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Cass. Civ., sez I, 29 gennaio 2019, n. 2473

L’attività illecita, consistente nell’appropriazione o nella contraffazione di un marchio, mediante l’uso di segni distintivi identici o simili a quelli legittimamente usati dall’imprenditore concorrente, può essere da quest’ultimo dedotta a fondamento non soltanto di un’azione reale, a tutela dei propri diritti di esclusiva sul marchio, ma anche, e congiuntamente, di un’azione personale per concorrenza sleale, ove quel comportamento abbia creato confondibilità fra i rispettivi prodotti.

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24829/2016 proposto da:

S. Fratelli Organizzazione Internazionale per Le Onoranze Funebri S.a.s., in persona socio accomandatario S.M., elettivamente domiciliata in Roma, Via XX Settembre, 1, rappresentata e difesa dall’avvocato Vitali Paolo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Servizi Funebri C. S.a.s. di R.M. & C., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Regina Margherita, 270, rappresentata e difesa dall’avvocato Bagnardi Roberto Maria, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5469/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/10/2018 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO;

udito l’avv. Vitali Paolo per il ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’avv. Bagnardi Roberto Maria per il controricorrente, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. – S. Fratelli Organizzazione Internazionale per le Onoranze Funebri di S.M. s.a.s., società operante nel settore dei servizi funerari e titolare del marchio ” S.”, conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Roma, Servizi Funebri C. s.a.s. di R.M., lamentando la violazione dei propri diritti di esclusiva sull’uso del marchio: violazione operata attraverso la reiterata pubblicazione, in due distinte edizioni delle Pagine Gialle e delle Pagine Bianche, degli annunci pubblicitari per servizi funebri in cui era utilizzato il segno distintivo suddetto. Spiegava l’attrice di aver identificato in Servizi Funebri C. l’autore delle inserzioni pubblicitarie, in cui comparivano numeri telefonici anonimi. Ha quindi domandato l’inibitoria e la condanna della controparte al risarcimento del danno, oltre che la pubblicazione della sentenza da emettersi.

Il Tribunale di Roma, nella resistenza della società C., respingeva le domande attrici rilevando come la commissione degli annunci in contestazione era stata fatta dalla convenuta per conto di una società terza, denominata Onoranze Funebri S.F. s.r.l., e non nel proprio interesse; il giudice di prime cure osservava altresì che la titolarità, in capo a un medesimo soggetto – R.M. – delle cariche di amministratore sia di quest’ultima società che della società C. spiegava come quanto indicato fosse potuto accadere.

2. – L’attrice soccombente proponeva gravame che veniva rigettato dalla Corte di appello di Roma in data 5 ottobre 2015.

3. – Contro la pronuncia della nominata Corte ha proposto ricorso per cassazione la società S. Fratelli Organizzazione Internazionale con tre motivi; resiste con controricorso la società C.. Sono state depositate memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo è denunciata la violazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Rileva l’istante che la Corte di merito aveva mancato di prendere in considerazione un fatto, non contestato, che

costituiva elemento fondamentale dell’attività illecita posta in essere da controparte: ciò aveva poi inciso sia sul giudizio avente ad oggetto l’usurpazione del marchio, sia sull’individuazione della pretesa azionata. Spiega l’istante che il giudice distrettuale non aveva considerato il dato, pacifico in causa, per cui i numeri di telefono riportati nei messaggi pubblicitari coincidevano con quelli della società C..

Il secondo motivo censura la sentenza impugnata sempre per violazione dell’art. 112 c.p.c. e prospetta, quale conseguenza della omessa pronuncia, la nullità della sentenza. Osserva la ricorrente che la propria domanda riguardava non solo la contraffazione del marchio, ma anche l’illecito concorrenziale e che ciò risultava sia dalla parte espositiva dell’atto di citazione che dalle conclusioni ivi contenute. La Corte di Roma aveva pertanto omesso di statuire sulle domande conseguenti, tra cui quelle di risarcimento del danno e di inibitoria.

Con il terzo motivo l’istante lamenta la motivazione apparente: deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e denuncia la nullità della sentenza per error in procedendo. Assume che la motivazione del provvedimento impugnato risultava essere carente: il giudice dell’impugnazione avrebbe infatti dovuto spiegare la ragione per cui Romagnoli, pur potendo agire in nome e per conto di S.F. s.r.l., aveva

commissionato la pubblicità in nome per conto di C.. Il fatto che il detto R. fosse amministratore e legale rappresentante sia di quest’ultima società che della società S.F. non spiegava le ragioni per le quali l’odierna controricorrente avesse inteso agire a proprie spese nell’interesse di un soggetto terzo.

2. – Occorre anzitutto escludere l’inammissibilità del ricorso, eccepita dalla controricorrente.

I motivi di impugnazione contengono, difatti, l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte censure; nè ha fondamento la doglianza circa il cumulo, in un unico motivo, di deduzioni relative alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto e a vizi motivazionali: il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta – come nella specie è accaduto – di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass. Sez. U., 6 maggio 2015, n. 9100).

Quanto alla prospettata ricorrenza dell’ipotesi di cui all’art. 360 bis c.p.c., comma 1, deve negarsi che l’impugnazione proposta si fondi sulla contestata conformità della pronuncia a principi consolidati di questa S.C. e che la sentenza impugnata abbia deciso questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità.

