venerdì, Marzo 29, 2024
Di Robusta Costituzione

Brescellum o Germanicum? Riflessioni costituzionali sulla nuova proposta di legge elettorale

La proposta di legge c. 2329, avente come primo firmatario l’on. Giuseppe Brescia, volta a riformare il sistema elettorale è all’esame della I Commissione permanente della Camera dei Deputati – Affari costituzionali, presieduta proprio dall’on. Brescia.

Essa disegna un sistema di tipo proporzionale in cui l’accesso al riparto dei seggi è subordinato al raggiungimento, da parte delle singole liste, di una soglia di sbarramento del 5% sul piano nazionale o, in via alternativa, del 15% sul piano regionale. Quest’ultima soglia opera in modo differente a seconda della camera da eleggere. Per l’elezione dei componenti della Camera dei Deputati, infatti, la sua operatività è subordinata al verificarsi di condizioni più stringenti.

La proposta, inoltre, concede, a determinate condizioni, il c.d. diritto di tribuna a quelle liste che non abbiano ottenuto, in termini percentuali, i consensi necessari al raggiungimento delle suddette soglie.

Non è previsto alcun meccanismo di collegamento in coalizione fra le liste né é concessa agli elettori la possibilità di scegliere in maniera specifica a quale candidato indirizzare il proprio consenso.  Invero, la proposta di legge in esame prevede che i seggi spettanti a ciascuna lista nei vari collegi siano assegnati secondo il metodo delle c.d. liste bloccate.

L’attribuzione dei seggi spettanti a Valle d’Aosta, Trentino-Aldo Adige e circoscrizione estero è invece regolata da sistemi differenziati.

 

  1. Sulla scelta proporzionale

Il sistema di tipo proporzionale è quel sistema che attribuisce seggi in parlamento a gruppi o partiti politici in proporzione ai consensi da essi ottenuti nella consultazione elettorale. Esso si contrappone al sistema di tipo maggioritario che, invece, assegna una quota aggiuntiva di seggi a quel gruppo o partito che ha raggiunto una maggioranza anche non assoluta e, quindi,  relativa, ottenendo, ad esempio,  semplicemente un voto in più degli altri.

La proposta di legge a firma dell’on. Brescia propone l’adozione del modello proporzionale, che andrebbe, quindi, a sostituire il sistema misto attualmente disegnato dal modello elettorale vigente, il c.d. Rosatellum. La scelta proporzionale è la più diffusa fra i paesi del continente europeo: “in 22 stati sui 27 attuali, infatti, viene adottato un sistema proporzionale” e in ben “16 di questi 22 Stati il sistema proporzionale è addirittura costituzionalizzato”[1], essendo sancito, nelle relative costituzioni, il principio della rappresentanza proporzionale.

Invero, il sistema maggioritario, adottato con ottimi risultati in Inghilterra e Stati Uniti d’America, “è adatto ad un popolo a compagine sociale sostanzialmente omogenea, in cui non esistano profonde disparità d’idee circa gli interessi generali da perseguire”[2].  Difficilmente esso potrebbe adempiere in maniera adeguata alla funzione elettorale in un Paese come il nostro, tenendo conto della pluralità degli interessi contrastanti che convivono al suo interno[3]. D’altronde, se lo scenario ottimale per un sistema maggioritario è quello in cui “ci sono due schieramenti – sostanzialmente equivalenti – che assorbono gran parte del voto del corpo elettorale”, di certo “non si può sostenere un’opzione maggioritaria quando il sistema non è più bipolare”[4]. Si potrebbe sostenere che l’adozione di un modello maggioritario possa incidere sull’assetto politico al punto da spingerlo verso il bipolarismo, da un lato forzando la fusione o la coalizione di partiti affini e dall’altro indirizzando gli elettori a non correre il rischio di ‘sprecare’ il proprio voto e ad attribuirlo ad un gruppo di sicura forza elettorale.

In effetti, le esperienze maggioritarie italiane hanno avuto come obiettivo proprio quello di ‘forzare’ il bipolarismo, al punto che “avremmo avuto un sistema all’inglese”[5], ma così non è stato. Non sembra errato, infatti, sostenere che nell’esperienza italiana l’adozione di sistemi maggioritari abbia addirittura contribuito alla frammentazione del panorama politico[6]. Appare evidente, quindi, che è molto difficile, se non impossibile, incidere sul panorama politico utilizzando lo strumento legislativo. La politica, in realtà, muta con la politica stessa. Prova ne è il fatto che, a ben vedere,“nel sistema britannico il bipolarismo non era un prodotto del sistema elettorale, ma uno spontaneo conformarsi della società”[7].

A sostegno del maggioritario vi è anche la lettura secondo cui, assegnando una chiara maggioranza parlamentare ad un determinato schieramento politico, tale sistema garantirebbe una maggiore stabilità governativa. Anche questa teoria, però, è stata confutata dalla pratica. Basta, infatti, ricordare che “in poco più di venticinque anni abbiamo avuto sedici Governi”[8] e che, quindi, “per varie ragioni, non ci sono stati Governi stabili di legislatura”[9]. Se si tiene conto di tale esperienza, si  comprende, dunque, che “non è vero che il sistema proporzionale produce necessariamente instabilità e il maggioritario necessariamente governabilità”[10]. Anche con riguardo alla stabilità dei governi ciò che fa la differenza è il sistema politico, non il modello elettorale. Tanto è vero che uno dei Paesi che può vantare la maggior stabilità governativa è un Paese che, per l’elezione dei membri del suo Parlamento, adotta un sistema di tipo proporzionale: la Germania. Non sfugge, chiaramente, che nella Repubblica Federale Tedesca la presenza di governi stabili è figlia non solo del panorama politico, ma anche dell’adozione del meccanismo della c.d. sfiducia costruttiva, che è quell’”istituto costituzionale che impedisce a un parlamento elettivo di votare la sfiducia al governo in carica, se non concede simultaneamente la fiducia a un altro governo”[11].

