mercoledì, Marzo 27, 2024
Diritto e Impresa

La brevettabilità del software: il caso “Alice Corp v. Cls Bank”

software

Da sempre la possibilità di brevettare un software (programma per elaboratore) è oggetto di accesi dibattiti. Gli esperti del settore legal e le aziende “tech” in larga parte auspicano una legislazione delle autorità in materia più chiara e che non lasci spazio ad interpretazioni e/o abusi ai danni di chi sulla ricerca investe realmente. In Italia e più in generale in Europa vi è una legislazione più chiara e semplice rispetto a quella statunitense. Il software, per essere tutelabile, deve necessariamente rispettare quelli che sono i requisiti richiesti per qualsiasi invenzione: deve possedere carattere tecnico (cioè presentare caratteristiche tecnologiche sostanziali e non puramente commerciali o matematiche), e deve possedere la novità, l’attività inventiva e l’applicabilità industriale. La tutelabilità del software tramite il brevetto per invenzione è soggetta ai requisiti di industrialità e di livello inventivo che condizionano la brevettabilità di qualsiasi invenzione. Stando al requisito dell’industrialità, il software risulta proteggibile laddove contribuisca alla soluzione di un problema tecnico.

Così ad esempio macchine, processi di produzione e sistemi di comando che siano controllati tramite un determinato software risultano suscettibili di protezione brevettuale. Il principale vantaggio della protezione offerta dal brevetto è costituito dal fatto che la protezione brevettuale non si limita a impedire la copia brutale del programma (come nel copyright) potendosi invece focalizzare sulle idee di soluzione, di portata più ampia ed essenziale, che sono alla base dello stesso, così da non risultare più sufficiente discostarsi dalla sua forma espressiva (scrittura) per poterne aggirare la protezione.
La legge brevetti italiana (Art.12 c.2/b), come la Convenzione sul Brevetto Europeo e la legislazione di altri paesi, escludono la protezione dei programmi per elaboratori in sé e in particolare la protezione di programmi di applicazione in un generico PC[1].

Tale esclusione tuttavia nella giurisprudenza di alcuni Uffici Brevetti è stata oggetto di alcuni distinguo miranti a riconoscere la proteggibilità di un programma di applicazione generica tutte le volte che è ravvisabile in esso la soluzione di un problema tecnico o un qualche effetto tecnico.
Così ad esempio presso l’Ufficio Brevetti Europeo è stata riconosciuta la proteggibilità di programmi che durante la loro esecuzione miglioravano sotto alcuni aspetti le prestazioni e le modalità operative del computer[2].

Riprendendo la giurisprudenza dell’EPO (European Patent Office): T208/84 (Vicom) “i programmi per computer sono brevettabili nella misura in cui forniscono un contributo tecnico rispetto allo stato dell’arte” e T1173/97 (IBM) “il contributo tecnico dovrebbe indicare un ulteriore effetto tecnico che vada al di là della normale interazione fisica tra programma e computer”.

Dopo questa doverosa e veloce premessa sulla giurisprudenza nostrana ed europea, analizziamo l’applicabilità del brevetto negli USA. Negli USA la legislazione è divenuta più chiara a seguito della nota sentenza “Alice Corp v. CLS Bank” della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha reso più difficoltoso brevettare un software.

Nella suddetta sentenza la Corte ha ribadito che non basta premettere la frase “con il computer” per brevettare un concetto astratto che costituisce “una pratica economica fondamentale ben nota nel sistema commerciale”.
Ma ricostruiamo brevemente la vicenda: Alice Corp è un’azienda australiana che detiene quattro brevetti per il funzionamento dell’acconto di garanzia su pc che è stata citata in giudizio da CLS Bank, un consorzio di banche che gestisce quotidianamente miliardi di euro tramite transazioni. La CLS Bank ha agito in maniera “preventiva” chiedendo l’annullamento dei 4 brevetti. La richiesta della banca era basata sul fatto che non bastava l’uso della frase “con il computer” per brevettare un principio che, in effetti, è applicato nelle pratiche commerciali da anni in tutto il mondo (l’escrow, cui vi rimandiamo alla relativa spiegazione in un nostro precedente articolo).

Il punto centrale di questa sentenza è proprio questo: capire quando l’uso del computer faccia la differenza, in altre parole, dove vada tracciata la linea di divisione tra un’idea astratta messa in pratica con l’aiuto di un pc e invece un’invenzione originale capace di realizzare qualcosa in maniera innovativa grazie all’ausilio dello strumento digitale. Insomma, il problema di fondo è quello della brevettabilità del software[3].

