mercoledì, Marzo 27, 2024
Diritto e Impresa

Cass. civ., sez. I civ., sentenza 23 novembre 2020, n. 26568

commento breve a cura di Sabino Quercia

Con la sentenza in epigrafe la Prima sezione civile della Suprema Corte di Cassazione torna a pronunciarsi in materia di effetti del concordato preventivo sui rapporti giuridici preesistenti, contenuta nell’art. 169 bis L. Fall., tracciandone la disciplina ed affrontando in chiave innovativa alcune questioni controverse.

Innanzitutto, al fine di affermare una tendenziale uniformità fra la disciplina concordataria e la procedura fallimentare, gli Ermellini si interrogano sul corretto significato da attribuire alla nozione di “pendenza contrattuale”.

Deve premettersi, infatti, che, a differenza dell’art. 72 L. Fall. in cui il legislatore ravvisa un’ipotesi di pendenza per il caso in cui il contratto risulti “ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti”, la disciplina concordataria offre al debitore la possibilità di chiedere al Tribunale (oppure, dopo il decreto di ammissione, al Giudice Delegato) l’autorizzazione a sciogliersi dai contratti che sono genericamente “in corso di esecuzione alla data di presentazione del ricorso”.

Orbene, la portata del problema così delimitato non può considerarsi di marginale importanza dal momento che l’interpretazione della norma avrà l’immediato effetto di restringere o, viceversa, di ampliare il novero dei rapporti contrattuali che risultano passibili di scioglimento ove il debitore proponga ricorso ex art. 161 L. Fall.

Secondo i giudici di legittimità la questione prospettata merita di essere risolta e ricondotta al dibattito che ha portato il legislatore, nel 2015, a modificare la rubrica dell’art. 169 bis L. Fall. da “contratti in corso di esecuzione” a “contratti pendenti”, esprimendo l’esigenza che l’ambito applicativo della disciplina non possa e non debba differire dalla disciplina dettata nell’ambito delle procedure fallimentari.

Pertanto, seppur il corpo del citato art. 169 bis L. Fall parli tutt’ora genericamente di “contratti in corso di esecuzione” senza alcun riferimento ad “entrambe le parti”, devono necessariamente ricomprendersi nel suo alveo tutti i contratti ineseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti alla data di presentazione del ricorso, avuto riguardo alle prestazioni principali del sinallagma contrattuale.

Diversamente, nessun’istanza potrà essere proposta e conseguentemente autorizzata ove sia richiesto lo scioglimento di contratti a prestazione corrispettive in cui una delle parti abbia già integralmente eseguito la propria prestazione (nel caso di specie la Cassazione, accogliendo le doglianze di parte ricorrente, ritiene che non possa trovare applicazione la disciplina del citato art. 169 bis relativamente al contratto preliminare di compravendita in cui, prima del deposito dell’istanza di scioglimento, il promissario acquirente aveva già versato l’intero prezzo, era stato immesso nella detenzione dell’immobile ed aveva promosso giudizio ex art. 2932 c.c. al fine di ottenere la prestazione del consenso dell’altra parte alla stipulazione del contratto definitivo).

Nel solco di questo principio, i Giudici di Legittimità si spingono oltre e, partendo dalla fattispecie sottostante in cui il promittente venditore contravveniva all’esecuzione del contratto secondo buona fede ai sensi dell’art. 1375 c.c., analizzano i criteri ed i principi che devono ispirare il comportamento processuale dell’organo giudicante, chiamato vagliare l’ammissibilità del piano concordatario e, nello specifico, la richiesta di scioglimento di un contratto pendente.

Se è vero che la scelta del legislatore di permettere lo scioglimento dei contratti pendenti risponde all’esigenza di ottimizzare e potenziare lo strumento concordatario, è altrettanto vero che tale obiettivo non può e non deve essere perseguito attraverso l’abuso dello stesso, nel perseguimento di interessi esorbitanti ad una corretta regolazione della crisi di impresa.

Ne consegue che il giudice sarà chiamato ad un’ampia valutazione, in linea con i principi della normativa comunitaria in tema di ristrutturazione preventiva, tesa a verificare che il debitore, nel formulare un piano che contempli l’autorizzazione allo scioglimento dal contratto pendente, a norma dell’articolo 169 bis L. Fall., abbia agito conformemente ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, in modo da evitare che ne derivi un ingiusto pregiudizio a carico dell’altro contraente, con conseguente abuso dello strumento concordatario.

Corte di Cassazione, sez. I civile, sentenza 23 novembre 2020, n. 26568 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

SENTENZA

sul ricorso 19080/2017 proposto da:

Fiore Luigi, elettivamente domiciliato in Roma, Via F. Paulucci De’ Calboli n. 9, presso lo studio dell’avvocato Sandulli Piero, rappresentato e difeso dagli avvocati Basilavecchia Massimo, Giardini Mirta, giusta procura in calce al ricorso

  • ricorrente –

ControEugenio Cetrullo S.a.s. di Alberto Cetrullo & C. in Concordato Preventivo, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Lungotevere dei Mellini n. 7, presso lo studio dell’avvocato Silvetti Massimiliano, rappresentato e difeso dall’avvocato Caffè Claudio Rosario, giusta procura speciale in calce al controricorso, rinunciante al mandato come in atti

  • controricorrente –

Contro

Giusti Marco, quale Commissario giudiziale del Concordato  preventivo di Eugenio Cetrullo S.a.s. di Alberto Cetrullo & C.; Procura Generale presso la Corte di Appello di L’Aquila

  • intimati –

avverso la sentenza n. 14/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,pubblicata il 30/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/09/2020 dal Consigliere Paola Vella;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Giovanni Battista Nardecchia che ha concluso per l’infondatezza del ricorso e contestuale rigetto;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato Giardini M. che si riporta.

FATTI DI CAUSA

1.Con sentenza del 30/05/2017, la Corte d’appello di L’Aquila ha respinto il reclamo ex art. 183 legge fall. proposto da Luigi Fiore contro il decreto del 16/01/2017 con cui il Tribunale di Pescara aveva omologato il concordato preventivo della società “Eugenio Cetrullo S.a.s. di Alberto Cetrullo & C.”, rigettando l’opposizione da egli proposta quale promissario acquirente di un immobile in costruzione – poi ultimato e incluso nell’attivo concordatario – in forza di contratto preliminare di compravendita del 26/11/2011, seguito da domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre ex art. 2932 cod. civ., pacificamente introdotta prima della domanda di ammissione al concordato preventivo della predetta società, ma trascritta dopo la sua iscrizione nel registro delle imprese.