Non bisogna dimenticare, poi, che l’attuale momento storico è caratterizzato da una immensa volatilità del mercato politico e che “in questo contesto il maggioritario è molto rischioso […] perché blocca per cinque anni una maggioranza che spesso non è più corrispondente alla maggioranza – neppure in senso relativo – del Paese”[12].

Quanto sin qui esposto, aiuta a ritenere che la scelta proporzionale messa in campo dalla proposta di legge Brescia sembra la più opportuna rispetto alla conformazione dell’attuale assetto storico-politico italiano. A ben vedere, poi, il proporzionale appare come il modello elettorale più confacente ai dettami della nostra Costituzione. E ciò è dovuto a tre fattori, che qui si andrà in breve ad esplicitare:

  1. La forma di governo parlamentare. L’art. 1 Cost. sancisce il principio della sovranità popolare, ma si badi: nessun cittadino, preso singolarmente, è sovrano. Il Popolo è infatti sovrano solo ed esclusivamente nella sua dimensione di collegialità. È dunque necessario, affinché tale sovranità possa effettivamente essere esercitata, che i cittadini, che insieme costituiscono il Popolo, si confrontino mediante l’azione del parlare e, quindi, del “parlamento”. E al Parlamento si arriva attraverso l’esercizio del diritto di voto. In questo senso, dunque, è opportuno che il Parlamento sia composto in modo tale da tendere ad essere una proiezione del Popolo, in tutta la sua eterogeneità. Tanto è vero che l’art. 67 Cost. afferma che“ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione”. Il nostro, quindi, dovrebbe essere un “parlamento riproduttivo del popolo elettorale, la cui legittimità dipenderà dal fatto di essere ‘come chi lo elegge’”[13]. Tutto questo è possibile mediante l’adozione di un sistema di tipo proporzionale che, infatti, a differenza di altre soluzioni, “tende a valorizzare la centralità del Parlamento”[14]. Invero, occorre ricordare che lo scopo di una legge elettorale è quello di regolare l’attribuzione dei seggi presenti in Parlamento e non, come alcuni lasciano intendere, far sì che sia possibile, all’apertura delle urne, determinare un vincitore. L’adozione di leggi elettorali a tendenza maggioritaria ha favorito questa comune percezione che la scelta elettorale “non fosse indirizzata alla composizione del Parlamento nazionale quanto piuttosto alla designazione del Governo”[15]o, più ancora, del suo Capo, come accade nel presidenzialismo, ma l’Italia è una repubblica parlamentare;
  2. Il pluralismo politico che deve caratterizzare la composizione delle assemblee parlamentari, che si evince, nella sua dimensione generale, da due disposizioni della nostra Costituzione. La prima è contenuta nell’art. 3 che, nella parte che qui interessa, sottolinea l’importanza dell’“effettiva partecipazione di tutti” i cittadini “all’organizzazione politica […] del Paese”. Da ciò si comprende la necessità di un sistema elettorale che faccia sì che le più varie posizioni possano essere rappresentate in Parlamento. La seconda disposizione costituzionale che ci indirizza in tal senso è quella di cui all’art. 49: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Non è un caso che i costituenti abbiano optato per l’utilizzo del verbo “concorrere”. Comprendiamo, infatti, che “determinare la politica nazionale” è qualcosa da fare insieme, in un atteggiamento dialogico e quindi, per l’appunto, in “concorso”. E tale “concorso” è possibile solo se la sede istituzionale che più di tutti determina la politica nazionale, che è il Parlamento, è composta in modo tale da poter rappresentare quanto più fedelmente possibile la pluralità di idee e di interessi di cui il popolo italiano è foriero.
  3. L’uguaglianza del voto, ex artt. 3 e 48 Cost. Se “tutti i cittadini – infatti – sono uguali davanti alla legge”, a fortiori lo sono anche davanti alla legge che regola l’esercizio del diritto di voto ed il risultato di tale esercizio. D’altronde, l’art. 48 sancisce che il voto, oltre ad essere personale, libero e segreto è anche uguale. Il voto è, dunque, uguale sì nel senso che ad ogni cittadino è in egual modo garantita la possibilità di votare e di farlo una volta sola per ogni tornata elettorale, ma anche nel senso che “il peso del voto – come ha affermato la Corte costituzionale con la sent. n. 1 del 2014 – dovrebbe essere uguale e contare allo stesso modo ai fini della traduzione in seggi”[16]. Fatta salva, come si vedrà, la possibilità di adottare, nei limiti in cui ciò risulti proporzionato e ragionevole, dei meccanismi volti ad evitare una esorbitante frammentazione rappresentativa del Parlamento, come, ad esempio, le soglie di sbarramento, la legge elettorale ha il dovere costituzionale di garantire che ciascun voto abbia un valore tendenzialmente uguale ad ogni altro voto nella determinazione dei risultati delle elezioni e, quindi, della attribuzione dei seggi.

