giovedì, Marzo 28, 2024
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Brexit e UE: la procedura di infrazione contro il Regno Unito

La Commissione Europea (di seguito anche “Commissione”) ha ufficialmente avviato una formale procedura di infrazione nei confronti del Regno Unito per violazione degli obblighi derivanti dall’accordo di recesso (Withdrawal Agreement) stipulato a seguito della Brexit.

La procedura di infrazione

Gli articoli 258, 259 e 260 TFUE prevedono il ricorso alla procedura di infrazione a fronte dell’inosservanza, da parte di Stati membri, di obblighi previsti dal diritto dell’Unione Europea, siano essi Trattati o diritto derivato come, ad esempio, direttive e regolamenti. Nello specifico, la procedura di infrazione consta di una fase di pre-contenzioso (ex art. 258 TFUE) e di una fase di contenzioso (ex artt. 259 e 260 TFUE). La fase di pre-contenzioso ha inizio con la lettera di costituzione in mora e si sviluppa attraverso una successiva, ed eventuale, richiesta di parere motivato. Qualora il summenzionato parere non venga fornito entro il termine richiesto o i relativi contenuti siano considerati inadeguati, la Commissione potrà procedere con ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (di seguito anche “CGUE”). Lo Stato Membro interessato sarà vincolato all’esecuzione della sentenza con cui la Corte di Giustizia decide tale ricorso. In caso di inosservanza del contenuto della sentenza, la Commissione potrà avviare la procedura ex art. 260 TFUE, con cui contesterà allo Stato un inadempimento, ulteriore, avente ad oggetto gli obblighi discendenti dalla sentenza.

La procedura di infrazione verso il Regno Unito per il c.d. “United Kingdom Internal Market Bill

In data 1 ottobre 2020, il Regno Unito ha ricevuto una lettera di costituzione in mora da parte della Commissione e gli è stato concesso il termine di un mese per fornire delle spiegazioni in relazione alla contestata violazione della normativa europea[1]. In particolare, al Regno Unito viene rimproverato di aver disatteso quanto concordato con l’accordo di recesso, entrato in vigore il 1 febbraio 2020, con cui l’Unione Europea ed il Regno Unito avevano regolamentato i loro futuri rapporti al fine di garantire una Brexit armoniosa ed ordinata.

Come noto, l’accordo consta di due parti principali: i) l’accordo di recesso vero e proprio, contenente altresì il Protocollo sull’Irlanda e l’Irlanda del Nord[2]ii) una dichiarazione politica, volta a promuovere una serrata collaborazione in svariati settori di interesse, tra cui la politica estera e un commercio equo e libero.

Il Protocollo sull’Irlanda e l’Irlanda del Nord, in particolare, risponde al principale obiettivo di evitare una frontiera fisica tra queste ultime, promuovendo una collaborazione Nord-Sud. Per impedire il sorgere di un “hard border” è previsto che l’Irlanda del Nord rimanga allineata a talune norme dell’UE, soprattutto quelle in materia di merci. La rinascita di tale confine fisico, difatti, implicherebbe il sorgere, nuovamente, di barriere faticosamente abbattute nel corso della risoluzione dei conflitti tra le due comunità, con ripercussioni non solo economiche, ma anche sociali. Per scongiurare tale scenario, il Protocollo su Irlanda e Irlanda del Nord dispone, in primo luogo, il mantenimento di una zona di libero spostamento, volta a promuovere la libertà di circolazione delle persone “da e verso l’Irlanda e all’interno dell’Irlanda dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, a prescindere dalla cittadinanza”.[3] Inoltre, in materia doganale, l’art. 5 del protocollo prevede l’assenza di dazi doganali per le merci trasportate direttamente da un’altra parte del Regno Unito all’Irlanda del Nord, a meno che non sussista un rischio che le stesse merci vengano immesse nel mercato unico dell’UE: ciò implica il mantenimento di un regime doganale unico. In tema di aiuti di Stato, inoltre, l’art. 10 prevede che continui ad essere applicata la relativa disciplina disposta a livello europeo, incluse “le misure a sostegno della produzione e del commercio di prodotti agricoli nell’Irlanda del Nord”.

Tuttavia, l’intesa raggiunta rischia di essere disattesa dalle previsioni contenute nello United Kingdom Internal Market Bill [4], che consentirebbe al Regno Unito di disapplicare o modificare le disposizioni concordate in tema di circolazione dei beni [5] ed aiuti di Stato, con la conseguenza di violare la summenzionata disciplina dei rapporti tra UE e UK (nello specifico, gli artt. 3, 5 e 10 del Withdrawal Agreement).

In relazione, ad esempio, agli aiuti di Stato, l’Internal Market Bill prevede la possibilità, per il Regno Unito, di decidere autonomamente rispetto “all’interpretazione, alla disapplicazione o alla modifica degli effetti dell’art. 10“. In particolare, il Regno Unito sarebbe autorizzato ad interpretare l’art. 10 del Withdrawal Agreement in maniera non conforme rispetto alla giurisprudenza ed alla legislazione europea, “inclusi regolamenti, direttive e decisioni che, altrimenti, sarebbero vincolanti per il Regno Unito”[6]. In pratica, le ambigue disposizioni dell’Internal Market Bill sembrerebbero consentire interpretazioni divergenti rispetto sia alla legislazione che alla giurisprudenza europea e, dunque, in aperto contrasto con gli obblighi assunti dal Regno Unito con il Withdrawal Agreement.