1.1. Dalla cronologia dei fatti di causa riportati in sentenza risulta:

  • che in data 19/05/2014 la promittente venditrice “Eugenio Cetrullo S.a.s. di Alberto Cetrullo & C.” ha dato atto dell’integrale versamento del prezzo di Euro 405.000,00 da parte del promissario acquirente Luigi Fiore (tramite acconti e saldo di Euro 55.000,00 a compensazione dei lavori di completamento dell’immobile effettuati direttamente da quest’ultimo);

  • che il 03/06/2014 il Fiore ha proposto domanda ex art. 2932 cod. civ. (accolta dal Tribunale di Vasto con sentenza del 13/05/2016, poi gravata da appello) e il 12/06/2014 è stato «immesso dalla società nel possesso dell’immobile (verbale di consegna in atti)»;

  • che in data 01/08/2014 la società ha proposto domanda di concordato preventivo liquidatorio, ammesso dal Tribunale di Pescara con decreto del 05/06/2015;

  • che il 24/06/2015 il Fiore ha ricevuto l’avviso ex art. 171 legge fall., con fissazione dell’adunanza dei creditori al 14/07/2015;

  • che il 10/07/2015 la società concordataria ha depositato istanza di scioglimento dal contratto preliminare ex art. 169-bis legge fall., dichiarata inammissibile dal Giudice Delegato in data 14/01/2016 «per omessa indicazione dell’indennizzo», ma successivamente accolta dal Tribunale di Pescara, su reclamo della società, con decreto del 08/04/2016, che ha autorizzato lo scioglimento;

  • che a seguito di avviso ex art. 179, comma 2, legge fall., il Fiore, indicato tra i creditori per la somma di Euro 405.000,00, ha espresso voto contrario all’omologazione del concordato, esponendo un credito di Euro 810.000,00 in luogo di quello di Euro 405.000,00 per il quale è stato ammesso al voto;

  • che con decreto del 25/10/2015 il Tribunale di Pescara, «su relazione del Giudice Delegato che aveva condiviso le osservazioni del Commissario Giudiziale circa la legittimità dell’ammissione al voto del Fiore per il credito di C 405.000,00», ha dato ingresso al giudizio di omologazione, cui il Fiore si è opposto quale creditore dissenziente.

1.2. Con ricorso notificato a mezzo posta il 28/07/2017, il Fiore ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, corredato da memoria, cui la società concordataria ha resistito con controricorso; i restanti intimati non hanno svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo, rubricato «Violazione e falsa applicazione dell’art. 169 L.F. n. 2 per errata identificazione degli elementi costitutivi dell’indennizzo», il ricorrente lamenta l’errore in cui la Corte d’appello sarebbe incorsa sulla nozione di indennizzo ex art. 169-bis, comma 2, legge fall., «identificandolo con gli obblighi restitutori di quanto ricevuto dalla parte che invoca lo scioglimento del contratto», mentre esso dovrebbe essere “equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento” del contratto di cui sia autorizzato lo scioglimento, come ben aveva colto il Giudice delegato, il quale aveva negato l’autorizzazione allo scioglimento del contratto preliminare di vendita per cui è causa (con provvedimento però riformato in sede di reclamo) per mancanza, appunto, «di un requisito essenziale, ossia la previsione dell’indennizzo», dal momento che «nel piano concordatario, ove però lo scioglimento non era stato né previsto né richiesto (…) era appostato un debito di C 405.000,00 per “debiti per acconti/caparra clienti” di cui C 350.000,00 per “acconti caparre da clienti” ed C 55.000,00 per “debiti v/clienti per lavori eseguiti”», senza alcun richiamo «al debito indennitario/risarcitorio per lo scioglimento contrattuale». Ciò con evidente pregiudizio per il promissario acquirente, tenuto a rilasciare l’immobile alla procedura concordataria a fronte di un “indennizzo” di importo pari alla mera restituzione del prezzo versato (Euro 405.000,00), peraltro soggetto alla falcidia dell’85%, in quanto credito chirografario.

2.2. Con il secondo mezzo – rubricato «Violazione dell’art. 169 – bis L. F. nella parte in cui la sentenza conferma il rango chirografario e non prededucibile dell’indennizzo; in subordine illegittimità costituzionale dell’art. 169-bis, con riferimento all’art. 3 Cost.» – il ricorrente osserva che, a fronte di una istanza di scioglimento presentata successivamente alla domanda di concordato, il credito da indennizzo in questione avrebbe dovuto essere considerato con rango prededucibile, piuttosto che chirografario, prospettando in subordine una questione di legittimità costituzionale per disparità di trattamento, ex art. 3 Cost., rispetto ad altre ipotesi analoghe che contemplano la prededucibilità dell’indennizzo (come lo scioglimento del curatore fallimentare dal contratto di affitto di azienda ex art. 79 legge fall., o dal contratto di locazione ex art. 80 legge fall., nonché le ipotesi ex artt. 20 e 50, d.lgs. 270/99) o comunque riconoscono il privilegio immobiliare ex art. 2775 bis c.c. (scioglimento del contratto preliminare trascritto, ex art. 72, comma 7, legge fall.).

2.3. Il terzo motivo prospetta la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 169 bis L. F. anche in relazione all’art. 1375 c. c., per aver ritenuto applicabile la disposizione sullo scioglimento del contratto in ipotesi di prestazioni totalmente eseguite dalla parte in danno della quale viene richiesto lo scioglimento». Osserva il ricorrente che il contratto preliminare non doveva ritenersi “pendente” – ossia “ineseguito, in tutto o in parte, da entrambe le parti” (come precisato da Cass. Sez. U, 18131/2015) – avendo il promissario acquirente assolto per intero l’obbligo di pagamento del corrispettivo ed ottenuto altresì la consegna dell’immobile, sicché residuava una sola prestazione a carico del promittente venditore, ossia «la formalizzazione del rogito definitivo», cui questi si era però sottratto, violando il principio di esecuzione del contratto secondo buona fede ex art. 1375 cod. civ., tanto da costringere il Fiore a promuovere un giudizio ex art. 2932 cod. civ. nonostante la società Eugenio Cetrullo S.a.s. di Alberto Cetrullo & C. lo avesse immesso nel possesso dell’immobile appena due mesi prima del deposito della domanda di concordato preventivo liquidatori°, e solo successivamente avesse chiesto l’autorizzazione allo scioglimento del contratto preliminare pressoché interamente eseguito, a distanza di un anno dall’inizio della causa ex art. 2932 cod. civ. (che l’aveva vista contumace e soccombente in primo grado). In tal modo, il debitore concordatario aveva lucrato solo vantaggi dallo scioglimento del preliminare, espropriando di fatto il promissario acquirente da un bene tutelato dall’art. 47, comma 2, Cost. – trattandosi pacificamente di una “casa di abitazione” – il cui valore costituiva, peraltro, circa un terzo dell’attivo concordatario, a fronte della proposta di restituzione di un importo pari solo al 15% del prezzo versato.

