C.T.U. e Verificazione nel processo amministrativo
Il processo amministrativo è un giudizio caratterizzato da una “lotta impari” poiché solitamente avviene tra una parte pubblica che ha piena disponibilità di tutto quanto possa essere utile ai della dimostrazione della legittimità del proprio operato ed una parte privata che non sempre ha piena contezza di tutti gli elementi che, in un giudizio a carattere impugnatorio, hanno portato alla formazione del provvedimento.
Nella giurisdizione amministrativa, considerata la posizione tra le parti del processo, il principio di disposizione della prova, generalmente codificato negli artt. 115 c.p.c e 2697 c.c., è stato temperato in ragione della naturale non pariteticità di posizione tra il privato e la P.A. tramite il c.d. principio dispositivo con metodo acquisitivo nell’ambito del quale l’onere della prova – proprio del modello dispositivo puro civilistico – viene mitigato nel c.d. principio di prova in cui, fermo restando l’onere a carico delle parti (artt. 63 e 64 c.p.a.) la parte interessata, ovverosia il privato, può limitarsi ad affermare l’esistenza di un documento che ritenga decisivo poiché il giudice, pur sempre vincolato alle richieste presentate dalle parti, può procedere all’acquisizione di informazioni e documenti anche indipendentemente da tali istanze, in conformità al c.d. metodo acquisitivo (art. 64 c. 3 c.p.a.).
Sul punto infatti l’ art. 64 c.p.a. al comma 1 dispone che “spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni” ed al comma 3 che “il giudice amministrativo può disporre, anche d’ufficio, l’acquisizione di informazioni e documenti utili ai fini del decidere che siano nella disponibilita’ della pubblica amministrazione”.
Peraltro, con disposizione di chiusura che evoca il principio di non contestazione cristallizzato dall’art. 115 c.p.c., in guisa decisiva per la fattispecie in esame il comma 2 dell’art. 64 del Codice del processo amministrativo dispone che “salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite”.
Dunque, è ormai ius receptum che il ricorrente che si dolga “di un atto dell’autorità, possa limitarsi alla mera contestazione dei presupposti di fatto e di diritto sui quali si è radicata l’azione amministrativa e attendere che sia il giudice ad acquisire il materiale probatorio necessario al giudizio, dovendo essa, invece, offrire, a sostegno della pretesa azionata in giudizio, adeguati riscontri probatori quantomeno rispetto agli elementi dei quali ha una disponibilità” (cfr. T.A.R. Campania, Napoli Sez. IV sent. n. 4375/2018; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I sent. n. 11420/2018; Cons. St., sez. IV, sent. n. 574/2018; TAR Sicilia, Catania, sez. III, sent. n. 1356/2018).
L’onere che ricade in capo al privato è un principio di prova circoscritto necessariamente a tutti gli elementi di cui ha disponibilità ovvero la possibilità di reperimento, ed infatti il ricorrente “è tenuto a prospettare al giudice una ricostruzione attendibile sotto il profilo di fatto e giuridico delle circostanze addotte” (Cons. St. Sez. IV sent.n. 2672/2019).
Il giudice amministrativo può disporre dell’assunzione di tutti i mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile, ad esclusione dell’interrogatorio formale e del giuramento che sono prove legali.
