtuale che è funzionale e si sviluppa in un ecosistema che è proprio e che le appartiene quale quello digitale, ma, d’altro canto, tanti sono i rischi che pone e su cui fanno leva i detrattori che sono reticenti nel trovare una risposta disruptive ai problemi già esistenti e dal 2008 accentuati del settore finanziario e del credito. Ma tutto ciò fino ai giorni nostri in cui, pian piano, si sta cambiando opinione a riguardo.

Ad esempio la Banca Centrale Europea classifica, sul proprio sito[1], il bitcoin come una “attività speculativa” invitando ad astenersi dall’investire in tali attività finanziarie, ma la BCE è la stessa che ha promosso il lancio della propria criptovaluta.

Al fine di esporre più propriamente le sfide e le minacce poste dalle crypto e dei modelli di business che va a creare è d’uopo procedere con il delineare ciò a cui già le autorità, le istituzioni finanziarie e gli addetti ai lavori sono giunti.

Già Satoshi Nakamoto esprime, nel proprio paper la necessità di creare un “sistema di pagamento elettronico basato su prova crittografica invece della fiducia, permettendo parti disposte a transare direttamente senza la necessità di un ente terzo fiduciario”. Questo assunto di creare un sistema di pagamento svincolato da qualsiasi ente garante (quale può essere una banca centrale che supervisioni la regolarità dei pagamenti) ha messo in guardia i vari governi dal garantirne la fluida fruizione.

Un primo intervento di approccio definitorio a livello globale si è avuto nel 2012 con la stessa BCE[2] che individua tre tipologie di “criptovaluta”: 1. Valute virtuali analizzabili in un sistema chiuso; 2. Valute virtuali unilateralmente collegate all’economia reale; 3. Valute virtuali bilateralmente collegate all’economia reale. In questo tentativo definitorio sono messi in correlazione ed a confronto i diversi tassi di conversione della crypto.

Il ruolo della BCE è fondamentale nella definizione di un quadro definitorio e regolamentare nel funzionamento di tutto l’ecosistema digitale e delle criptovalute che in esso si inseriscono. D’altronde l’aspetto che più si presenta interessante secondo chi scrive è l’attenzione all’aspetto valutario della moneta virtuale rendendolo di stringente attualità in una società sempre più volta all’adozione di forme di pagamento cashless a cui la pandemia ha dato una forte accelerazione.

La Banca Centrale Europea ha avvertito nel corso degli anni post-crisi 2008 un gap esistente nell’offerta di moneta digitale che favorisca la fluidità dell’e-commerce, ma attribuendo a questa la classificazione di legal tender, ossia corso legale.

Come è noto la moneta è riconosciuta avente corso legale[3] quando risponde a determinate caratteristiche: 1. Mezzo di scambio; 2. Riserva di valore; 3. Unità di conto. L’accettazione di moneta intesa come “mezzo di scambio” permette la liberazione da ogni obbligazione contratta come anche disciplinato dall’art. 1277 c.c. Ciò comporta l’esigenza che le parti pattuiscano in maniera espressa la possibilità di effettuare il pagamento con la criptovaluta da queste prescelta tramite l’apposizione della clausola “effettivo” ai sensi dell’art. 1279 c.c. Per sussistere tale assunto, d’altronde, la citata classificazione deve essere validata da una Autorità Centrale che ne rilevi anche le altre due caratteristiche già esposte.

Le criptovalute detengono tutte le tre caratteristiche proprie di una moneta: sono accettate come mezzo di scambio per la liberazione di una obbligazione intervenuta tra due parti; rappresentano una unità di conto essendo frazionabile nell’assolvere alla determinazione di valore associato ad un bene; è anche riserva di valore, soprattutto in questo periodo di totale incertezza sui mercati, in quanto può garantire la copertura da eventuali fluttuazioni di mercato rappresentando un investimento differente rispetto a quelli offerti tradizionalmente.

L’unico vulnus che rende lo status giuridico delle criptovalute, ed in particolare del bitcoin, accolte come moneta è, per l’appunto, la validazione da parte di una Autorità Centrale essendo le transazioni validate su una rete interconnessa di PC che ne permettono l’attuazione una volta accettate dalla maggioranza dei “nodi”. Il drive definitorio dal punto di vista giuridico, però, ancora non è stato assolto per via della scarsa conoscenza, da parte del legislatore, della complessa operatività della conseguente economia digitale non più nascente, ma già in fieri ed in attesa di concrete ed evidenti garanzie normative.

Tra i più importanti tentativi classificatori delle criptovalute lo ha espresso la FINMA, Autorità di Vigilanza dei mercati svizzera, che ha prestato una peculiare attenzione alle diverse diramazioni degli asset digitali.