  1. Il primo motivo è inammissibile.

3.1. Occorre innanzitutto premettere che alla fattispecie in esame è applicabile ratione temporis
introdotto dall’art. 33 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla I. 7 agosto 2012, n. 34, nella versione vigente anteriormente alle modifiche apportate dall’art. 8 del d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito dalla I. 6 agosto 2015, n. 132.

3.2. Occorre poi sottolineare che il contratto preliminare de quo non rientra tra quelli che il quarto comma dell’art. 169-bis legge fall. esenta dalla soggezione allo scioglimento o alla sospensione, poiché il richiamato art. 72, comma 8, legge fall., pur contemplando (anche) il contratto preliminare di vendita avente ad oggetto un immobile destinato a costituire – come risulta nel caso di specie – l’abitazione principale dell’acquirente, richiede come condizione necessaria che esso sia stato «trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c.»; condizione, questa, che pacificamente difetta, come si legge a pag. 8 della sentenza impugnata.

3.3. Occorre infine evidenziare che l’originaria decisione del giudice delegato di dichiarare inammissibile l’istanza ex art. 169-bis legge fall. di autorizzazione allo scioglimento dal contratto preliminare de quo, per mancanza «di un requisito essenziale, ossia la previsione dell’indennizzo» – tale non essendo stata ritenuta l’appostazione concordataria di un credito del promissario acquirente pari alla sola restituzione del prezzo versato – è stata successivamente riformata dal Tribunale di Pescara, che ne ha invece autorizzato lo scioglimento, evidentemente assumendo che un indennizzo fosse stato – in qualche modo – contemplato. Tale decisione, oltre a non essere direttamente oggetto di impugnazione in questa sede, non sarebbe comunque sindacabile anche perché afferente al merito, potendosi al riguardo supporre che si sia tenuto conto di altri aspetti della vicenda (come, in ipotesi, l’occupazione dell’immobile dalla data di immissione in possesso sino al suo rilascio).

3.4. Più in generale, non si intende certo sottacere come l’art. 169-bis, comma 2, legge fall. preveda, in favore del terzo contraente pregiudicato dallo scioglimento, un vero e proprio «diritto ad un indennizzo» e come il legislatore abbia espressamente voluto (sia pure con apparente ambiguità terminologica) che tale indennizzo sia «equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato

adempimento» del contratto di cui sia stato autorizzato lo scioglimento, sì da non poter essere immotivatamente surrogato da crediti di natura meramente restitutoria – come, nel caso di specie, la restituzione del prezzo versato -, pena lo svuotamento del già debole presidio posto dalla norma a tutela del terzo contraente, per bilanciare l’evidente favor legislatoris per la soluzione concordataria.

3.5. Al riguardo questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che l’istituto (assai peculiare) dello scioglimento del contratto ex art. 169-bis legge fall., costituisce una facoltà di natura potestativa messa a disposizione del debitore nel contesto delle soluzioni concordatarie, volte a perseguire il miglior soddisfacimento del ceto creditorio. A determinate condizioni, soggette a verifica giudiziale – prima fra tutte la coerenza con il piano concordatario, anche sotto il profilo della sua “fattibilità” -, lo scioglimento assume i connotati della legittimità, in deroga al diritto comune (posto che, in assenza di vizi genetici o funzionali, il contratto continua ad avere forza di legge tra le parti, ex art. 1372 cod. civ., anche in costanza di concordato, a differenza del fallimento, che di regola comporta invece la sospensione automatica dei contratti pendenti ex art. 72 legge fall.), facendo però sorgere in capo alla controparte il diritto ad un indennizzo per il pregiudizio subito in conseguenza del venir meno del vincolo negoziale.

3.6. Il carattere dichiaratamente indennitario di tale diritto patrimoniale non deve pregiudicare la consistenza del ristoro da attribuire, come è reso palese dalla previsione (apparentemente antinomica) di una reintegrazione del patrimonio del contraente in bonis equivalente al risarcimento del danno derivante dal mancato adempimento, e perciò integrale, come imposto dall’art. 1223 c.c. (Cass. 6929/2019); norma, quest’ultima, tradizionalmente interpretata nel senso che la misura del danno risarcibile deve avere per oggetto l’intero pregiudizio subito dal soggetto danneggiato, essendo il risarcimento diretto alla completa restitutio in integrum del patrimonio leso (cfr. ex multis Cass. 15726/2010, 6856/1988).

3.7. Tuttavia, il secondo comma dell’art. 169-bis legge fall. dispone inequivocabilmente che il credito in questione «è soddisfatto come credito anteriore al concordato», così assimilandolo a tutti gli altri crediti concorsuali, per i quali nel concordato preventivo non vi è – a differenza di quanto avviene in altre procedure concorsuali (in primis il fallimento) – una fase di vero e proprio accertamento, essendone la “verifica” funzionale non già alla selezione delle posizioni concorrenti ai fini della partecipazione al riparto dell’attivo, bensì solo alla individuazione dei creditori aventi diritto al voto e dei crediti da computare ai fini del calcolo delle maggioranze richieste per l’approvazione della proposta concordataria.

3.8. Ciò è reso palese dal disposto dell’art. 176, comma 1, legge fall., il quale specifica che l’ammissione provvisoria, in tutto o in parte, dei crediti contestati – da parte del giudice delegato ed eventualmente del tribunale in sede di omologa (Cass. 30456/2019) – avviene “ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, senza che ciò pregiudichi le pronunzie definitive sulla sussistenza dei crediti stessi”. Pertanto, l’eventuale accertamento su entità e natura dei crediti ammessi al voto nel concordato preventivo ha natura meramente incidentale e delibativa, in quanto strumentale al calcolo delle maggioranze necessarie, senza potersi in alcun modo ritenere preclusa la prosecuzione o l’instaurazione di un ordinario giudizio di cognizione su esistenza, entità e rango (privilegiato o chirografario) del credito, il cui esito costituirà definitivamente «la base su cui deve operarsi la c.d. falcidia concordataria» (Cass. 27489/2006, 2104/2002), solo quest’ultima essendo definitivamente accertata con la sentenza di omologazione del concordato preventivo passata in giudicato, la quale appunto, «per le particolari caratteristiche della procedura che ad essa conduce, determina un vincolo definitivo sulla riduzione quantitativa dei crediti, ma non comporta la formazione di un giudicato sull’esistenza, entità e rango (privilegiato o chirografario) di questi ultimi, né sugli altri diritti implicati nella procedura stessa» (Cass. 20298/2014).