 

  1. Sulle soglie di sbarramento

La proposta di legge in esame subordina l’accesso al riparto dei seggi al raggiungimento, da parte delle liste, della soglia del 5% dei voti validamente espressi nel territorio nazionale oppure del 15% in quello regionale, che alla Camera, a differenza che per il Senato, vale solo per le liste rappresentative di minoranze linguistiche ed esclusivamente in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze.

Considerata la frammentarietà del panorama politico italiano e la conseguente presenza, al suo interno, di una innumerevole schiera di piccoli gruppi politici e “partitini”, non sono pochi coloro che ritengono eccessiva la soglia nazionale del 5%, specie considerato che, attualmente, per accedere al riparto dei seggi è invece sufficiente il 3% dei voti validi e che, a determinate condizioni, una lista può entrare in Parlamento con un risultato addirittura inferiore.

Benché quella della soglia di sbarramento sia ritenuta una scelta “necessaria al fine di evitare un’eccessiva frammentazione politica-parlamentare”[17], sembra prevalere, fra i costituzionalisti, l’idea che “una soglia di poco inferiore a quella del 5% sarebbe più congrua”[18], anche al fine di evitare l’applicazione di “quel meccanismo un po’ strano che è il cosiddetto diritto di tribuna”[19], di cui si dirà a breve.

La Corte costituzionale ha ritenuto che l’utilizzo dello strumenti delle soglie di sbarramento rientri pienamente nella discrezionalità del legislatore che, quindi, può benissimo fare ricorso ad esse qualora voglia evitare una eccessiva frammentazione della rappresentanza, dando una seppur minima garanzia di stabilità governativa[20].

La Corte ha altresì ricordato che “in ordinamenti costituzionali omogenei a quello italiano […], il giudice costituzionale ha espressamente riconosciuto” che, quando il legislatore elettorale opta per un sistema proporzionale, si genera nell’elettore “la legittima aspettativa che non si determini uno squilibrio sugli effetti del voto […] ai fini dell’attribuzione dei seggi”, a meno che ciò non sia necessario “ad evitare un pregiudizio per la funzionalità dell’organo parlamentare”[21]. Il riferimento è ad una pronuncia della Corte costituzionale federale tedesca a cui la Consulta, nell’affermare quanto sopra, si è espressamente richiamata. Nella sentenza n. 3/11 del 25 luglio 2012, infatti, il giudice costituzionale di Germania ha ritenuto ragionevole e quindi non pregiudizievole l’adozione, nella legge elettorale tedesca, di una soglia di sbarramento nazionale del 5%. Pare, dunque, che il nostro giudice costituzionale faccia proprie le conclusioni tratte in merito del suo omologo tedesco e che, con ogni probabilità, la soglia prevista dalla proposta di legge Brescia sia idonea a superare un eventuale giudizio di costituzionalità.

Non andrebbero, poi, sottovalutate le conseguenze che l’inserimento di una soglia di sbarramento al 5% potrebbe avere sull’assetto politico nazionale. Si ritiene, infatti, che essa potrebbe contrastare alcuni eccessi di frammentazione incentivando, sulla base di evidenti comunanze di idee, l’unione di alcune forze politiche.

 

  1. Sul diritto di tribuna

Uno degli aspetti sicuramente più discussi della proposta di legge elettorale in questione è quello relativo al c.d. diritto di tribuna, che consente a quelle liste che non hanno ottenuto un numero di consensi utile al raggiungimento delle soglie di sbarramento di cui si è detto, attraverso un complesso meccanismo, di vedere comunque eletti dei propri rappresentanti in parlamento.

Per comprenderne il funzionamento è necessario introdurre il concetto di quoziente circoscrizionale di lista. A tal proposito sarà necessario un piccolo sforzo di concentrazione: il testo della proposta, infatti, ci spiega che, per sapere quanti quozienti circoscrizionali spettano a ciascuna lista bisognerà seguire i seguenti passaggi:

  • Dividere il totale dei voti validi espressi nella circoscrizione (es. 300 mila) per il numero di seggi ad essa assegnato (es. 4) aumentato di due unità (es. 300.000/6), ottenendo così il quoziente elettorale circoscrizionale (es. 300.000/6 = 50 mila)[22];
  • Dividere il totale dei voti ottenuti nel territorio della circoscrizione da ciascuna lista (es. Lista A = 60 mila; Lista B = 40 mila) per il quoziente elettorale circoscrizionale ottenuto con la divisione precedente (es. Lista A = 60.000/50.000, Lista B = 40.000/50.000), ottenendo, finalmente, il numero dei quozienti circoscrizionali di ogni lista (es. qLista A = 1,2; qLista B = 0,8).

In parentesi si è indicato l’esempio di una ipotetica circoscrizione a cui sono assegnati 4 seggi. Presupponendo, dunque, che il totale dei voti validi ivi espressi sia di 300 mila, si è andati a dividere tale cifra per il numero di seggi spettanti alla circoscrizione aumentato di due, come prescritto dal testo della proposta di legge. Quest’ultima operazione ci ha dato come risultato il c.d. quoziente elettorale circoscrizionale, pari a 50 mila.