Nonostante l’accordo di recesso mirasse a rendere il periodo di transizione quanto meno “traumatico” possibile per i rapporti tra Unione Europea e Regno Unito, il Regno Unito sembra voler perseguire, con l’Internal Market Bill, finalità diverse. Invero, il governo britannico, guardando al confine tra Irlanda e Irlanda del Nord come l’ultimo punto di contatto tra il Regno Unito e l’Unione Europea, intende porsi sulla scena internazionale in maniera compatta, attraverso il ripristino di un’applicazione uniforme di medesimi standard e regole in tutto il Regno Unito.[7] Tutto ciò, risulterebbe in conflitto con quanto negoziato con l’UE e comporterebbe di fatto una disapplicazione dell’accordo, con l’introduzione di una disciplina elaborata in totale autonomia dal governo di Downing Street.

La proposta del Regno Unito si tradurrebbe in un’inosservanza degli obblighi assunti attraverso l’accordo di recesso e, più in generale, in un’inosservanza del principio di buona fede, secondo il quale l’Unione Europea e il Regno Unito sarebbero tenuti ad agire in sede di esecuzione dell’accordo (art. 5). Invero, l’art. 5 prevede un obbligo in capo alle parti di adottare ogni misura per assicurare l’adempimento dell’accordo, nonché un obbligo di astendersi da qualsivoglia “misura che possa mettere in pericolo la realizzazione dei suoi obiettivi[8].

Il progetto avanzato dal governo del Regno Unito con lo United Kingdom Internal Market Bill, spianando la strada ad interpretazioni difformi e finanche disapplicative della disciplina europea, rischierebbe di pregiudicare quel progetto di Brexit realizzato come “un sistema praticabile, costruito per durare[9]. Nulla di più distante dalla volontà manifestata dal governo Britannico con l’Internal Market Bill, seppur definita dal Segretario di Stato per la giustizia Buckland solo come “un’assicurazione”, uno strumento di emergenza cui ricorrere qualora le due parti non riescano raggiungere un accordo [10].

La procedura avviata dalla Commissione è stata, per i motivi esposti, considerata come un “atto dovuto” a fronte di violazioni ritenute evidenti. I tempi previsti dalla procedura di infrazione, tuttavia, sono lunghi, e questo potrebbe ripercuotersi negativamente su un proficuo prosieguo dei negoziati, essendo lo spettro di un no deal non ancora scongiurato [11].

 

[1]“Accordo di recesso La Commissione europea invia una lettera di costituzione in mora al Regno Unito per violazione dei suoi obblighi”https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_20_1798

[2] Protocollo su Irlanda e Irlanda del Nord”, disponibile qui https://ec.europa.eu/info/european-union-and-united-kingdom-forging-new-partnership/eu-uk-withdrawal-agreement/protocol-ireland-and-northern-ireland_it

[3] Art. 3, Protocollo su Irlanda e Irlanda del Nord

[4] Proposta di legge elaborata dal governo Johnson, è stata approvata dalla House of Commons con 340 voti favorevoli e 256 contrari. Sarà dunque sottoposta al vaglio della House of Lords, affinché sia oggetto di esame e di emendamenti, eventuali, in caso di disaccordo rispetto alle determinazioni assunte dalla House of Commons.

[5] Sezione 42, parte 5, United Kingdom Internal Market Bill.

[6] Sezione 43, parte 5, United Kingdom Internal Market Bill.

[7] A. Culbertson, “Brexit: What is the Internal Market Bill and why is it controversial?”, 15 settembre 2020, disponibile qui, https://news.sky.com/story/controversial-internal-market-bill-breaks-international-law-government-admits-12065832

[8] Art. 5, Accordo di Recesso Ue-Regno Unito

[9]Michel Barnier, 27 gennaio 2020, Belfast, “Protocollo su Irlanda e Irlanda del Nord”, disponibile qui

[10]Brexit: Buckland says power to override Withdrawal Agreement is ‘insurance policy’”, BBC, 13 settembre 2020, disponibile qui https://www.bbc.com/news/uk-politics-54137643

[11] F. Feroci, N. Pirozzi, E. Greco, Brexit: dall’Ue una procedura d’infrazione contro il Regno Unito, ottobre 2020, disponibile qui https://www.affarinternazionali.it/2020/10/procedimento-formale-di-infrazione-contro-il-regno-unito/

Marta Desantis

Marta Desantis, laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi del Sannio (con votazione di 110/110 e lode) con tesi in Comparazione e cultura giuridica dal titolo "Il risarcimento del danno Antitrust: analisi comparata tra il sistema europeo e statunitense". Praticante avvocato. Collaboratore dell'area di diritto internazionale.

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