3.9. Sono queste le ragioni sottese all’affermazione del principio per cui «è inammissibile, per difetto di interesse ad impugnare, il ricorso per cassazione avverso il decreto di omologa del concordato preventivo con il quale il creditore contesti l’entità o il rango (privilegiato o chirografario) di un suo credito, come determinato ai fini del calcolo delle maggioranze richieste per l’approvazione della proposta, dovendosi accertare sempre nelle forme della cognizione ordinaria le ragioni creditorie vantate nei confronti del debitore in concordato» (Cass. 208/2019).

3.10. Ebbene, le medesime conclusioni valgono anche per il credito indennitario in disamina (che il debitore deve, se del caso, contemplare nel ricorso ai sensi dell’art. 161, comma 2, lett. b), legge fall. ed eventualmente collocare in apposita classe ex art. 160, comma 1, lett. c, legge fall.) posto che – a differenza di quanto accade per le analoghe ipotesi in sede fallimentare (v. artt. 79, 80 e 105-bis legge fall.) – la controversia sulla quantificazione dell’indennizzo va risolta in sede di cognizione ordinaria (ovvero in sede di accertamento del passivo del conseguente fallimento), mentre in sede concordataria, una volta esercitato il potere di concedere (o meno) l’autorizzazione allo scioglimento dal contratto, residua in capo al giudice solo il potere generale di ammettere in tutto o in parte i crediti contestati, ai fini del voto e del calcolo delle maggioranze, ex art. 176 legge fall., senza pregiudizio per la pronuncia definitiva sulla loro sussistenza e quantificazione (Cass. 641/2019).

3.11. La giurisprudenza di questa Corte ha già fatto applicazione di questi principi, affermando che, «in ipotesi di autorizzazione da parte del G.D. (o diniego) allo scioglimento dei contratti, a norma dell’art. 169 bis legge fall., la parte non soddisfatta può adire il giudice e contestare la ritenuta sussistenza (o insussistenza) dei presupposti per lo scioglimento del contratto attraverso una domanda da proporsi nell’ambito di un giudizio a cognizione piena» (Cass. 11524/2020, 1442/2018, 17520/2015). Tale conclusione riguarda anche la ritualità del procedimento di autorizzazione allo scioglimento (Cass. 3441/2020, 1443/2018), i suoi effetti negoziali (Cass. 6243/2018) e il trattamento da riservare al credito derivante dallo scioglimento del contratto ex art. 169-bis legge fall., «quale credito anteriore piuttosto che prededucibile» (Cass. 3441/2020).

3.12. Di qui la costante affermazione della regola della non ricorribilità per cassazione, ex art. 111 Cost., dei provvedimenti assunti (anche in sede di reclamo) sulle istanze di sospensione o scioglimento dei contratti a norma dell’art. 169-bis legge fall., in quanto «proponibili dal debitore sia prima che dopo il decreto di ammissione alla procedura concordataria, oltre che da lui reiterabili nel corso di quest’ultima» e pertanto «inidonei a produrre effetti di diritto sostanziale con efficacia di giudicato» (Cass. 17520/2015, 18830/2018); in altri termini, trattandosi di «atti di esercizio del potere di amministrazione e gestione dei beni del debitore» – che, come noto, nel concordato subisce solo uno “spossessamento attenuato” (Cass. 1142/2018) – «e delle funzioni di direzione della procedura concorsuale, non deputati a risolvere controversie su diritti», i provvedimenti in questione sono ritenuti privi dei requisiti della decisorietà e definitività (Cass. 11524/2020 e Cass.  1442/2018, in tema di scioglimento; Cass. 4176/2016, in tema di sospensione).

3.13. Ciò non toglie che il contraente che abbia subito gli effetti dello scioglimento (così come della sospensione) del contratto possa opporsi all’omologa del concordato preventivo, ex art. 180, comma 1 legge fall.; tuttavia, l’opposizione non può fondarsi esclusivamente sulla concessione dell’autorizzazione o sulla quantificazione del relativo indennizzo, a meno che si intenda far valere la facoltà di tutti i creditori (anche parzialmente) esclusi di opporsi all’esclusione in sede di omologazione del concordato «nel caso in cui la loro ammissione avrebbe avuto influenza sulla formazione delle maggioranze», ai sensi dell’art. 176, comma 2, legge fall.; circostanza, questa, che però non emerge dal ricorso.

3.14. In conclusione, al primo motivo occorre rispondere affermando il seguente principio di diritto:

“In tema di concordato preventivo, l’accertamento con efficacia di giudicato circa l’esistenza, l’entità e il rango del credito relativo all’indennizzo cui ha diritto il terzo contraente che abbia subito lo scioglimento del contratto, a norma dell’art. 169-bis legge fall., va effettuato, come per tutti i restanti crediti concorsuali, nelle forme della cognizione ordinaria, fermo restando in capo al giudice delegato e al tribunale, in sede di omologazione, il potere di ammettere in tutto o in parte i crediti contestati, ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, ai sensi dell’art. 176 legge fall.”

  1. Passando all’esame del secondo motivo, va dichiarata inammissibile la censura relativa alla natura prededucibile, piuttosto che chirografaria, del credito da indennizzo ex art. 169-bis legge fall., trattandosi di questione nuova e mai dibattuta nei gradi di merito, come risulta dalla sentenza impugnata (e prontamente eccepito in controricorso).

4.1. Ne consegue la non rilevanza della correlata questione di legittimità costituzionale, sollevata per contrasto con l’art. 3 Cost., che appare comunque manifestamente infondata, in ragione della discrezionalità riservata al legislatore, il quale ben può disciplinare in modo difforme fattispecie diverse, come quelle evocate a pag. 17 e 18 del ricorso (nessuna delle quali afferenti, invero, la procedura di concordato preventivo).

4.2. Al riguardo va considerato l’inequivocabile tenore testuale dell’art. 169-bis legge fall., che, pur consentendo al debitore di depositare la relativa istanza anche «dopo il decreto di ammissione» (comma 1), afferma la natura chirografaria dell’indennizzo, in quanto da soddisfare «come credito anteriore al concordato» (comma 2), come poi meglio chiarito in sede di riformulazione della norma ad opera del d.l. 83/15, convertito dalla I. 132/15, che ha espressamente riservato il rango prededucibile al solo credito da prestazioni eseguite – «legalmente e in conformità agli accordi o agli usi negoziali» – dopo la pubblicazione del ricorso ai sensi dell’art. 161 legge fall.