Secondo quanto elaborato dalla FINMA[4], l’identificazione in chiave giuridica di categorie di cryptoasset necessita di una suddivisione degli stessi in base alle funzionalità che questi possono offrire agli investitori. La FINMA classifica le differenti tipologie di token, ossia le unità minime emesse sulla blockchain, distinguendoli in:

  1. Token di pagamento che sono paragonabili a semplici «criptovalute», senza essere collegati ad altre funzionalità o progetti. In alcuni casi, i token possono sviluppare la funzionalità e il riconoscimento come mezzi di pagamento solo con il passare del tempo.
  2. Token di utilizzo quali token finalizzati a fornire l’accesso a un’utilizzazione o a un servizio digitale.
  3. Token d’investimento che rappresentano valori patrimoniali, come quote di valori reali, aziende, ricavi o il diritto ai dividendi o al pagamento di interessi. Il token deve dunque essere valutato, in relazione alla sua funzione economica, come un’azione, un’obbligazione o uno strumento finanziario derivato.

Questa è la classificazione più accreditata tra le Autorità di Vigilanza internazionali e su cui si innesca un crescente dibattito in merito a quale regolamentazione sia la più idonea a garantire l’operatività delle funzioni che si prefiggono di attuare.

L’incertezza e, talvolta, anche mancanza di una appropriata conoscenza del mezzo che, per necessità, il legislatore è chiamato a regolamentare è scaturita perlopiù nella formazione di espedienti parziali di bozze giurisprudenziali e regolatorie del fenomeno.

Un esempio è dato dalla posizione intrapresa dal legislatore italiano che ha, nel d.l. 135/2018 convertito con modificazioni nella l. 36/2019, denominato “Decreto Semplificazioni”, espresso una prima definizione di distributed ledger technology ossia DLT. L’art. 8-ter della suddetta legge sancisce che ricadono sotto la definizione di DLT quelle tecnologie o protocolli informatici “che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante , non alterabili e non modificabili”.

Questa definizione è la prima ma si afferma come tecnicamente parziale[5] in quanto non riesce a cogliere tutte le differenze tra le diverse tipologie di DLT quali la più nota, la blockchain, nonché delle precipue caratteristiche che devono detenere i dati su di essi trasmessi o archiviati. La estrema superficialità adoperata nell’affrontare un tema delicato quanto precipuo per lo sviluppo economico del paese ha comportato una vivida disapprovazione da parte dei più interessati esperti ed addetti ai lavori.

La mancanza di una regolamentazione adeguata non può far altro che esprimere confusione anche per l’organo giudicante chiamato ad esprimersi su una controversia che interessa l’utilizzo di queste tecnologie.

Celebri esempi sono le pronunce che il Tribunale di Firenze è stato chiamato ad emettere.

In tal caso affrontato dinanzi l’Organo Giudicante di Firenze si è trattata una controversia molto celebre che ha visto una delle più grandi scam story italiane in tema crypto in cui veniva dichiarato il fallimento della società BG Services s.r.l. che gestiva la piattaforma exchange  denominata Bitgrail, nota per l’improvvisa scomparsa di un rilevante importo di criptovalute dal nome Nano (XRB).

In tale circostanza è emerso che la piattaforma aveva nel caso specifico certamente il pieno ed esclusivo controllo delle criptovalute ad essa affidate dagli utenti, ma soprattutto che il rapporto negoziale tra exchange e utente doveva essere qualificato in termini di deposito, in tal caso irregolare secondo quanto disposto ai sensi dell’art. 1782 c.c.

Viene messa in evidenza, nel caso di specie, anche la responsabilità del gestore della piattaforma per cui troverebbe applicazione l’art. 1780 c.c. secondo cui la perdita della disponibilità della cosa determina la liberazione del depositario da ogni obbligo verso il depositante solo qualora la perdita sia dipesa da fatto non imputabile al primo e il medesimo abbia provveduto a denunziarla immediatamente.

Ciò che emerge poi dalla sentenza n. 18/2019 emessa dal Tribunale di Firenze è, anzitutto, che le criptovalute possono essere considerate quali “beni” ai sensi dell’art. 810 c.c. ; questo poichè esse possono costituire oggetto di diritti, il che sarebbe stato riconosciuto, in qualche modo, anche al livello normativo avendo il legislatore nazionale considerato le stesse (con il D. Lgs. 90/2017) mezzo di scambio.

Inoltre è aggiunto che lo scambio di criptovalute avviene “in un sistema pattizio e non regolamentato in cui i soggetti che vi partecipano accettano – esclusivamente in via volontaria – tale funzione, con tutti i rischi che vi conseguono e derivanti dal non rappresentare la criptovaluta moneta legale o virtuale (in altre parole, non vi è alcun obbligo giuridico dei partecipanti al “microsistema” di accettare pagamenti di beni o servizi con criptovaluta)”.

Il Tribunale ha inoltre ritenuto che le criptovalute siano fungibili, condizione, questa, necessaria e che ha assunto un peso dirimente per consentire all’Autorità Giudiziaria di dichiarare il fallimento della società che gestiva l’exchange.

In questi anni, poi, il panorama italiano dell’economia virtuale ha avuto un crescente sviluppo come testimoniano non da ultimo il numero in crescita di start-up­ nate quest’anno rispetto al 2019 con anche particolare attenzione all’offerta di servizi di pagamento.

