venerdì, Marzo 29, 2024
Interviste

Business and Human rights: intervista all’avv. Giacomo Maria Cremonesi

All’interno della sfera dei diritti umani, esiste un filone di recente creazione dedicato ai rapporti che intercorrono tra business e human rights, due mondi, in apparenza, ontologicamente diversi, che la legge tenta di coniugare. Infatti, in un’epoca in cui l’economia impera, il compito più arduo per gli operatori dei diritti umani è conciliare le esigenze di una società capitalista con il nucleo dei diritti fondamentali.

Per approfondire tale tematica – ancora poco conosciuta! – l’area di diritto internazionale di Ius in itinere vi propone un’intervista con chi, quotidianamente, lavora in quest’ambito. Di seguito, le risposte di Giacomo Maria Cremonesi, avvocato presso Caiazza & Partners International Law Firm e co-fondatore dello Human Rights International Corner (HRIC), che si occupa del contenzioso in materia di diritti umani dinanzi alle corti italiane ed internazionali e fornisce consulenza e assistenza legale alle imprese in materia di human rights due diligence.

Prima di addentrarci nell’analisi più dettagliata della materia, partiamo da una semplice definizione di “business and human rights”? Di cosa si occupa un avvocato che cura tale ambito?

 La materia “business and human rights”, in italiano “impresa e diritti umani”, è nata e si è sviluppata al fine di prevenire e affrontare gli impatti negativi sui diritti umani generati dalle attività di impresa. L’attività dell’avvocato può riguardare a vario titolo tutti e tre i pilastri dei Principi Guida delle Nazioni Unite in materia di impresa e diritti umani che è lo strumento legislativo di riferimento. I tre “pilastri” sono: l’obbligo dello Stato di proteggere i diritti umani, la responsabilità dell’impresa di rispettare i diritti umani, e l’accesso ai rimedi. Nel concreto il professionista può, attraverso la propria attività di consulenza, supportare l’impresa nello svolgere correttamente la c.d. due diligence dei diritti umani. Inoltre, l’avvocato ha il compito fondamentale di contribuire a garantire alle vittime l’accesso ai rimedi sia giudiziari che extragiudiziari dando voce alle loro istanze.

Quali sono le fonti normative cui bisogna far riferimento nello studio di questa materia?

 Il Framework “Protect, Respect and Remedy” delle Nazioni Unite è stato presentato al Consiglio per i diritti umani nel 2008 e su tale base sono stati sviluppati i Principi Guida delle Nazioni Unite in materia di impresa e diritti umani (UN Guiding Principles on Business and Human Rights – UNGP), che sono stati approvato all’unanimità dallo Human Rights Council nel giugno 2011 e che, sebbene di tratti di soft law, rappresentano lo standard normativo principale della materia. Le principali fonti normative sono elencate nei Principi Guida.

Inoltre, l’Unione Europea ha adottato diversi provvedimenti anche legislativi per l’implementazione dei Principi Guida, uno dei più significativi è la Direttiva 2014/95/UE riguardante la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario. Numerosi stati europei, tra cui l’Italia, hanno adottato dei Piani di Azione Nazionale (PAN) per l’implementazione dei Principi Guida.

Le linee guida in materia di business and human rights sono articolate in sezioni: la prima è dedicata allo Stato e la seconda indirizzata alle imprese. Nell’analisi del testo, ho notato che mentre sullo Stato incombe il “duty to protect human rights”, nel caso delle imprese vi è una “responsability to respect human rights”: possiamo interpretare questa scelta linguistica e dire che il ruolo più importante resta quello affidato allo Stato in tema di protezione di diritti umani?

Per definizione lo Stato è il principale soggetto di diritto internazionale e pertanto deriva in capo allo Stato un obbligo di diritto internazionale generale di proteggere, rispettare e dare attuazione ai diritti umani (protect, respect and fulfil human rights). In generale, gli obblighi degli Stati in materia di diritti umani si distinguono in obblighi negativi e positivi: i primi impongono allo Stato di astenersi dalla violazione dei diritti umani, i secondi lo obbligano a porre in essere condotte o adottare misure che favoriscono il godimento dei diritti da parte degli individui tutelati. In questo senso, la scelta linguistica utilizzata nei Principi Guida non è assolutamente casuale, ma si fonda su un principio di diritto internazionale generale che riconduce in capo agli Stati un dovere, da cui deriva la responsabilità delle imprese di rispettare appunto i diritti umani. È proprio grazie ai Principi Guida ONU che è emerso il concetto di una responsabilità delle imprese autonoma ed indipendente rispetto a quella statale che si riferisce appunto al cosiddetto processo di due diligence (dovuta diligenza) che va attuato per monitorare, prevenire e mitigare eventuali effetti negativi della loro attività su persone ed ambiente.