4.3. Il tema è stato già affrontato da questa Corte, la quale – proprio in riferimento a un contratto preliminare di compravendita pendente al momento dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo – ha confermato che, ai sensi dell’art. 169-bis legge fall., il credito relativo all’indennizzo dovuto per lo scioglimento del contratto ha sempre natura concorsuale, a prescindere dal fatto che la facoltà di scioglimento sia stata esercitata da parte del debitore al momento della proposizione della domanda di ammissione alla procedura o in un momento successivo. Ciò, si è detto, trova conferma nell’attuale testo della disposizione, introdotto nel 2015 proprio «al fine di chiarire, al comma 1, l’ambito applicativo della norma e precisare, al capoverso seguente, che in caso di scioglimento domandato successivamente al deposito del ricorso la collocazione in prededuzione rimane riservata alle sole prestazioni eseguite legalmente e in conformità agli accordi negoziali dopo la pubblicazione della domanda di concordato, con esclusione dell’indennizzo»; con l’importante precisazione che «la peculiare terminologia utilizzata dal legislatore (“ferma restando…”) assume un’assonanza anche interpretativa della precedente situazione normativa, come a confermare che l’indennizzo era già, prima, e rimane, ora, comunque concorsuale, anche se il contratto sia rimasto in vita e sia stato parzialmente eseguito nel corso della procedura concordataria, con collocazione in prededuzione delle sole prestazioni eseguite nel corso della stessa». In altri termini, si sarebbe così voluto «porre il patrimonio del creditore nella medesima situazione in cui esso si sarebbe trovato se lo scioglimento non si fosse verificato, tramite la determinazione di un valore da esprimere in termini monetari alla data di apertura del concorso, in forza della regola della cristallizzazione dei crediti rispetto a quel frangente temporale» (Cass. 6929/2019).

4.4. All’esito della disamina del secondo motivo è opportuno enunciare, ai sensi dell’art. 363, primo comma, cod. proc. civ., il seguente principio di diritto nell’interesse della legge: “In tema di concordato preventivo, il credito relativo all’indennizzo dovuto per lo scioglimento del contratto a norma dell’art. 169-bis legge fall. ha natura concorsuale, in quanto va «soddisfatto come credito anteriore al concordato», anche quando la facoltà di scioglimento sia stata esercitata dal debitore successivamente al deposito del ricorso di cui all’art. 161 legge fall., come chiarito con le modifiche apportate all’art. 169-bis legge fall. dall’art. 8 del d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito dalla I. 6 agosto 2015, n. 132, avente sul punto natura sostanzialmente interpretativa. Infatti, tale ultima previsione ha altresì chiarito che la collocazione in prededuzione può essere riservata solo al credito derivante da eventuali prestazioni contrattuali eseguite «legalmente e in conformità agli accordi o agli usi negoziali, dopo la pubblicazione della domanda ai sensi dell’articolo 161»”.

  1. Il terzo motivo sollecita una verifica della correttezza della posizione specificamente assunta dai giudici di merito (come ammesso a pag. 21 del controricorso, con conseguente infondatezza, stavolta, dell’eccezione di novità parimenti sollevata in controricorso) sulla “pendenza” o meno, ai fini che ne occupano, del contratto preliminare in questione.

5.1. La Corte d’appello invero, nel respingere la tesi del reclamante per cui detto contratto «non poteva considerarsi pendente (…) avendo egli ricevuto la consegna dell’immobile da un lato e avendo provveduto al pagamento dell’intero prezzo dall’altro, configurando l’obbligo della sas venditrice di stipulare il rogito definitivo come prestazione ulteriore meramente accessoria», ha richiamato l’autorevole orientamento che nega che «la stipula del preliminare c.d. “ad effetti anticipati” consenta al promissario acquirente di diventare possessore», poiché, «non provocando esso un’anticipazione degli effetti traslativi, non conferisce all’acquirente l’animus possidendi» (proprio degli effetti reali), bensì solo Vanimus detinendi (tipico degli effetti obbligatori). Ha perciò escluso che il contratto preliminare «avesse già avuto esecuzione, per non essersi prodotto il fondamentale effetto traslativo della proprietà riservato al definitivo» (Cass. Sez. U, 7930/2008; conf. Cass. 1296/2010, 12634/2011).

5.2. In realtà, che al contratto preliminare de quo non fosse stata data compiuta esecuzione, appare indubitabile, confermandolo la stessa iniziativa assunta dal promissario acquirente, che, per tutelare le proprie ragioni ha dovuto promuovere un giudizio ex art. 2932 c.c. (asseritamente pendente in secondo grado, su appello della società concordataria).

5.3. La questione prospettata dal ricorrente in questa sede è però  diversa, e riconducibile al dibattito che ha portato il legislatore a modificare nel 2015 la rubrica – da “Contratti in corso di esecuzione” in “Contratti pendenti” – e, soprattutto, il tenore del primo comma dell’art. 169-bis legge fall., chiarendo che deve trattarsi di «contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti alla data di presentazione del ricorso» (s’intende) «da entrambe le parti», come si legge nell’incipit dell’analogo art. 72 legge fall., cui il legislatore ha evidentemente voluto uniformare il testo della norma in disamina.

5.4. Invero, una parte minoritaria di dottrina e giurisprudenza ha sostenuto che, a differenza del fallimento, nel concordato preventivo dovrebbero ritenersi “pendenti” non solo i contratti bilaterali ineseguiti o parzialmente eseguiti da entrambe le parti, ma anche quelli unilaterali con obbligazioni ineseguite da una sola delle parti. Secondo l’orientamento maggioritario, invece, i contratti pendenti nel concordato preventivo sarebbero solo quelli a prestazioni corrispettive che, nel momento in cui una di esse presenti il ricorso ex art. 161 legge fall. per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, risultino ancora ineseguite o non compiutamente eseguite da entrambe le parti.

5.5. Tra i vari argomenti addotti a favore di quest’ultima tesi si richiamano: i) l’argomento normativo, avendo la Relazione al d.l. 27 giugno 2015, n. 83 esplicitato l’intento di dare all’espressione “contratti pendenti” la stessa estensione di quella contenuta nell’art. 72 legge fall., sostituendola alla locuzione “contratti in corso di esecuzione” proprio per porre fine ai dubbi interpretativi sulla possibilità di sciogliere anche i contratti già interamente eseguiti da una delle parti; ii) l’argomento storico, per cui a un enunciato normativo deve essere attribuito lo stesso significato tradizionalmente e costantemente attribuito in passato agli analoghi enunciati regolatori della stessa materia, a tal fine constatandosi che con l’espressione “contratti pendenti” (e relative varianti lessicali) sono stati sempre designati i rapporti contrattuali bilaterali, in tutto o in parte ineseguiti da entrambe le parti al tempo del fallimento di una di esse; iii) l’argomento sistematico, in base al quale, se un rapporto contrattuale pendente con obbligazioni ineseguite da una sola delle parti è assoggettato alle disposizioni di cui agli artt. 42 e 52, legge fall., quello stesso rapporto non può essere ricompreso tra quelli bilaterali, cui si applicano le regole di cui all’art. 72 legge fall.; iv) l’argomento “prospettico”, avendo il legislatore della riforma organica delle procedure concorsuali dettato una disciplina sui contratti pendenti nel concordato preventivo che li definisce espressamente «contratti non eseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambi i contraenti alla data del deposito della domanda di concordato» (art. 97, Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, di cui al d.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 – di seguito CCII – la cui entrata in vigore è stata differita dal 14 agosto 2020 al 1 settembre 2021).