Ipotizzando, quindi, che in tale circoscrizione la Lista A abbia ottenuto 60 mila voti e che la Lista B, invece, ne abbia ottenuti 40 mila, si è andati a dividere queste cifre per il quoziente elettorale di circoscrizione. Ne è venuto fuori che i quozienti conseguiti dalla Lista A sono 1,2 mentre alla Lista B ne sono attribuiti 0,8. Ovviamente si dovrà tener conto solo dei quozienti interi che in questo caso, quindi, sono uno per la Lista A e zero per la Lista B.

Ciò detto, dunque, le liste che non siano riuscite ad ottenere il 5% dei voti validi sul territorio nazionale o il 15% degli stessi su quello regionale secondo quanto si è spiegato innanzi, possono comunque ottenere seggi:

  • in seno alla Camera dei Deputati, conseguendo almeno tre quozienti circoscrizionali in almeno due regioni;
  • al Senato della Repubblica, ottenendo anche un solo quoziente circoscrizionale. A tal proposito si ricorda che per l’elezione dei membri del Senato i territori delle circoscrizioni coincidono con quelli regionali.

Alle liste “sotto soglia” che riusciranno ad ottenere il necessario numero di quozienti, dunque, spetterà  il diritto di tribuna: esse, infatti, avranno diritto ad un seggio per ciascun quoziente ottenuto.

Il meccanismo sin qui delineato non sembra equo: il metodo del quoziente circoscrizionale di lista fa sì che “questo diritto di tribuna finirebbe per essere riconosciuto nelle sole circoscrizioni con il più elevato numero di seggi”[23].

Infatti, applicando il sistema elettorale in esame ai risultati delle elezioni politiche del 2018, tenendo anche conto della recente riduzione del numero dei parlamentari, ne viene fuori che, ad esempio, la lista +Europa avrebbe avuto diritto ad un seggio in Senato proprio nella circoscrizione Lombardia, che è quella con il maggior numero di seggi. L’iniquità del meccanismo appare evidente se si considera che in Lombardia, dove le sarebbe stato attribuito il diritto di tribuna, +Europa ha conseguito il 3,13% dei consensi, mentre, ad esempio, la lista Liberi e Uguali non avrebbe ottenuto alcun seggio in Senato malgrado avesse avuto, in alcune circoscrizioni, un risultato di gran lunga superiore a quello vantato da +Europa in Lombardia[24]. Nella stessa Lombardia, poi, avrebbe beneficiato del diritto di tribuna per il Senato anche la lista Fratelli d’Italia, che in quella circoscrizione ha ottenuto il 4,15% dei consensi. Eppure, a causa del meccanismo in esame, proprio Fratelli d’Italia non avrebbe goduto di tale beneficio in circoscrizioni in cui si è vista attribuire percentuali ancor più significative di quella vantata in Lombardia[25].

Sembra difficile, o quanto meno dubbio, che, così come congegnato, il meccanismo di attribuzione del diritto di tribuna possa superare un giudizio di costituzionalità. Il voto in favore di una lista “sotto soglia”, infatti, finirebbe per avere un peso specifico differente a seconda dell’ampiezza della circoscrizione in cui viene espresso. Invero, a causa del metodo del quoziente circoscrizionale di lista, il voto di un lombardo potrebbe essere più determinante del voto di un lucano. Conseguentemente, le disposizioni relative al diritto di tribuna contenute nella proposta di legge Brescia sarebbero censurabili perché in contrasto con gli artt. 3 e 48 Cost. e, quindi, con il principio di uguaglianza del voto.

A ben vedere, poi, si potrebbe anche sostenere che nel sistema in esame una sorta di “diritto di tribuna” esista già, almeno con riferimento al Senato. Infatti, come già si è evidenziato, le liste con cifra elettorale nazionale inferiore al 5% avrebbero comunque accesso al riparto dei seggi conseguendo il 15% dei consensi sul piano regionale. Estendendo tale ipotesi alla Camera – dove invece la soglia regionale opera solo per le liste rappresentative di minoranze linguistiche presentate in regioni il cui statuto tutela in maniera particolare dette minoranze – ed abbassando, eventualmente, la soglia di qualche punto percentuale, si andrebbe a configurare un meccanismo di attribuzione del “diritto di tribuna” sicuramente più ragionevole di quello innanzi illustrato.

Tuttavia, dal momento che il nostro non è uno Stato federale, non sembra una rilevante necessità quella di prevedere un diritto di tribuna a beneficio di liste poco rilevanti sul piano nazionale che, però, godono di un discreto consenso localizzato.

 

  1. Sulle liste bloccate

Il punto più criticato del sistema elettorale proposto è quello relativo alle liste bloccate, a cui il nostro legislatore elettorale pare essere particolarmente affezionato. Anche secondo la proposta di legge Brescia, infatti, l’elettore non potrebbe scegliere a quale candidato attribuire la propria preferenza. Il sistema in esame prevede che sulla scheda elettorale sia raffigurato il contrassegno di ciascuna lista e che, accanto ad ogni contrassegno, sia indicato l’elenco dei relativi candidati in un determinato collegio. A seconda dell’ampiezza e, quindi, del numero di seggi spettanti a ciascun collegio, il numero dei componenti di ogni lista collegiale può variare da un minimo di due ad un massimo di otto. Come detto, dunque, l’elettore non potrà indicare espressamente a quale candidato preferisca che sia attribuita la sua personale preferenza, ma dovrà limitarsi a barrare il contrassegno della lista a cui vorrà dare il proprio voto.

