Buono pasto da riconoscere anche durante le ferie
A cura di Federico Fornaroli
La Suprema Corte di Cassazione è stata nuovamente chiamata a dirimere una controversia concernente il concetto di retribuzione da dover considerare durante il periodo di ferie in ordine agli impatti derivanti dall’usuale riconoscimento dei c.d. buoni pasto in costanza di rapporto di lavoro.
Segnatamente, con ordinanza n. 25840/2024, gli Ermellini, confermando le pronunce di merito, ha ribadito la necessità di dover includere anche detti buoni al fine di determinare il valore della retribuzione da accordare durante il periodo feriale, andando, così, a dichiarare la soccombenza del datore di lavoro.
E ciò, in virtù degli orientamenti comunitari consolidatisi sul punto, che richiedono – in estrema sintesi – che la retribuzione corrisposta durante i giorni di ferie debba assicurare un trattamento equipollente a quello riconosciuto durante i giorni lavorativi ordinari, sì da evitare implicazioni economiche negative in capo al lavoratore e, quindi, disincentivare quest’ultimo dal fruire di detti giorni.
Tanto premesso, si tratta di una pronuncia alquanto discutibile, soprattutto poiché non risulta aver tenuto conto della natura dei buoni pasto, che non è retributiva, al pari, invece, della retribuzione. Difatti, essi sono tesi a supportare e agevolare il dipendente relativamente agli oneri afferenti alla pausa pranzo e, peraltro, non in tutti i casi, bensì solamente per coloro i quali ne abbiano diritto.
Dunque, i buoni pasto non sono un elemento retributivo, godono di soglie di esenzioni che permetterebbero – in linea di principio – di non richiamarli necessariamente nel contratto di lavoro e, specialmente, prescindono dal rapporto sinallagmatico, tipico di quello di lavoro.
Pertanto, stiamo parlando di un’ordinanza che desta stupore e potrebbe avere strascichi non indifferenti in merito a tutti quei casi in cui il nostro ordinamento rimandi ad una nozione di normale retribuzione (per es., per la maternità), benché la carenza di motivazioni nelle argomentazioni dei supremi giudici dovrebbe indurre a limitarne il rinvio in ipotesi analoghe, specie avendo a mente la granitica giurisprudenza in materia che, nel tempo, ha fornito ben altro tipo di dettaglio al riguardo.