5.6. La tesi maggioritaria è stata di recente avallata da questa Corte (Cass. 11524/2020), attraverso un condivisibile percorso argomentativo, così sintetizzabile:

  • «a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 8 comma 10 lett. a) D.L. 27 giugno 2015 n. 83, convertito con modificazioni nella L. 6 agosto 2015 n. 22 132, con il quale la locuzione “in corso di esecuzione”, presente nella rubrica dell’art. 169 bis legge fall., è stata sostituita da quella “pendenti”, il legislatore ha voluto in modo inequivocabile ricondurre la nozione di contratti “pendenti” di cui all’art. 169 bis legge fall. a quella di “rapporti pendenti “di cui all’art. 72 comma 1, legge fall., con la conseguenza che deve farsi riferimento a fattispecie negoziali che non abbiano avuto compiuta esecuzione da entrambe le parti al momento della presentazione della domanda di concordato preventivo»;

  • «se è pur vero che l’art. 169 bis legge fall. non contiene un espresso richiamo ad “entrambe le parti”, tuttavia l’utilizzo di una locuzione identica a quella della rubrica dell’art. 72 legge fall. non fa residuare alcun dubbio in ordine alla intenzione del legislatore, rivelata, peraltro, dalla relazione alla legge di conversione, inequivocabile sul punto»;

  • «dunque, alla luce anche della chiara formulazione legislativa (confermata anche all’art. 97 dell’introducendo Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza, che fa espresso riferimento ad “entrambe le parti”), l’art. 169 bis legge fall. non è applicabile ai contratti a prestazioni corrispettive in cui una delle parti abbia già compiutamente eseguito la propria obbligazione».

5.7. La citata pronunzia ha altresì chiarito che, mentre a fronte di un contratto con immediata efficacia traslativa (come, in quel caso, la cessione di credito a scopo di garanzia pro so/vendo) gli effetti dell’operazione negoziale si esauriscono al momento del perfezionamento dell’accordo – sicché «non si pone neppure la questione della “pendenza” del singolo contratto di anticipazione bancaria» – nel caso, invece, di contratto di «anticipazione bancaria con mandato all’incasso e patto di compensazione, non può parimenti ritenersi “pendente” la singola operazione di anticipazione, avendo la banca, con l’erogazione della somma al cliente, già compiutamente eseguito la propria prestazione», senza che a diversa conclusione possa indurre la presenza di una “prestazione aggiuntiva” rientrante nel sinallagma contrattuale, quale «la previsione a favore della Banca di un mandato all’incasso, con patto di compensazione», trattandosi di un mandato in rem propriam «esclusivamente finalizzato a realizzare la funzione di garanzia», sicché la banca ha solo l’onere, non già l’obbligo giuridico, di incassare presso il terzo il credito del cliente; e comunque, «anche ove si volesse ritenere che l’attività di incasso dei crediti del cliente verso i terzi rientrasse tra le obbligazioni della banca, si tratterebbe comunque di una prestazione di natura accessoria, non idonea ad incidere sulla nozione di compiuta esecuzione della prestazione a norma dell’art. 72 legge fall.».

5.8. Quest’ultima precisazione si pone in linea di continuità con la pertinente giurisprudenza di questa Corte, la quale ha più volte statuito che «ai fini dell’art. 72 legge fallimentare, per stabilire se al momento della dichiarazione di fallimento il contratto non sia stato eseguito da entrambe le parti, occorre avere riguardo alle obbligazioni fondamentali che a ciascuna di esse derivano dal negozio e non anche alle prestazioni accessorie» (la stessa Cass. 11524/2020 richiama Cass. 3708/1983, «non disattesa da sentenze successive» e a sua volta conforme a Cass. 1007/1981, 2336/1975, 2248/1975, 3422/1974).

5.9. Come anticipato, la riferita continuità è destinata a proiettarsi anche nell’imminente futuro, poiché l’art. 97 del CCII prevede, nella prima parte del decimo comma, che «salvo quanto previsto dall’art. 91, comma 2, i contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti alla data del deposito della domanda di accesso al concordato preventivo, proseguono anche durante il concordato».

  1. Non va poi trascurato, ai fini dell’ernneneusi nomofilattica cui è chiamata questa Corte, che nella recente “Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la Dir. (UE) 2017/1132” – entrata in vigore il 17 luglio 2019 e da recepire in linea di massima entro il 17 luglio 2021 – non è dato rinvenire una disposizione analoga all’art. 169-bis legge fall., che consenta al debitore quantomeno la sospensione, se non anche lo scioglimento, dai contratti in corso; e ciò nonostante il Titolo II della direttiva disciplini in modo analitico i «Quadri di ristrutturazione

preventiva» con riguardo ai concordati in continuità aziendale, che pure dovrebbero offrire opportunità maggiori (a corrispondente detrimento dei creditori) rispetto ai concordati meramente liquidatori, come quello per cui è causa.

6.1. Ciò per un verso testimonia la cautela del legislatore unionale nell’estendere oltremodo il sacrificio dei diritti dei terzi nell’ambito delle pur favorite soluzioni di risanamento delle imprese, per altro verso induce a interpretare restrittivamente e rigorosamente i maggiori “spiragli” lasciati aperti dalla normativa nazionale, in linea con il cd. obbligo di interpretazione conforme che deriva dal principio di leale cooperazione ex art. 4, par. 3, T.U.E..

6.2. Le direttive invero, pur non essendo (come noto) direttamente applicabili negli ordinamenti nazionali – per esserne forme e mezzi di attuazione rimessi alla discrezionalità degli Stati membri (art. 288, par. 3, T.F.U.E.) – generano, sin dalla loro entrata in vigore, non solo l’obbligo del legislatore nazionale di astenersi dall’adottare misure che possano compromettere il conseguimento dei risultati perseguiti (cd. stand stili), ma anche l’obbligo degli organi giurisdizionali di interpretare il diritto nazionale in modo conforme alla loro lettera e ratio, obbligo gradualmente esteso dalle norme di recepimento all’intero diritto nazionale, anteriore o successivo (cd. interpretazione conforme o adeguatrice), se non altro con riferimento ai principi stabiliti dalla direttiva in modo preciso e incondizionato (ex multis, Corte Giust. 10 aprile 1984, Von Kolson e Kamann; 13 novembre 1990, Marleasing; 5 ottobre 2004, Pfeiffer; 22 novembre 2005, Mangold; 15 aprile 2008, Impact; 19 gennaio 2010, Kijciikdeveci; cfr. Cass. Sez. U, 27310/2008).