La Corte costituzionale, nell’esprimersi sul meccanismo delle liste bloccate, ha chiarito che esse possono ritenersi conformi a Costituzione solo qualora siano in grado di garantire l’effettiva conoscibilità[26] dei candidati, cosa che certamente si verifica in presenza di “circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati sia […] esiguo”[27].

È evidente, dunque, che le liste bloccate pensate dalla proposta Brescia potrebbero essere ritenute in contrasto con la nostra carta costituzionale. Difficilmente, infatti, si potrebbe ritenere “esigua” una lista composta di otto candidati. Anche questo aspetto del sistema in esame, quindi, sembra essere dotato di dubbia costituzionalità[28] e, di conseguenza, “il rischio di un’ennesima bocciatura da parte della Corte costituzionale  è estremamente elevato”[29].

Ancor più elevato, poi, potrebbe essere il rischio di una bocciatura popolare. Le liste bloccate, infatti, rappresentano, sotto il profilo dell’opportunità politica delle scelte operate dal legislatore elettorale, “uno dei più grandi errori del sistema italiano”[30], “una delle maggiori ragioni di insoddisfazione dei cittadini italiani nei confronti della politica”[31]. La crisi del sistema partito è certamente dovuta anche alla percezione di lontananza che i cittadini avvertono rispetto ai partiti, i quali, in tal modo, di certo non assolvono in modo pieno al ruolo ad essi assegnato dalla disposizione di cui all’art. 49 Cost. Sarebbe auspicabile il ritorno al voto di preferenza, che permette all’elettore di scrivere il nome del candidato a cui vuole indirizzare il proprio consenso. Invero, “il voto di preferenza orienterebbe il sistema dei partiti verso la necessità di rinsaldare il rispettivo radicamento nei territori, restituendo loro un ruolo di mediazione, in parte smarrito nel tempo, tra corpo elettorale e organi istituzionali”[32]. Il sistema delle preferenze porterebbe l’elettore a vivere diversamente il momento elettorale, dal momento che gli verrebbe attribuita una maggiore responsabilità in merito alla scelta da compiere. Il cittadino che esprime una preferenza, infatti, non si limita a scegliere da quale simbolo farsi rappresentare, ma è portato a decidere chi, fra i candidati associati a quel simbolo, possa svolgere al meglio questo compito. Il circuito rappresentativo ne uscirebbe tonificato[33] e l’elettore tornerebbe ad avvertire un discreto legame con le assemblee parlamentari. D’altronde, è la mancanza di questo legame che ha fatto sì che i populismi potessero avere una crescita così rapida e incisiva. Non sembra totalmente errato, dunque, sostenere che, in presenza di un sistema elettorale caratterizzato dal metodo del voto di preferenza, difficilmente la riforma di riduzione del numero dei parlamentari sarebbe stata accolta con il favore che ha incontrato.

Il sistema delle liste bloccate, poi, ha anche inciso negativamente sul rapporto fiduciario che intercorre fra Parlamento e Governo. Si è infatti creato il “paradosso secondo cui non è stato più chi ambiva a ricoprire la carica governativa a dover conquistare la fiducia parlamentare, ma al contrario, chi ambiva a ricoprire la carica parlamentare a dover godere preventivamente […] della fiducia del rispettivo leader politico”[34] al fine di essere inserito in lista, magari in una posizione di facile elezione.

L’adozione del metodo del voto di preferenza risponderebbe anche ad una esigenza di coerenza interna dell’ordinamento italiano. Esso, infatti, è elemento caratterizzante di ogni elezione eccetto, appunto, quella dei membri di Camera e Senato. Si scelgono con le preferenze i consiglieri comunali, i consiglieri regionali e anche i rappresentanti in seno al Parlamento Europeo. Anche sotto questo profilo, dunque, sarebbe opportuno rivedere la scelta delle liste bloccate e garantire, così, “l’allineamento dell’ordinamento elettorale a tutti i livelli”[35].

Un’ultima riflessione a riguardo è suggerita dall’etimologia: “eligere” significa “scegliere”. E difficilmente si può sostenere che le liste bloccate permettano all’elettore di farlo[36].

 

  1. Analogie e differenze con il modello tedesco.

A detta di chi l’ha pensato, il modello proposto è stato ispirato dal sistema elettorale tedesco, al punto che, in ossequio alla ormai consolidata prassi giornalistica di assegnare ad un sistema elettorale un nomignolo latinizzato (es. Mattarellum, Porcellum, Consultellum, Italicum, Rosatellum), già gli è stato affibbiato l’appellativo di Germanicum. Ma siamo certi che questo sia il nome più adeguato? È certamente vero che il sistema di elezione del Bundestag è un sistema di tipo proporzionale e che la soglia di sbarramento è fissata al 5%, ma è altrettanto vero che il modello proposto dall’on. Brescia differisce da quello tedesco sotto più di qualche aspetto.

In Germania, solo uno dei due rami del parlamento viene eletto direttamente dal popolo: il Bundestag. Per eleggere i suoi componenti, i cittadini hanno a disposizione un doppio voto, che opera così:

  • Con il primo voto, detto Erststimme, essi indicano il candidato che preferiscono fra quelli concorrenti per il seggio assegnato mediante il metodo del collegio uninominale. Il territorio tedesco, infatti, viene diviso in 299 collegi, ciascuno dei quali esprime un parlamentare, che viene scelto mediante il metodo first-past-the-post. Invero, in ciascun collegio, ogni partito presenta un solo candidato e il seggio viene assegnato al candidato che ha conseguito il maggior numero di voti;
  • Con il secondo voto, detto Zweitstimme, gli elettori si limitano a barrare il contrassegno della lista prescelta, accanto al quale è riportato l’elenco dei relativi candidati secondo il metodo delle liste bloccate.