In linea teorica, lo Stato non è responsabile per le violazioni dei diritti umani da parte di attori privati, come per esempio imprese o multinazionali sul suo territorio e/o nella sua giurisdizione. Ma, in realtà, vi sono dei casi in cui lo Stato può incorrere in responsabilità per violazioni commesse da terze parti…

 In linea di massima lo stato può incorrere in responsabilità quando non adempie ai propri obblighi positivi e permette ad una terza parte di violare i diritti umani. A riguardo è interessante analizzare la giurisprudenza della Corte Europea diritti dell’uomo con riferimento all’articolo 8 CEDU.

Non solo, i Principi Guida chiariscono che lo stato è responsabile anche in tutti i casi in cui partecipa a vario titolo all’attività di impresa attraverso ad esempio le proprie agenzie di credito all’esportazione, oppure attraverso le aziende a partecipazione statale o ancora quando privatizza la gestione di servizi che possono avere un impatto sui diritti umani.

Quali ritiene che siano le principali misure che uno Stato dovrebbe adottare per assicurare che le sue imprese rispettino i diritti umani? 

La risposta è articolata ed è da ricercare nei Principi Guida. Personalmente credo che lo Stato debba, da un lato, rendere obbligatoria la due diligence dei diritti umani per le imprese, dall’ altro assicurarsi che le proprie politiche, che possono avere un impatto a vario titolo sui diritti umani, siano sempre coerenti tra loro. Inoltre, ritengo che debba essere non solo garantito, ma anche facilitato l’accesso alla giustizia per le vittime.

L’introduzione della due diligence dei diritti umani obbligatoria per tutte le imprese medio-grandi nonché il miglioramento dell’accesso ai rimedi giudiziari per le vittime sono due degli obbiettivi strategici dello Human Rights International Corner (HRIC) di cui sono cofondatore.

Per quanto riguarda, invece, il profilo delle imprese, è stabilito che devono rispettare i diritti umani e, con tale locuzione, ci si riferisce ai “diritti umani internazionalmente riconosciuti”. Ma cosa si intende per “internazionalmente riconosciuti”?

Principalmente si fa riferimento al c.d. Bill of Rights, composto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici e la Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, un altro richiamo è fatto alle 8 Core Conventions dell’ILO.

Potrebbe fornirmi un esempio di violazione di diritti umani da parte di un’impresa?

Alcuni dei casi più celebri sono ad esempio il disastro di Bhopal (India) avvenuto nel 1984 quando una nube di gas tossico proveniente da uno stabilimento dell’azienda statunitense Union Carbide uccise migliaia di persone.

Recentemente il crollo del Rana Plaza in Bangladesh del 2013 dove sono morti più di mille operai che confezionavano prodotti di abbigliamento di grandi brand internazionali.

Con riferimento al nostro paese, tra i tanti casi, si potrebbe citare l’inquinamento ambientale nell’area dell’Ilva di Taranto.

Nelle linee guida è scritto che per identificare, prevenire, mitigare e verificare la responsabilità per gli impatti negativi sui diritti umani, un’impresa deve mettere in atto un processo di due diligence. Ma cosa si intende per human rights due diligence?

Il processo di human rights due diligence viene descritto nei Principi Guida ed è fondamentale per mettere l’impresa in condizione di identificare, prevenire, mitigare e verificare la responsabilità per gli impatti negativi sui diritti umani. Sebbene la descrizione di questo procedimento che viene fornita nei Principi sia già di per sé dettagliata, non esiste un unico e solo standard operativo di riferimento globalmente riconosciuto per mettere in atto tale processo, ma ne esistono diversi creati da fonti disparate più o meno autorevoli.

Per spiegare cosa significa in concreto mettere in atto la human rights due diligence potremmo dire che l’impresa deve fare una valutazione di quelli che sono i molteplici impatti della propria attività sui diritti umani e, partendo da questa analisi, deve agire al fine di prevenire possibili violazioni o quantomeno porvi rimedio qualora esse si verifichino. Si tratta di un procedimento che deve essere continuo e che va reso trasparente attraverso una periodica attività di comunicazione agli stakeholders interni ed esterni.

In quale modo le imprese e le multinazionali possono, a suo parere, prevenire gli impatti negativi sui diritti umani?

È importante che le procedure richieste per porre in essere la human rights due diligence siano condivise e implementate sia all’interno delle diverse società che formano il gruppo societario sia dai vari business partner dell’impresa.

Il rischio è che la società capogruppo di una multinazionale crei delle policy in materia di diritti umani e procedure annesse unicamente per esigenze di compliance e che tali direttive non vengono di fatto rispettate all’interno del gruppo risolvendosi in un mero strumento di marketing.

Claudia Cantone

Laureata con lode e menzione presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Napoli "Federico II", ha conseguito il dottorato di ricerca in "Internazionalizzazione dei sistemi giuridici e diritti fondamentali" presso l'Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli". Durante gli anni di formazione, ha periodi di ricerca all'estero presso l'Università di Nantes (Francia), l'Università di Utrecht (Olanda) e il King's College London (Regno Unito). Avvocato presso lo studio legale "Saccucci & Partners", specializzato nel contenzioso nazionale e internazionale in diritti umani e diritto penale europeo e internazionale. Indirizzo mail: claudia.cantone@gmail.com

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