Sulla scia di questo trend volto alla digitalizzazione di gran parte della produttività del sistema economico nazionale, si inserisce anche l’incentivo all’abbattimento della soglia di utilizzo del contante concesso su iniziativa dell’attuale governo.

Alla luce di quanto esposto cruciale è il ruolo della BCE nella definizione delle politiche monetarie dell’Area Euro, tanto da richiamare l’Italia per aver attuato un maldestro tentativo di digitalizzazione dei pagamenti attraverso il riconoscimento del notorio “cashback di Stato” ad ogni transazione effettuata tramite carta di credito.

Nella lettera indirizzata al Governo italiano la BCE esprime le proprie preoccupazioni relative ad un tale tipo di misura adottata dal governo italiano nella quale l’Autorità di Francoforte rivendica nell’emissione di moneta e delle funzioni di regolazione monetaria la propria esclusiva competenza.

Secondo quanto espresso dalla BCE, inoltre, “le uniche limitazioni al contante ritenute adeguate sono quelle previste dalle Direttive Antiriciclaggio (Direttiva (UE) 2015/849) che, pur confermando la vulnerabilità dei pagamenti in contanti di importo elevato al rischio del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo”[6], non impone un divieto ma una “tracciatura”.

Inoltre la BCE specifica che la circolazione del contante è libera e prevista dai trattati UE e l’introduzione di controlli sul contante, a fini fiscali, va eseguita tenendo conto della funzione legale della moneta fisica e deve essere giustificata da comprovate e dimostrate esigenze di contenimento reati come l’evasione fiscale e il riciclaggio.

Ciò posto la posizione della Banca Centrale Europea si pone in una posizione ferma ad affermare il proprio ruolo di garante del corso legale della moneta unica, ma senza avere una prospettiva ben dettagliata riguardo alle sfide ed all’urgenza emergenti dall’economia digitale.

Questo evidente immobilismo non fa altro che alimentare incertezze per i cittadini ed anche per gli investitori soprattutto perché dalla presentazione del digital euro all’effettivo utilizzo e scambio dovranno passare almeno quattro o cinque anni come anche ammesso da esponenti di rilievo dell’Authority.

Lo sforzo del governo italiano, seppur non tenendo conto di alcuni importanti punti fermi del sistema monetario europeo, ha rappresentato una volontà di rispondere alle esigenze della nuova economia smart ed agile a cui la BCE ha risposto in maniera eccessivamente tardiva facendosi trovare impreparata, ma pronta ad intervenire perlopiù per affermare un proprio status piuttosto che dare un imprimatur generale e coordinata all’adozione di sistemi di pagamento digitali.

Le criptovalute e, con esse, gli investitori non aspettano ed, anzi, sviluppano nuove alternative pronte a soddisfare le proprie esigenze rese indifferibili dall’insorgenza della pandemia.

Molti investitori istituzionali, in questo periodo, hanno iniziato ad accumulare nei propri portafogli anche le criptovalute, tra cui ovviamente il bitcoin. Questo favor mostrato dai principali attori del mondo finanziario è alla base del recente hike verificatosi nella valutazione dell’oro virtuale.

La risalita del bitcoin e l’incremento dei pagamenti digitali dovuti alle forzate misure di prevenzione di contagio del Covid-19, hanno dato slancio e risalto ai progetti intrapresi di implementazione delle CBDC, ossia le Central Bank Digital Currency.

Tali fenomeni sicuramente verranno ulteriormente sviluppati ed adottati, ma, come gran parte di autorevoli addetti ai lavori[7], se non ci sarà una imminente regolamentazione capace di leggere e, in qualche modo, anticipare le conseguenze apportate dalle evoluzioni tecnologiche, si andrà incontro a stravolgimenti economici e finanziari non più facilmente gestibili.

[1] https://www.ecb.europa.eu/explainers/tell-me/html/what-is-bitcoin.it.html

[2] VIRTUAL CURRENCY SCHEME, ottobre 2012, European Central Bank https://www.ecb.europa.eu/pub/pdf/other/virtualcurrencyschemes201210en.pdf

[3] Vedi per approfondire N. COCCIOLO, Dall’invenzione della moneta al fiat money: l’evoluzione dei sistemi monetari,

[4] FINMA, Guida pratica per il trattamento delle richieste inerenti all’assoggettamento in riferimento alle initial coin offering (ICO) Edizione del 16 febbraio 2018

[5] A. LISI,  Blockchain, il decreto semplificazione nasce vecchio: servono regole tecniche precise per creare fiduciahttps://www.agendadigitale.eu/documenti/blockchain-il-decreto-semplificazione-nasce-vecchio-servono-regole-tecniche-precise-per-creare-fiducia/

[6] S. CAPACCIOLI, Il contante è un diritto, un presidio di libertà e un baluardo contro i soprusi: https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2020/12/22/contante-diritto-baluardo/

[7] P. SAVONA, Prima si regolano le criptovalute e prima si evita un nuovo 2008, Milano Finanza del 9 dicembre 2020, pag. 3

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