Come si è detto, il sistema tedesco è un sistema proporzionale. Il secondo voto, infatti, serve proprio ai fini della rappresentanza proporzionale: ad ogni partito spettano, in termini percentuali, tanti seggi quanti sono i consensi ottenuti (ad es., al 20% dei consensi corrisponde il 20% dei seggi). Come è possibile questo, se ben 299 seggi vengono assegnati secondo il metodo del collegio uninominale? La risposta è semplice, ma non banale: il numero dei componenti del Bundestag non è fisso, ma flessibile! La Costituzione tedesca, infatti, fissa a 598 il  numero minimo dei deputati, ma, per far sì che il Bundestag rispecchi fedelmente le proporzioni espresse dall’elettorato mediante il secondo voto, prevede che tale numero possa aumentare di quanto necessario a tal fine.

Il meccanismo in questione diventa più chiaro facendo riferimento, a titolo esemplificativo, ai risultati elettorali del 2017, quando, in base ai consensi espressi dai cittadini tedeschi con il secondo voto, alla lista CSU sarebbe spettato il 6,49% dei seggi, pari, quindi, a 38 deputati su un totale di 598. In virtù del primo voto, però, essa ha vinto in 46 collegi uninominali e, dunque, avrebbe avuto diritto non più a 38, ma a ben 46 seggi. Per far fronte a tale squilibrio e preservare il principio della rappresentanza proporzionale del Bundestag, il sistema tedesco opera così: dal momento che la CSU avrebbe dovuto occupare in ogni caso il 6,49% dei seggi, il numero dei deputati è stato aumentato fino a quella cifra il cui 6,49% corrisponde proprio a 46, che è 709.

Nel 2017, infatti, la CSU è stata la lista per la quale si è verificato il maggiore squilibrio, in termini di risultati, fra primo e secondo voto. Di conseguenza, il numero dei seggi spettante alle altre liste è stata calcolato in base alla percentuale di consensi da esse ottenuta all’esito dello spoglio relativo allo Zweitstimme[37].

Va specificato, poi, che sono ammesse al riparto dei seggi le liste che hanno raggiunto la soglia del 5% dei voti validamente espressi sul territorio nazionale. Vi è, poi, un diritto di tribuna molto diverso da quello delineato dalla proposta di legge Brescia[38]. In Germania, infatti, hanno diritto di partecipare al riparto dei seggi e, quindi, a vedersi assegnata una percentuale di seggi pari a quella dei consensi ottenuti, quei partiti o gruppi politici che, pur non avendo raggiunto la soglia del 5%, siano risultati vittoriosi in almeno 3 collegi uninominali.

Quanto esposto innanzi evidenzia come il sistema proposto sia completamente diverso da quello in uso in Germania. Invero, più che di Germanicum, sarebbe opportuno parlare di Brescellum, facendo riferimento, come nel caso del Mattarellum e del Rosatellum, al nome del primo firmatario del progetto. Dopotutto, la proposta di legge Brescia “di tedesco ha solo una soglia al 5% e anche questa non è detto che sopravviverà al passaggio parlamentare”[39].

Il sistema tedesco, che qui si è cercato brevemente di delineare, è mosso sì da una logica proporzionale, ma anche da un naturale spirito federale che giustifica la forte esigenza di territorialità a cui rispondono il metodo del collegio uninominale e il diritto di tribuna (da intendersi, ovviamente, nella versione tedesca). A creare l’incastro perfetto fra proporzionalismo e federalismo ci pensa, poi, la flessibilità numerica del Bundestag.

Per aversi un vero e proprio Germanicum, dunque, non basterebbe una legge elettorale, ma sarebbe anche necessario metter mano alla Costituzione per modificare, nuovamente, le disposizioni relative al numero dei parlamentari. Tuttavia, per quanto il sistema tedesco possa ritenersi apprezzabile, intelligente, funzionale ed interessante, non bisogna dimenticare che esso è disegnato su misura per la Repubblica Federale di Germania e, come evidenziato, risponde alle logiche di questa.

È opportuno ricordare che la stabilità governativa che caratterizza l’esperienza politica tedesca deve molto al già menzionato meccanismo della sfiducia costruttiva. Se la flessibilità numerica del Bundestag riesce a fare sintesi fra le esigenze del proporzionalismo e quelle del federalismo, l’istituto della sfiducia costruttiva rende possibile la piena convivenza fra rappresentanza e stabilità governativa. Quest’ultimo profilo, di sicura importanza nell’esperienza tedesca, potrebbe rappresentare una giusta soluzione anche in quella italiana. Questa considerazione permette di sottolineare e ribadire quanto sia errato voler utilizzare la legge elettorale come lo strumento mediante il quale cercare di risolvere la questione della stabilità. Scopo della legge elettorale è quello di portare il Popolo in Parlamento e non, invece, quello di influenzare l’assetto politico, da cui la stabilità governativa dipende. Al di fuori della politica, l’unico mezzo utile a garantire stabilità ai Governi è la Costituzione, che disegna il perimetro entro il quale la politica svolge il suo ruolo. Sembra il caso, dunque, di concedersi una breve uscita fuori traccia per affermare che, forse, quella di ridisegnare tale perimetro inserendo in costituzione l’istituto della sfiducia costruttiva  rappresenta una delle poche proposte di riforma della nostra Costituzione dotate di senso compiuto.