L’Alice Corp è una società che gli economisti chiamerebbero “Patent Troll[4], difatti Ian Shepherd (il ceo dell’Alice Corp) nel 1999 ha ricevuto quattro brevetti validi internazionalmente per l’idea di come si faccia a eseguire un Escrow su un normale computer. Attenzione, semplicemente l’idea, senza fornire né come il computer funzioni per realizzare un acconto di garanzia digitale, né alcun listato o codice sorgente di un eventuale software per eseguire queste operazioni. I brevetti erano mere idee mai realizzate. Come seconda mossa Shepherd ha fondato la Alice Corp, che non ha mai, dal canto suo, prodotto alcun tipo di software descritto nei brevetti né utilizzato i suddetti brevetti per alcun tipo di attività commerciale. Da qui la richiesta di una sentenza dichiarativa. È un’azienda che è praticamente la descrizione della voce “Patent troll” sul dizionario dei termini economici.

In conclusione con questa sentenza del 2014 la Corte Suprema ha sancito la non brevettabilità del software quando vi sia la sola dicitura generica “per computer” ed in generale quando non sia spiegato nel dettaglio il valore aggiunto e l’evoluzione tecnica che apporta la società per richiedere il brevetto, questo rende molto più complesso la brevettabilità del software.

Questo anche perché i software per propria natura sono di difficile brevettabilità. Difatti, per come sono concepiti, i brevetti sul software tendono ad essere intollerabilmente vaghi. Un brevetto dovrebbe avere una sua delimitazione sicura, in modo che un operatore esperto nel settore sia messo in grado di conoscere cosa sia oggetto del brevetto e cosa non lo sia. In un sistema in cui si brevettano sostanzialmente idee astratte e algoritmi, non processi e materiali esistenti in natura, di cui si dà solitamente una descrizione funzionale ad alto livello, non è possibile sapere in anticipo con un sufficiente margine di sicurezza cosa sia brevettato e cosa no[5].

Questa difficile applicabilità del brevetto ai software ha portato la giurisprudenza americana a chiedersi se non debba escludersi a priori tale possibilità, non ultimo è l’autorevole “opinion” del giudice Mayer che lo chiede espressamente (e chiaramente). Secondo il giudice i brevetti dei software andrebbero addirittura contro i principi costituzionali e nello specifico contro il I emendamento (libertà di parola), la tutela sarebbe fornita in un momento sbagliato e l’ambito di protezione è sproporzionato a ciò che viene rilevato. Il giudice Mayer, quindi, propone un’esenzione “per categoria” del software dall’ambito della protezione brevettuale con l’incisiva pronuncia “è ora che venga chiamata la campana a morto per i brevetti software”.

Pertanto il futuro della brevettabilità dei software si prospetta tutt’altro che pacifico, quanto piuttosto ricco di sfide e contenziosi soprattutto per l’emersione di tecnologie come Artificial Intelligence, Blockchain, etc che fanno ampiamente uso di software.

[1] Claudia Roggero, dandimedia.it

[2] id.

[3] Antonio Dini, Il Sole 24 ore

[4] I Patent Troll sono aziende create appositamente per brevettare ed in seguito agire in giudizio contro soggetti più forti rivendicando il proprio brevetto, con il solo fine di avere risarcimenti milionari

[5] Carlo Piana, Tech Economy

 

Riccardo Guarino

Riccardo è associate di PwC TLS, dipartimento di corporate & compliance. Fondatore, direttore ed a capo della sezione di diritto commerciale e societario della law review “Ius In Itinere” (rivista divulgativa), direttore della rivista semestrale di diritto (rivista con carattere scientifico), direttore e membro del comitato scientifico del Master in Compliance e Prevenzione della Corruzione nei Settori Pubblico e Privato della LUMSA e presidente della sezione giovani di AITRA (Associazione Italiana Trasparenza e Anticorruzione). Nel suo cv vanta importanti esperienze in Italia e all'estero. Ha collaborato precedentemente con primari studi legali (Tonucci & Partners e LCA Studio Legale), ha rappresentato la Federico II all’Human Right Moot Court Competition ed è stato delegato a New York in una simulazione internazionale sul funzionamento delle Nazioni Unite. Nella sua quinquennale esperienza ha potuto ampliare le sue competenze con uno specifico focus sul diritto commerciale e societario e tutto ciò che ne concerne, seguendo importanti aziende nazionali e internazionali in ogni aspetto della vita dell’impresa e nella consulenza day by day. Inoltre, Riccardo ha seguito numerosi progetti di corporate governance, con particolare focus nel campo del D.Lgs. 231/2001 (predisposizione ex novo e aggiornamento di modelli 231, supporto ad organismi di vigilanza, predisposizione di procedure e processi) e della compliance aziendale (predisposizione deleghe di funzioni, predisposizione matrici 2086 c.c., contrattualistica commerciale). È, altresì, autore di numerosi articoli e pubblicazioni in materia di diritto commerciale e societario con le più importanti case editrici italiane (Zanichelli, Cleup).

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