  1. Le superiori considerazioni inducono dunque a ritenere che, ove uno dei contraenti abbia adempiuto la propria prestazione – quantomeno quella da ritenersi principale nel sinallagma contrattuale – non possa trovare applicazione l’art. 169-bis legge fall.

7.1. Nel caso di specie, è indubitabile che il promissario acquirente non solo abbia integralmente adempiuto la propria obbligazione principale di versare integralmente il prezzo dell’immobile promesso in vendita, ma si sia anche attivato formalmente per conseguire la controprestazione, sino a promuovere un giudizio contro il promittente venditore ex art. 2932 cod. civ., poiché questi, pur avendogli già consegnato l’immobile (con rilascio di ampia liberatoria) non ha adempiuto l’obbligazione di formalizzare il trasferimento mediante la stipula del contratto definitivo.

7.2. Sennonché, l’autorizzazione allo scioglimento ex art. 169-bis legge fall. è stata ormai concessa dal tribunale (in sede di reclamo avverso l’originario diniego del giudice delegato) ed essendo pacifica, come visto, la non impugnabilità di simili provvedimenti con ricorso straordinario ex art. 111 Cost., la fondatezza della censura in esame potrebbe rilevare in questa sede solo se decisiva ai fini del reclamo proposto contro l’omologazione del concordato ex art. 183 legge fall. (Cass. 1442/2018). Su tale aspetto, però, la Corte d’appello non si è pronunciata, avendo ritenuto infondati tutti i motivi di reclamo dell’opponente.

7.3. Anche in tal caso è opportuna, a fini di regolazione della materia, l’enunciazione di un principio nell’interesse della legge, ai sensi dell’art. 363, comma 1, cod. proc. civ.: “In tema di concordato preventivo, l’autorizzazione alla sospensione o allo scioglimento dal contratto pendente, a norma dell’art. 169-bis legge fall., presuppone che, al momento della presentazione della domanda di concordato preventivo, esso non abbia avuto compiuta esecuzione da entrambe le parti, avuto riguardo alle prestazioni principali del sinallagma contrattuale; ne consegue che l’istituto non è applicabile ai contratti a prestazioni corrispettive in cui una delle parti abbia già compiutamente eseguito la propria prestazione (fattispecie relativa a contratto preliminare di compravendita in cui, prima del deposito del ricorso ex art. 161 legge fall., il promissario acquirente aveva già versato l’intero prezzo, era stato immesso nella detenzione dell’immobile così che aveva promosso giudizio ex art. 2932 cod. civ. per ottenere la prestazione del conseno dell’altra parte alla stipulazione del contratto definitivo di compravendita).”

  1. Nella medesima prospettiva va rilevata la fondatezza dell’ulteriore censura mossa col terzo motivo, per cui il promittente venditore, procrastinando dolosamente la stipula del contratto definitivo – nonostante l’avvenuto pagamento dell’intero prezzo e l’immissione del promissario acquirente nella detenzione dell’immobile destinato ad abitazione principale – e procedendo a depositare, appena due mesi dopo la proposizione della domanda ex art. 2932 cod. civ. da parte del promissario acquirente, una domanda di concordato preventivo il cui piano contemplava nell’attivo concordatario anche l’immobile compromesso in vendita (di valore pari a circa un terzo dell’attivo complessivo), ha palesemente contravvenuto al dovere di esecuzione del contratto secondo buona fede, ai sensi dell’art. 1375 cod. civ.; e ciò tanto più per aver poi indicato nel medesimo piano concordatario un indennizzo in favore del promissario acquirente pari al solo ammontare del prezzo versato, che per giunta, in quanto credito chirografario, è destinato ad essere soddisfatto nei limiti del 15%, in forza della falcidia concordataria.

8.1. Orbene, la scelta del legislatore di sottoporre ad autorizzazione giudiziale il potere del debitore di sciogliersi dai contratti pendenti è evidentemente funzionale all’esigenza di scongiurare che egli possa farli venir meno per ragioni opportunistiche, nel perseguimento di interessi esorbitanti da una corretta regolazione della crisi d’impresa, attraverso l’abuso dello strumento concordatario. Il controllo svolto in prima battuta dal giudice delegato, e successivamente dal tribunale, si inserisce dunque all’interno di quella più ampia valutazione preordinata a verificare le condizioni di ammissibilità del concordato preventivo, prima fra tutte la fattibilità (tralatiziamente distinta in giuridica ed economica) del piano – non di rado fortemente condizionata dallo scioglimento dei contratti in corso -, in ultima analisi diretta a tutelare l’interesse pubblicistico al regolare svolgimento, oltre che al buon esito, della procedura concorsuale (Cass. 1442/2018).

8.2. E’ quasi superfluo ricordare come la figura dell’abuso del diritto – nel cui genus si inscrivono l’abuso del processo e, per quanto qui rileva, del procedimento di concordato, parimenti sussumibili nell’idea di una «alterazione dello schema formale del diritto finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal legislatore», che si manifesta «quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, la funzione obiettiva dell’atto risulti alterata rispetto al potere che lo prevede», causando perciò la reazione dell’ordinamento, in forma di rifiuto di «tutela ai poteri, diritti e interessi esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva» (Cass. sez. U, 20106/2009) – trovi il proprio fondamento costituzionale nel dovere di solidarietà posto dall’art. 2 Cost. e riflessi positivi sia in campo contrattuale (si vedano i principi di correttezza e buona fede che permeano la fase delle trattative precontrattuali ex art. 1337 cod. civ., così come l’interpretazione e l’esecuzione del contratto ex artt. 1366 e 1375 cod. civ.) sia in campo processuale (si vedano i doveri di lealtà e probità imposti alle parti e ai loro difensori dall’art. 88 cod. proc. civ.).

8.3. Peraltro, in dottrina è stato autorevolmente precisato che, mentre l’imposizione dei doveri di correttezza e buona fede mira a sanzionare le modalità scorrette con cui vengono perseguite finalità  consentite dall’ordinamento, l’abuso del diritto si attaglia piuttosto ad utilizzi per finalità diverse da quelle previste dall’ordinamento, con conseguenti riflessi sul possibile scarto tra la causa tipica e la cd. causa concreta (intesa come funzione economico-pratica che il singolo contratto tende a realizzare, indipendentemente dalla sua corrispondenza al modello legale). Ed è stato altresì segnalato come la trasposizione di tali concetti sul piano processuale abbia sovente sollevato perplessità per il vulnus che ne potrebbe derivare al diritto di agire e difendersi in giudizio garantito dall’art. 24 Cost., apparendo sufficienti i presidi allestiti dall’ordinamento attraverso le cause di inammissibilità normativamente previste dal legislatore.