 

  1. Conclusioni sull’opportunità politico-legislativa

Quanto testè affermato offre l’occasione di evidenziare come “la volontà di riformare ininterrottamente la legge elettorale metta a nudo le deficienze di un sistema politico dimostratosi incapace di ristrutturarsi dall’interno”[40]. Mediante il ripetuto ricorso a nuove leggi elettorali (ben cinque in venticinque anni!), il nostro ordinamento è stato sottoposto ad un forte stress[41]. Come già ampiamente affermato, infatti, la politica ha erroneamente cercato riparo “nella rimodellazione delle regole elettorali”[42] e nel farlo, peraltro, è stata smentita per ben due volte dalla Corte costituzionale.

Al di là delle riflessioni costituzionali a cui in questa sede si è cercato di dare sfogo, si ritiene che occorra mettere un freno al riformismo o, meglio, data la tendenza ormai quasi patologica del fenomeno, alla “riformite” elettorale. L’attuale sistema, il c.d. Rosatellum, ha poco più di due anni di vita, e, benché non perfetto, non sembra meritevole, quanto meno sotto il profilo dell’aderenza ai principi costituzionali, di una così breve esistenza. Non è, poi, da sottovalutare l’aspetto secondo cui è necessario che si instauri una certa “confidenza” fra l’elettore ed il modello elettorale. Un pieno e consapevole esercizio del diritto di voto, infatti, passa attraverso una buona conoscenza del sistema che ne regola il funzionamento.

[1] M.Volpi, Resoconto stenografico delle audizioni della commissione affari costituzionali presso la Camera dei Deputati, Indagine conoscitiva nell’ambito dell’esame della proposta di legge c. 2329 Brescia, Seduta n. 3 di Mercoledì 10 giugno 2020, p. 9, disponibile qui:

https://www.camera.it/leg18/1079?idLegislatura=18&tipologia=indag&sottotipologia=c01_collegi_elettorali&anno=2020&mese=06&giorno=10&idCommissione=01&numero=0003&file=indice_stenografico

[2] N. Bobbio e F. Pierandrei, Introduzione alla Costituzione, edizione 1980, p. 65

[3] Ivi

[4] M.Villone, Resoconto stenografico delle audizioni della commissione affari costituzionali presso la Camera dei Deputati, Indagine conoscitiva nell’ambito dell’esame della proposta di legge c. 2329 Brescia, Seduta n. 1 di Mercoledì 27 maggio 2020, p. 3, disponibile qui:

https://www.camera.it/leg18/1079?idLegislatura=18&tipologia=indag&sottotipologia=c01_collegi_elettorali&anno=2020&mese=05&giorno=27&idCommissione=01&numero=0001&file=indice_stenografico

[5] Ivi

[6] Così, M. Villone, op. cit., p. 3 e S.Passigli, Resoconto stenografico delle audizioni della commissione affari costituzionali presso la Camera dei Deputati, Indagine conoscitiva nell’ambito dell’esame della proposta di legge c. 2329 Brescia, Seduta n. 6 di Giovedì 25 giugno 2020, p. 19, disponibile qui:

https://www.camera.it/leg18/1079?idLegislatura=18&tipologia=indag&sottotipologia=c01_collegi_elettorali&anno=2020&mese=06&giorno=25&idCommissione=01&numero=0006&file=indice_stenografico

[7] M. Villone, op. cit., p. 3

[8] M. Volpi, op. cit., p. 9

[9] Ivi

[10] S. Passigli, op. cit, p. 19

[11] Definizione tratta dal vocabolario Treccani, disponibile qui:

https://www.treccani.it/vocabolario/sfiducia-costruttiva_%28Neologismi%29/

[12] S. Passigli, op. cit., p. 19

[13] O. Chessa, “Voto popolare e sistema elettorale nella Costituzione italiana”, in Rivista AIC, n. 3 del 2017, p. 17, disponibile qui:

https://www.rivistaaic.it/it/rivista/ultimi-contributi-pubblicati/omar-chessa/voto-popolare-e-sistema-elettorale-nella-costituzione-italiana

[14] D. Porena, Resoconto stenografico delle audizioni della commissione affari costituzionali presso la Camera dei Deputati, Indagine conoscitiva nell’ambito dell’esame della proposta di legge c. 2329 Brescia, Seduta n. 4 di Mercoledì 17 giugno 2020, p. 9, disponibile qui:

https://www.camera.it/leg18/1079?idLegislatura=18&tipologia=indag&sottotipologia=c01_collegi_elettorali&anno=2020&mese=06&giorno=17&idCommissione=01&numero=0004&file=indice_stenografico

[15] Ivi

[16] Corte costituzionale, sentenza n. 1, 13 gennaio 2014, Punto 1.2 del Considerato in diritto, disponibile qui:

https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=1

[17] M. Volpi, “La riduzione del numero dei parlamentari e il futuro della rappresentanza”, in costituzionalismo.it, fascicolo 1 del 2020, p. 67, disponibile qui:

https://www.costituzionalismo.it/wp-content/uploads/5.-Fasc.1-2020-Volpi.pdf

[18] Ivi

[19] M.Volpi, Resoconto stenografico delle audizioni della commissione affari costituzionali presso la Camera dei Deputati, Indagine conoscitiva nell’ambito dell’esame della proposta di legge c. 2329 Brescia, Seduta n. 3 di Mercoledì 10 giugno 2020, p. 10, disponibile qui:

https://www.camera.it/leg18/1079?idLegislatura=18&tipologia=indag&sottotipologia=c01_collegi_elettorali&anno=2020&mese=06&giorno=10&idCommissione=01&numero=0003&file=indice_stenografico