Ai fini d’interesse il G.A. dispone di strumenti di ausilio nella valutazione della prova ovvero:
la verificazione è strumento che, sostanzialmente, mira ad un mero accertamento tecnico di natura non valutativa e consiste in indagini richieste ad un organismo verificatore ovverosia ad una pubblica amministrazione – diversa da quella che ha emanato l’atto oggetto di scrutinio – e secondo la littera legis, anche considerando la particolare snellezza, di forma e di modalità di accertamento che la connotano – benché le minori garanzie d’imparzialità – dovrebbe essere il mezzo privilegiato dal G.A. visto il disposto dell’art. 63 c. 4 c.p.a. secondo cui, in alternativa, è possibile disporre la consulenza tecnica d’ufficio se indispensabile; la consulenza tecnica d’ufficio invece, mira all’acquisizione di un giudizio tecnico e fermo restando che non può ritenersi come una relevatio ab onus probandi, svolge una funzione di ricerca della prova (c.d. consulenza tecnica percipiente), avente la funzione di fornire al giudice i necessari elementi di valutazione quando la complessità sul piano tecnico-specialistico dei fatti di causa impedisca una compiuta comprensione (c.d. consulenza tecnica deducente) e si caratterizza per la nomina di un tecnico terzo individuato dal G.A. a cui si demanda l’accertamento di un fatto non ricavabile dalle risultanze documentali. 1
Oramai in giurisprudenza è pacifica la circostanza secondo cui, ove il Giudice abbia disposto c.t.u. e condivida i risultati quest’ultimo sia pervenuto, l’accettazione del parere del consulente ex se costituisce un’adeguata motivazione c.d. per relationem2 laddove ove invece intenda discostarsene “egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u. “3
Da ultimo, rispetto alla verificazione, le Sez. Unite della Suprema Corte di Cassazione con l’ord. 159/2020 hanno chiarito che si tratta di un mero strumento processuale cognitivo e non valutativo che, è sì un parere tecnico ma non espressione di discrezionalità amministrativa di talché “deve, conseguentemente escludersi in modo radicale qualsiasi vincolatività dei giudizi valutativi del verificatore sulla autonomia della cognizione del giudice amministrativo rispetto alle conclusioni assunte in sede di accertamento tecnico.”4
1È opportuno rilevare come i due strumenti differiscano anche nelle modalità di assunzione e disposizione: infatti, ad esempio, da parte del verificatore non è prevista la prestazione del giuramento ed inoltre in capo allo stesso non ricadono nemmeno le norme relative alla responsabilità del perito, d’astensione e ricusazione, proprie invece del c.t.u.
2Corte appello Catania sez. II, 21/01/2020, n.175; T.A.R. Napoli, (Campania) sez. VI, 14/01/2016, n.184.
3Cassazione civile sez. I, 03/03/2011, n.5148; Consiglio di Stato sez. V, 27/08/2012, n.4610.
4Le SS.UU. con la sentenza n. 16893 del 2017 avevano già chiarito, escludendo lo sconfinamento dall’esercizio del potere giurisdizionale, che: “l’eccesso di potere giurisdizionale in senso proprio – inteso, cioè, quale esorbitanza dai limiti esterni che segnano l’ambito della sua giurisdizione – ricorre qualora il giudice amministrativo, in materia nella quale la legge gli assegna una potestas iudicandi limitata alla sola indagine sulla legittimità degli atti amministrativi, abbia effettuato, invece (o anche) un sindacato di merito, provvedendo per motivi di siffatta natura all’annullamento dell’atto oppure alla sua sostituzione mediante una pronunzia autoesecutiva, intendendosi per tale quella che abbia il contenuto sostanziale e l’esecutorietà stessa del provvedimento sostituito, senza salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa “
Giovane professionista specializzata in diritto amministrativo formatasi presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
Conseguito il titolo di Dottoressa Magistrale in Giurisprudenza a 23 anni il 18/10/2018 con un lavoro di tesi svolto con la guida del Professor Fiorenzo Liguori, sviluppando un elaborato sul Decreto Minniti (D.l. n. 14/2017) intitolato “Il potere di ordinanza delle autorità locali e la sicurezza urbana” , ha iniziato a collaborare con il Dipartimento di Diritto Amministrativo della rivista giuridica “Ius in Itinere” di cui, ad oggi, è anche Vicedirettrice.
Dopo una proficua pratica forense presso lo Studio Legale Parisi Specializzato in Diritto Amministrativo e lo Studio Legale Lavorgna affiancata, parallelamente, al tirocinio presso il Consiglio di Stato dapprima presso la Sez. I con il Consigliere Luciana Lamorgese e poi presso la Sez. IV con il Consigliere Silvia Martino, all’età di 26 anni ha conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione forense, esercitando poi la professione da appartenente al COA Napoli.
Da ultimo ha conseguito il Master Interuniversitario di secondo livello in Diritto Amministrativo – MIDA presso l’Università Luiss Carlo Guidi
di Roma, conclusosi a Marzo 2023 con un elaborato intitolato “La revisione dei prezzi nei contratti pubblici: l’oscillazione tra norma imperativa ed istituto discrezionale”.
Membro della GFE ha preso parte alla pubblicazione del volume “Europa: che fare? L’Unione Europea tra crisi, populismi e prospettive di rilancio federale”, Guida Editore; inoltre ha altresì collaborato con il Comitato di inchiesta “Le voci di dentro” del Comune di Napoli su Napoli Est.
Da ultimo ha coordinato l’agenda della campagna elettorale per le elezioni suppletive al Senato per Napoli di febbraio 2020 con “Napoli con Ruotolo”, per il candidato Sandro Ruotolo.
federica.gatta@iusinitinere.it – gattafederica@libero.it