8.4. Nella giurisprudenza di questa Corte, un’ipotesi di abuso del diritto è stata di recente enucleata nell’utilizzo distorto del diritto previsto dalla norma istitutiva di una nullità di protezione – segnatamente quella che può essere fatta valere dall’acquirente ove il promittente venditore violi l’obbligo, imposto dall’art. 2, d.lgs. n. 122 del 2005, di procurargli, all’atto della stipula del contratto preliminare, una fideiussione a garanzia della restituzione del prezzo pagato per il caso in cui sopravvengano il pignoramento dell’immobile o la sottoposizione del costruttore a procedura concorsuale (Cass. 30555/2019, che ha respinto la domanda di nullità relativa in un caso in cui la garanzia fideiussoria era stata indebitamente rilasciata in un momento successivo alla sottoscrizione, tenuto conto che nelle more tra la stipulazione del preliminare e la prestazione della garanzia non si era manifestata l’insolvenza del promittente venditore né risultava altrimenti pregiudicato l’interesse del promissario acquirente).

  1. Venendo più specificamente al caso che ne occupa, la valenza al tempo stesso negoziale e processuale dell’istituto concordatario consente di attingere ai principi gradualmente affermatisi nell’uno e nell’altro campo, in termini di buona fede contrattuale e processuale, nella duplice (e assai sottile) variante dell’abuso del concordato (ove l’accesso al procedimento sia strumentale a fini diversi da quelli per i quali l’istituto è stato introdotto nell’ordinamento) o nel concordato (ove l’utilizzo in concreto dello strumento persegua funzioni distoniche o distorte rispetto alla sua funzione). Non è dunque un caso che, proprio nella materia concorsuale, la giurisprudenza si sia rivelata incline a ricorrere alla figura dell’abuso del diritto a presidio della correttezza del debitore, declinandone il divieto come clausola generale idonea, nella sua flessibilità, a consentire al giudice di intercettare possibili usi dilatori, opportunistici, ultronei o ingiustamente pregiudizievoli dello strumento concordatario (cfr. Cass. Sez. U, 9935/2015; Cass. 5677/2017, 25210/2018, 30539/2018, 7117/2020).

9.1. Lo stesso legislatore della riforma ha da ultimo esplicitato il riferimento alla figura dell’abuso, proprio a bilanciamento della preminenza accordata dall’ordinamento alle soluzioni concordate della crisi rispetto ai più penalizzanti esiti liquidatori dell’insolvenza [v. art. 2, lett. g), della legge-delega n. 155 del 2017, attuato con l’art. 7, comma 2, CUI]. Ma soprattutto ha dato per la prima volta cittadinanza, collocandolo tra i principi generali del nuovo corpus della materia concorsuale, al dovere – tanto del debitore quanto dei creditori – di comportarsi secondo buona fede e correttezza (art. 4 CCII, intitolato “Doveri delle parti”), che nella sua dettagliata enunciazione, inclusiva degli obblighi di verità, trasparenza, lealtà e financo cura degli interessi altrui, lascia intravedere sottotraccia quel limite ultimo all’esercizio di un proprio diritto in cui si annida, appunto, il divieto di abuso del diritto. 9.2. Analoga sensibilità emerge dalla menzionata Direttiva (UE) 2019/1023, che anzi con maggior coraggio segnala espressamente la necessità di «evitare abusi dei quadri di ristrutturazione» (Cons. 24; cfr. Racc. 2014/135/UE della Commissione europea del 12 marzo 2014, Cons. 16), accanto all’obbiettivo di «garantire un giusto equilibrio tra i diritti del debitore e quelli dei creditori» (Cons. 35) e assicurare «che i creditori non subiscano inutili pregiudizi» o siano «ingiustamente pregiudicati», dovendo l’autorità giudiziaria verificare «se il debitore agisca in malafede o con l’intento di arrecare pregiudizio o, in generale, se agisca contro le aspettative legittime della massa dei creditori» (Cons. 36, sia pure con specifico riguardo al cd. stay). A ben vedere, tutta la Direttiva è permeata dal riferimento alla necessità di evitare «un ingiusto pregiudizio» nei confronti dei creditori, proprio nella consapevolezza dell’enorme favor messo in campo, anche a livello unionale, per le ristrutturazioni che salvaguardino la continuità aziendale.

9.3. Se così è, la sede naturale di una simile verifica, la cui necessità si è venuta a porre in questa sede, non può che essere quella del giudizio di reclamo avverso il provvedimento di omologazione, ex art. 183 legge fall., dovendo la Corte d’appello valutare l’esistenza di eventuali profili di abuso dello strumento concordatario da parte del debitore, in relazione al trattamento riservato al promissario acquirente nella complessiva economia del piano di concordato, tenendo conto anche della tempistica della vicenda e delle iniziative giudiziali assunte da entrambe le parti.

9.4. In conclusione, al terzo motivo occorre rispondere, affermando il seguente principio di diritto: “In tema di concordato preventivo, il giudice, ai fini del giudizio di ammissibilità della domanda di concordato preventivo, è tenuto, in linea con i principi della normativa unionale in tema di ristrutturazione preventiva, a verificare che il debitore, nel formulare un piano che contempli l’autorizzazione allo scioglimento dal contratto pendente, a norma dell’art. 169-bis legge fall., abbia agito conformemente ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, in modo da evitare che ne derivi un ingiusto pregiudizio a carico dell’altro contraente, con conseguente abuso dello strumento concordatario (fattispecie relativa a scioglimento dal contratto preliminare di compravendita in cui, prima del deposito del ricorso ex art. 161 legge fall., il promissario acquirente aveva già versato l’intero prezzo, era stato immesso nella detenzione dell’immobile e aveva promosso giudizio ex art. 2932 cod. civ., subendo una quantificazione dell’indennizzo in misura corrispondente alla mera restituzione del prezzo versato, oggetto di falcidia concordataria nella misura dell’85°/0)”.

  1. L’accoglimento del terzo motivo comporta la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di L’Aquila per il riesame delle condizioni di ammissibilità del concordato, avuto riguardo, in particolare, ad eventuali profili di abuso e alla fattibilità del piano, ai fini dell’omologa della proposta di concordato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i primi due motivi di ricorso, in relazione ai quali enuncia i principi di diritto ai sensi dell’art. 363 cod. proc. Civ. nei sensi di cui in motivazione; accoglie il terzo e – in relazione a questo – cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per statuizione sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 09/09/2020

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