[20] Corte costituzionale, sentenza n. 193 del 24 settembre 2015, Punto 4.2 del Considerato in diritto, disponibile qui:

https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2015&numero=193

[21] Corte costituzionale, sentenza n. 1, 13 gennaio 2014, Punto 3.1 del Considerato in diritto, disponibile qui:

https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=1

[22] Nell’effettuare tale divisione non bisogna tener conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente

[23] D. Porena, op. cit., p. 10

[24] Liberi e Uguali, infatti, ha ottenuto il 5,69% dei voti in Basilicata, il 4,74% in Emilia Romagna, il 4,5% in Toscana e il 4,15% in Liguria

[25] Fratelli d’Italia, infatti, ha ottenuto il 5,44% dei voti in Friuli-Venezia Giulia, il 4,88% in Umbria, il 4,65% in Abruzzo, il 4,6% nelle Marche, il 4,28% in Veneto

[26] Corte costituzionale, sentenza n. 1, 13 gennaio 2014, Punto 5.1 del Considerato in diritto, disponibile qui:

https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=1

[27] Ivi

[28] Così, G. Azzariti, Resoconto stenografico delle audizioni della commissione affari costituzionali presso la Camera dei Deputati, Indagine conoscitiva nell’ambito dell’esame della proposta di legge c. 2329 Brescia, Seduta n. 2 di Mercoledì 3 giugno 2020, p. 10, disponibile qui:

https://www.camera.it/leg18/1079?idLegislatura=18&tipologia=indag&sottotipologia=c01_collegi_elettorali&anno=2020&mese=06&giorno=03&idCommissione=01&numero=0002&file=indice_stenografico

[29] G. Valditara, Resoconto stenografico delle audizioni della commissione affari costituzionali presso la Camera dei Deputati, Indagine conoscitiva nell’ambito dell’esame della proposta di legge c. 2329 Brescia, Seduta n. 7 di Mercoledì 30 giugno 2020, p. 10, disponibile qui:

https://www.camera.it/leg18/1079?idLegislatura=18&tipologia=indag&sottotipologia=c01_collegi_elettorali&anno=2020&mese=06&giorno=30&idCommissione=01&numero=0007&file=indice_stenografico

[30] S. Passigli, op. cit., p. 20

[31] Ivi

[32] D. Porena, op. cit., p. 11

[33] Così, G. Pisicchio, Resoconto stenografico delle audizioni della commissione affari costituzionali presso la Camera dei Deputati, Indagine conoscitiva nell’ambito dell’esame della proposta di legge c. 2329 Brescia, Seduta n. 3 di Mercoledì 10 giugno 2020, p. 6, disponibile qui:

https://www.camera.it/leg18/1079?idLegislatura=18&tipologia=indag&sottotipologia=c01_collegi_elettorali&anno=2020&mese=06&giorno=10&idCommissione=01&numero=0003&file=indice_stenografico

[34] D. Porena, op. cit., p. 9

[35] G. Pisicchio, op. cit. p. 6

[36] Così, S. Passigli, op. cit., p. 20

[37] Alla lista SPD, ad esempio, spettava il 21,58% dei seggi, pari a 125 su un totale di 598. In virtù del ricalcolo di cui si è detto, effettuato per ricomporre l’equilibrio proporzionale, le sono stati assegnati 153 seggi, pari, appunto, al 21,58% di 709.

[38] v. M. Volpi, op. cit., p. 10

[39] R. D’Alimonte, “Lo chiamavano Germanicum, ma non è un proporzionale per governi stabili” in Il Sole 24 ore del 12 gennaio 2020, disponibile qui:

https://www.ilsole24ore.com/art/lo-chiamavano-germanicum-ma-non-e-proporzionale-governi-stabili-ACC3eFBB

[40] M. Della Morte, “Deformare e riformare la torsione privatistica del campo rappresentativo come esito e come processo”, in costituzionalismo.it, n. 2 del 2019, p. 141, disponibile qui:

https://www.costituzionalismo.it/wp-content/uploads/Costituzionalismo_201902_716.pdf

[41] Così, G. Pisicchio, op. cit., pp. 3-4

[42] Ivi

Michele D'Onofrio

Michele D'Onofrio è nato a Bari nel 1992, vive a Pisticci (MT), dove ha conseguito la maturità classica. Si è laureato con lode in Giurisprudenza presso l'Università degli studi Aldo Moro di Bari discutendo una tesi in Diritto Costituzionale. È socio under 35 del Centro Studi Livatino e ne frequenta le iniziative di formazione giuridica. Attualmente svolge la pratica forense presso lo Studio Legale D'Onofrio, con sede a Pisticci, collabora con la rivista giuridica online Ius in itinere ed è componente del comitato di redazione della Rivista Semestrale di Diritto. È anche vicepresidente e responsabile del settore giovani di Azione Cattolica presso l'Arcidiocesi di Matera-Irsina.

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