3. – Il primo e il secondo motivo, che possono esaminarsi congiuntamente, sono fondati nei sensi di cui appresso.

La Corte di appello ha rilevato che dagli atti di primo grado non si ricavava che l’attrice avesse affermato che i numeri telefonici indicati nella pubblicità coincidessero con quelli della società C. e che, inoltre, non era mai stata posta a fondamento della domanda risarcitoria “una condotta diversa dall’usurpazione del marchio registrato S.”. Ne ha desunto che dovevano disattendersi le doglianze relative alla dedotta omessa pronuncia del giudice di prime cure con riferimento alla pretesa fondata sullo “sfruttamento diretto della pubblicità”. Così chiariti i termini della domanda proposta, la Corte distrettuale ha ritenuto insuperabile la valorizzazione, da parte del giudice di prima istanza, del difetto di interesse della società C. nell’uso del patronimico S., non presente nella propria denominazione sociale, così escludendo che l’odierna controricorrente avesse parte all’usurpazione del marchio posta a sostegno della domanda. Ha poi asserito non sussistessero elementi probatori sufficienti per ritenere dimostrata la tesi dell’appellante, basata sull’esistenza di “un vero e proprio piano che passando dal controllo di una società che utilizza illegittimamente il patronimico S. e dalla violazione del marchio registrato della società attrice, aveva quale scopo finale quello di usurpare il prestigio economico e commerciale della S.”.

Va però osservato che, contrariamente a quanto affermato dal giudice del gravame, l’odierna ricorrente aveva puntualmente dedotto, nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, che attraverso il numero telefonico presente sull’elenco telefonico, associato al nome S., si entrava in contatto proprio con la società Servizi Funebri C.. Risulta così smentito l’assunto della Corte territoriale (pag. 7 della sentenza impugnata) secondo cui la domanda attrice si sarebbe basata sul fatto che C. semplicemente commissionò la pubblicità nell’interesse di S. s.r.l. (senza quindi aver parte nello sviamento di quella clientela che, contattando il numero telefonico presente sulle Pagine Gialle e sulle Pagine Bianche, credeva di raggiungere la società ricorrente). La deduzione formulata nella nominata memoria non poteva pertanto considerarsi estranea al thema decidendum e la Corte di merito avrebbe dovuto misurarsi con essa: l’averla esclusa dal novero delle allegazioni attoree ha determinato, come conseguenza, l’omessa pronuncia su di un profilo della condotta della convenuta che era stato posto alla base della domanda proposta.

L’affermazione, contenuta nella decisione impugnata, secondo cui la società istante avrebbe fondato la propria domanda sul solo comportamento di usurpazione del marchio registrato S. appare, poi, per un verso non concludente e, per altro verso, errata.

E’ non concludente in quanto l’attività usurpativa del marchio è astrattamente configurabile anche in presenza della condotta descritta nella succitata memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6: non può infatti di certo escludersi che, attraverso la comunicazione telefonica coi clienti che credevano di raggiungere la società ricorrente, C. abbia direttamente sfruttato il marchio di questa – accreditandosi come titolare del detto segno distintivo -, o altrimenti concorso nell’attività usurpativa di S. s.r.l., prestando un contributo causale alla condotta illecita di tale società.

La richiamata affermazione è inoltre errata, in quanto, come riconosciuto dall’odierna controricorrente, nell’agire in giudizio, l’attrice aveva domandato si accertasse che la condotta posta in atto da controparte integrava pure concorrenza sleale. L’illecito concorrenziale era evidentemente correlato alle medesime condotte che l’odierna ricorrente aveva denunciato come fondanti l’usurpazione del segno: ma tale evenienza non era di ostacolo al delinearsi della fattispecie di cui all’art. 2598 c.c.. Come è noto, infatti, l’attività illecita, consistente nell’appropriazione o nella contraffazione di un marchio, mediante l’uso di segni distintivi identici o simili a quelli legittimamente usati dall’imprenditore concorrente, può essere da quest’ultimo dedotta a fondamento non soltanto di un’azione reale, a tutela dei propri diritti di esclusiva sul marchio, ma anche, e congiuntamente, di un’azione personale per concorrenza sleale, ove quel comportamento abbia creato confondibilità fra i rispettivi prodotti (Cass. 19 giugno 2008, n. 16647).

In sintesi, dunque, la sentenza impugnata è passibile di censura laddove ha omesso di statuire in merito alle conseguenze – astrattamente rilevanti sui diversi piani dell’usurpazione del marchio e della concorrenza sleale – della condotta posta in atto da C.: condotta consistente, secondo l’attrice, nell’aver fornito, attraverso gli annunci pubblicitari in cui compariva il patronimico S., numeri telefonici riferibili alla stessa società controricorrente, in modo che la clientela contattasse essa nel mentre riteneva di rivolgersi alla ricorrente.

3. – Il terzo motivo rimane assorbito.

4. – La sentenza è cassata e la causa viene rinviata alla Corte di Roma, incaricata di pronunciarsi anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte:

accoglie i primi due motivi di ricorso e dichiara assorbito il terzo; cassa al sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma, la quale, in diversa composizione, pronuncerà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 23 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2019

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